Il 30 ottobre scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato il pacchetto sulla sicurezza presentato dai ministri Amato (interni) e Mastella (giustizia) il cui testo è stato suddiviso in quattro differenti disegni di legge:
“Disposizioni in materia di sicurezza urbana”;
“disposizioni in materia di grave allarme sociale e di certezza della pena”;
“adesione al trattato di Prum e istituzione della banca dati del dna”;
“misure di contrasto alla criminalità organizzata, delega al governo per l’emanazione di un testo unico delle disposizioni in materia di misure di prevenzione, disposizioni in materia di ordinamento giudiziario e patrocinio a spese dello stato”.
Il ministro Ferrero si è astenuto.
Senza entrare nel merito di tutte le parti del pacchetto, appare opportuno sottolineare anzitutto che, ancora una volta, questo provvedimento appare il frutto di una legislazione di emergenza di cui, da tempo immemorabile, i governi che si sono succeduti, sono artefici, una sorta di legiferazione in uno “stato di eccezione permanente” che induce ad affrontare anche un tema sentito dalla popolazione come quello della sicurezza, in modo confuso, senza un progetto integrale, prendendosela con il lavavetri o il rom di turno.
D’altro canto, invece, il programma approvato all’unanimità da tutti i partiti dell’unione chiedeva una riforma della giustizia penale che “riaffermi i principi costituzionali di uguaglianza, della funzione rieducativa della pena e del giusto processo”, una giustizia celere che assicuri a tutti il diritto di difesa , la previsione di pene diverse da quelle del carcere.
Nulla di tutto ciò nel pacchetto sicurezza.
Anzichè tentare di ridefinire il concetto di “sicurezza” che resta invece un concetto giuridico vago, indistinto, senza precedenti giurisprudenziali, di applicare con maggior rigore le leggi che già ci sono ed abrogare che quelle che invece sono inique, come la Bossi-Fini, si ricorre ad un arbitrario inasprimento delle pene, ad una diminuzione delle garanzie di legge, all’ampliamento dei poteri dei prefetti ed all’attribuzione di poteri di polizia ai sindaci. Con provvedimenti che presentano dubbi di costituzionalità e che comunque determinano un notevole passo indietro di quella civiltà giuridica di cui invece uno stato di diritto dovrebbe nutrirsi.
In questo modo si imita la destra, pervenendo ad un cambiamento genetico della cultura di sinistra fondata sulla certezza e l’applicazione della pena, sulle garanzie per gli imputati, sulla rigida divisione dei poteri, sulla costruzione sul territorio di elementi di socialità e di democrazia, sulla salvaguardia ed estensione dei diritti.
I punti maggiormente critici sono i seguenti:
1. I reati che provocano allarme sociale, definizione alquanto generica, (tra gli altri, furto, scippo, rapina, violenza sessuale, pedofilia, incendio boschivo) vengono equiparati ai reati di mafia o di terrorismo. Con la conseguenza che per gli imputati ci dovrà essere un processo immediato e chi verrà condannato in primo grado non potrà far ricorso al patteggiamento in appello. In questo modo, quando la condanna sarà definitiva, scippatori e rapinatori non potranno più avere la sospensione della pena o godere di misure alternative al carcere consentite dalla legge Saraceni-Simeoni a chi è condannato in via definitiva a meno di tre anni. Si è fatta la scelta di estendere l’obbligo della custodia cautelare per i reati considerati di massimo allarme sociale indipendentemente dalla gravità oggettiva del reato con fondati dubbi di violazione dell’art. 13 della Cost.. Anche l’opzione di mettere sullo stesso piano reati così diversi tra loro, per gravità e per la diversità del bene giuridico tutelato, come – tanto per fare un esempio – il furto e la violenza sessuale o la pedofilia, inducono ad un totale arbitrio.
Inoltre il ddl non ha recepito la richiesta che è pervenuta dal movimento femminile di non inserire la violenza sessuale, di genere, nel pacchetto sicurezza e di non trattare questo tema estremamente complesso solo con l’inasprimento delle pene. Più volte il movimento delle donne è intervenuto per chiedere una legislazione specifica, integrale sul tema della violenza di genere di cui la violenza sessuale è uno degli aspetti più eclatanti. Questa legislazione, basata solo sulla repressione, e non anche su misure di sensibilizzazione, di formazione di quanti debbono occuparsi dell’assistenza di chi subisce violenza, non aiuta a disvelare le molteplici violenze sessuali subite non in strada, ma in famiglia, che sono di gran lunga prevalenti, non affronta il tema di quelle miriadi forme di discriminazione e molestie che le donne subiscono al lavoro, in famiglia, nelle istituzioni, non si fa carico del concetto di parità sostanziale.
2. Viene negato il patrocinio ai non abbienti, imputati di determinati reati. Tale, provvedimento – va da sé – significa negare il diritto di difesa ai più poveri, che non hanno la possibilità di sostenere i costi elevati di un processo penale.
3. Il ddl prevede ulteriori limitazioni al diritto d’ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dei cittadini dell’unione. Inoltre i provvedimenti di allontanamento di cittadini comunitari dal territorio nazionale per motivi di sicurezza dello Stato possono essere adottati con atto motivato dal prefetto territorialmente competente secondo la residenza o dimora del destinatario (provvedimento cosiddetto anti-rom). Come è del tutto evidente, in questo modo, si dà mano libera ai prefetti di espellere anche cittadini comunitari e – si badi bene – non solo per sospetto di terrorismo, ma anche per motivi di “ordine e sicurezza pubblica”, formula estremamente generica che consente ai prefetti la massima discrezionalità, con controlli minimi e nessuna garanzia per i soggetti destinatari dell’ allontanamento. Anche tale provvedimento presenta fondati profili di incostituzionalità perché viene eliminata ogni garanzia di legge. Il rischio è quello di dar luogo a provvedimenti del tutto arbitrari. Nell’attuale clima politico, un prefetto, con il potere che gli viene attribuito, potrebbe espellere chi partecipa ad una manifestazione non autorizzata!
4. E’ inoltre estremamente grave il provvedimento che riguarda l’estensione dei poteri dei sindaci. L’art. 54 comma 3 del testo Unico degli enti locali consente soltanto l’intervento per “gravi pericoli che minacciano l’incolumità”. Ora si dà la possibilità ai sindaci di adottare “provvedimenti urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità e la sicurezza urbana dei cittadini ovvero che arrecano un grave pregiudizio al decoro urbano”. Con queste modifiche i poteri dei sindaci – come peraltro richiesto da alcuni di loro, ad esempio, insistentemente, da Cofferati – si ampliano a dismisura sul terreno delle forze dell’ordine. Sanzioni sono previste per l’occupazione “arbitraria di strade ordinarie”. Per chi disegna sui muri è prevista “la procedibilità d’ufficio”.
Il provvedimento relativo all’estensione dei poteri ai sindaci è di inaudita gravità. I sindaci hanno già a disposizione strumenti efficaci di carattere amministrativo per garantire la vivibilità delle città, il loro decoro, la sicurezza. Se si attribuisce loro anche il potere di polizia, si scivola a poco a poco …verso uno stato di polizia. Tanto per fare un esempio che riguarda la nostra città, se Cofferati avesse disposto di questi nuovi poteri nei mesi passati, non si sarebbe limitato ad un attacco verbale nei confronti dei lavavetri, considerati aggressivi, o peggio artefici di un indimostrato racket, ma avrebbe potuto intraprendere nei loro confronti una vera e propria battaglia a colpi di ordinanze perché “minacciano la sicurezza urbana” o disturbano il decoro. E ancora, sostituendosi al prefetto, senza una specifica competenza in materia, avrebbe potuto vietare manifestazioni, dando luogo a conflitti ancor più aspri con il mondo giovanile e con i centri sociali della città. La divisione dei poteri è fondamentale nella democrazia: a ciascuno le proprie competenze e responsabilità.
Sin qui le parti negative. Ad onor del vero va detto che il ddl presenta anche alcuni aspetti positivi: ad esempio l’accelerazione delle procedure di confisca dei beni dei mafiosi e la loro consegna agli enti pubblici per una nuova destinazione sociale; l’equiparazione dei familiari delle vittime della mafia a quelli delle vittime del terrorismo; gli interventi proposti per gli omicidi colposi causati da guidatori ubriachi che prevedono non solo un aggravamento della pena (reclusione da tre a dieci anni), ma anche la confisca del veicolo ed è certamente apprezzabile il rafforzamento degli uffici giudiziari, soprattutto nel sud.
Ma come si diceva all’inizio di queste note, l’impianto stesso del pacchetto sicurezza appare inquietante, perché basandosi principalmente sull’inasprimento delle pene, la diminuzione delle garanzie giurisdizionali e l’ampliamento dei poteri di polizia, si imita la destra sul terreno dell’autoritarismo xenofobo, si cede al propagandismo, si emettono norme inefficaci e controproducenti.
Alcune norme (l’eliminazione del gratuito patrocinio per alcuni reati, i poteri concessi ai prefetti ed ai sindaci) determinano, nella loro applicazione, anche una lotta contro i poveri, contro coloro che vivono condizioni disagiate e di emarginazione, mentre un governo di centro-sinistra dovrebbe saper operare una distinzione netta tra criminalità ed emarginazione.
Solo in questo modo si possono raggiungere risultati: punendo i criminali e aiutando chi ha bisogno.
La sacrosanta esigenza di sicurezza dei cittadini e di lotta contro la criminalità – è bene ribadirlo – va assicurata entro le regole dello stato di diritto e del sistema delle garanzie giurisdizionali, della funzione rieducativa della pena e del giusto processo, altrimenti si sconfina nel sicuritarismo, nell’autoritarismo, nella repressione dei diversi: un atteggiamento culturale che induce ad una legislazione oltre che iniqua, anche inefficace.
Il nostro partito dovrebbe impegnarsi, da un lato, per disinnescare quelle parti (qui segnalate) frutto di una concezione sicuritaria, dall’altro, per ridefinire una diversa idea di sicurezza che non può prescindere dall’incentivazione di elementi di socializzazione, di affermazione e rispetto dei diritti sociali, di cittadinanza, di sicurezza sul lavoro, alla salute, di libertà dall’inquinamento (solo per fare alcuni esempi).
Mentre stavo scrivendo queste note è avvenuto un fatto inaudito, ancor più grave. Tutti i commentatori più accorti avevano apprezzato la scelta di presentare un disegno di legge, anziché un decreto legge, come chiedeva la destra ed anche alcuni sindaci, perché il primo consentiva la possibilità di intervenire con modifiche anche rilevanti.
Invece in conseguenza dell’efferato delitto di cui è rimasta vittima Giovanna Reggiani per responsabilità di un cittadino romeno, il governo italiano ha immediatamente reagito con l’emissione di un decreto legge che giustamente Rossanda ha definito “una cosa sciagurata, una cosa da fascisti”, stigmatizzando il comportamento del governo come “schifoso”.
Il decreto votato all’unanimità, anche con il voto favorevole del ministro Ferrero, che in precedenza si era astenuto, stralcia e corregge una parte del pacchetto sicurezza, prevedendo la possibilità di emettere da parte del prefetto competente provvedimenti di allontanamento dal suolo nazionale che non superi i tre anni “per motivi di sicurezza dello Stato e per motivi imperativi di pubblica sicurezza. Tali motivi sono imperativi “quando il cittadino dell’UE o un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, abbia tenuto comportamenti che compromettono la tutela della dignità umana o dei diritti fondamentali della persona umana ovvero l’incolumità pubblica, rendendo la sua presenza sul territorio nazionale incompatibile con l’ordinaria convivenza”.
Valgono le considerazioni già svolte al punto 3. di queste note, e cioè l’assoluta discrezionalità concessa ai prefetti, con garanzie minime e senza controlli giurisdizionali. Si sottolinea poi l’assoluta iniquità della formula usata: “il cittadino dell’ UE o un suo familiare”.
In sostanza è stato costruito un decreto legge ad hoc contro un intero gruppo etnico ed un’intera popolazione, dimenticando, tra l’altro che la donna violentata ed aggredita sino alla morte, aveva avuto la solidarietà di un’altra donna rom.
Sino a prova contraria, la responsabilità penale è personale, per cui far pagare l’efferatezza di un crimine a donne, uomini e bambini, già costretti a vivere in condizioni di indigenza, è fuori da ogni principio di civiltà giuridica ed umana. Provoca indignazione.
Gli effetti di quell’orrendo decreto si sono visti immediatamente: espulsioni annunciate dai prefetti e amplificati dai giornali con toni trionfali, ruspe in azione per spianare campi nomadi ed insediamenti “abusivi”, come se tra quel crimine e quelle espulsioni o le ruspe vi fosse qualche nesso.
Il governo di centro-sinistra – con il consenso anche del Ministro di Rifondazione comunista – anziché riportare i fatti nella giusta dimensione e prospettiva, anziché disinnescare i veleni, l’amplificazione mediatica, le rappresaglie ed i comportamenti irrazionali prodotti da un delitto gravissimo, che certamente colpisce l’opinione pubblica, è scivolato in un comportamento che produce odio, odio razziale ed una ostilità preconcetta nei confronti di una intera popolazione.
I pericoli per la democrazia sono evidenti, come evidenti sono i rischi di una legislazione repressiva e reazionaria, emessa sull’onda della paura sollecitata da una campagna massmediatica, tesa a vedere nel diverso un potenziale pericolo e non da elementi certi sull’aumento della criminalità. Aumento che, secondo i dati del Viminale, non vi è stato.
Per il nostro partito vi è motivo di riflessione e discussione: il pacchetto sicurezza non deve passare ed il decreto legge sui nuovi potere prefettizi non deve essere ratificato dal Parlamento.