Galeotto fu l’accordo e chi lo sottoscrisse. Deve esserselo ripetuto molte volte il presidente della camera, Fausto Bertinotti, nei 19 mesi trascorsi dall’incontro segreto con il premier, Romano Prodi, che gli ha spianato la strada verso l’ascesa alla terza poltrona più importante della repubblica.
Già, perché da allora, era l’aprile del 2006 in quel di Massa Martana, il potere di condizionamento dell’ormai ex leader di Rifondazione si è man mano estinto come la fiamma di una candela quasi esaurita. Tanto che ormai, senza tema di smentite, si può affermare che la vera stampella del premier, più che i senatori a vita di cui tanto si è parlato nelle ultime settimane, è stata Rifondazione comunista. La cosiddetta sinistra radicale che secondo i critici più critici è la vera mosca cocchiera del governo, salvo poi scoprire che aveva ragione Luigi Einaudi. Quando diceva, a proposito del potere dei governi di determinare i corsi dell’economia, che «è pari a quello della mosca cocchiera che dice al bue di arare e quello ara». Cioè pochissimo o nulla. Al netto delle vittorie vantate da Rifondazione e dal suo vero numero uno, appunto Bertinotti, non si può certo dire che l’intesa con Prodi abbia portato bene al partito di via della Croce Rossa. Fin dalla Finanziaria del 2007, quella che «doveva far piangere i ricchi» con tanto di maxiyacht da 80 metri (come da fotografia pubblicata all’epoca su manifesti formato 8×8) e che invece ha destinato alle imprese 5 miliardi di euro sotto forma di riduzione del cuneo fiscale e contributivo sul costo del lavoro. Soldi veri risparmiati dalle aziende e detrazioni fiscali quasi invisibili per le tasche dei lavoratori. Altra corsa, altro giro, la politica estera. Con una partita chiusa 2 a 1 in favore di Prodi che ha detto sì all’universalmente atteso e accettato ritiro delle truppe italiane dall’Iraq, in cambio però della permanenza a Kabul, Afghanistan, e soprattutto del raddoppio della base Usa a Vicenza. Contestato a gran voce dai no global e dai pacifisti, ma ormai deciso. E che dire della tassazione delle rendite finanziarie, o meglio del riordino delle aliquote? Tra squilli di tromba e annunci bomba, l’aliquota media al 20% (ora sono due, il 12,5% per titoli di stato, azioni e obbligazioni, il 27% sugli interessi sui depositi bancari) voluta anche da Rifondazione è rimasta sulla carta. Né per ora è andata meglio con il Protocollo sul welfare firmato dalle parti sociali il 23 luglio scorso, approvato dal consiglio dei ministri e soprattutto da oltre l’80% dei lavoratori. Su quell’intesa Rifondazione ha preteso modifiche e continua a fare la voce grossa. Ma Prodi, che vuole portare a casa il risultato per non trovarsi senza l’appoggio dei centristi e della Confindustria, che qualcosa conta, potrebbe mettere la fiducia e spiazzare ancora una volta l’alleato-presidente della camera. Il premier, del resto, incassato il sì del senato alla sua Finanziaria 2008, e incalzato anche dal segretario del Partito democratico, Walter Veltroni, ha deciso di giocare tutte le carte di cui dispone pur di restare a palazzo Chigi. E Bertinotti, che aveva parlato di possibili governi istituzionali se Prodi fosse caduto, ha dato una bella mano al Prof con le sue dichiarazioni sui molto brodini necessari per garantire la permanenza in vita «di un governo malato«. Ora, a forza di brodini, l’ammalato ha ripreso qualche vigore. Bertinotti, invece, no. Resta fermo a Massa Martana e alla ripubblicizzazione dell’acqua ottenuta dopo una epica battaglia con il ministro degli affari regionali, Linda Lanzillotta. Quelli sì, in fin dei conti, due brodini. E se fosse lui il vero paziente da curare?