*Coordinatore provinciale di Sinistra Democratica di Massa-Carrara
Nel dibattito politico italiano continua a riproporsi la “questione comunista” e il problema della sua forma organizzata. A molti anche a sinistra può apparire come una discussione datata , nostalgica, lontana dai problemi del presente; ma se si guarda ad essi con sguardo sgombro da pregiudizi ideologici o da luoghi comuni non è difficile vedere che gran parte dei problemi del mondo contemporaneo nascono dalle dinamiche del modo di produzione capitalistico. Se il comunismo con Marx e dopo Marx è analisi critica della società capitalistica e proposta politica per il suo superamento verso una società di liberi ed eguali è evidente la persistenza di una “questione comunista” che le vicende storiche del 900 non hanno risolto ma neppure liquidato. Ancor più pressante è la questione in Italia dove si è svolta la vicenda storica del PCI e la sinistra nel suo insieme dopo lo scioglimento di quel partito a quasi vent’anni di distanza non ha ancora trovato un assetto stabile e rilevante. Il PDS si è trasformato nei DS e infine nel Partito Democratico (PD) conservando forse un consenso maggioritario nel centro-sinistra, ma perdendo i classici riferimenti culturali, programmatici e sociali della sinistra. Il PRC ha mantenuto aperta la prospettiva di una rifondazione comunista ma nei fatti non ha realizzato neppure l’unità dei comunisti che si riconoscevano nella originale storia del PCI. In questo contesto serve un ripensamento della storia della sinistra comunista e della sinistra in generale dall’89 ad oggi. La nascita del PD da una parte e della Sinistra arcobaleno dall’altra impongono una nuova riflessione di portata strategica non inferiore a quella aperta dallo scioglimento del PCI. Il giudizio sul PDS-DS-PD non può che essere impietoso: una forza politica che non riesce a darsi uno stabile radicamento nel mondo del lavoro e a non connettere politica e storia in un progetto di trasformazione sociale, si confina in un eclettico assemblaggio ideologico e nella ricerca artificiosa di un consenso a prescindere, allontanandosi dalle culture politiche del socialismo europeo. Il PRC è risultato più un contenitore di componenti critiche e antagoniste che un nuovo partito comunista capace di orientare tutta la sinistra, i consensi raccolti per quanto significativi nel frastagliato quadro partitico italiano non comprendono ampi settori sociali interessati a una prospettiva di cambiamento profondo della società italiana. Va dato atto e riconosciuto il merito di Fausto Bertinotti che ha posto ai comunisti e a tutta la sinistra il problema di un nuovo radicamento sociale, politico, culturale e organizzativo di fronte ai modesti risultati elettorali e alle insufficienze del governo Prodi, rinunciando alla prospettiva di una comoda rendita di posizione. La questione comunista che in Italia riguarda in primo luogo il PRC e il PdCI, ma non solo, si pone dunque dentro queste coordinate: bilancio di un ventennio e problemi del presente. Guardando in questo breve articolo dal punto di vista della costituzione organizzativa di una soggettività politica si può affermare che nessuna delle grandi forme organizzate assunte dai partiti comunisti dopo il 1917 sia oggi praticabile. Non ci sono più partiti-Stato ai quali fare riferimento, la Cina è lontana pur essendo una realtà politicamente ed economicamente rilevante sulla scena mondiale. Grandi partiti comunisti di massa sull’esempio del PCI che lottano in un quadro di democrazia progressiva non sembrano oggi ricostruibili in tempi brevi. Il rischio più grande che corrono oggi formazioni politiche di ispirazione comunista è quello di assomigliare ad uno dei tanti partiti-setta variamente richiamantesi alle componenti minoritarie della storia del comunismo italiano e internazionale (trotzkisti, bordighisti, maoisti, marxisti- leninisti ecc.). Se la questione comunista e la sua soggettività organizzata si riducesse a sventolare una bandiera e alla diffusione di un volantino in una manifestazione organizzata da altri allora sarebbe davvero una questione inutile. Non basterebbe neppure da solo il pur importante lavoro teorico che riviste e singoli intellettuali hanno continuato a svolgere anche in anni difficili. I comunisti se si privano della proiezione di massa nella società e nelle istituzioni della loro politica riducono drasticamente fino all’annullamento la loro funzione. L’agitazione e la propaganda, il lavoro teorico separato dai processi politici non sono sufficienti in una società capitalisticamente sviluppata con istituzioni democratiche. Nei conflitti del capitalismo globale, nella crisi della società italiana, nelle difficoltà inedite della sinistra come si organizzano i comunisti? Le risposte date fin qui dallo scioglimento del PCI ad oggi sembrano inadeguate. Il fatto stesso che esistano due partiti comunisti nati da una stessa matrice, il PRC e il PdCI, non strategicamente diversi, è il segno di una anomalia da superare. Non sembra efficace in un partito come nell’altro difendere accanitamente il nome e il simbolo quando non si è capaci di riunire sotto lo stesso simbolo due partiti non profondamente dissimili. Il processo di aggregazione a sinistra sarebbe più facile, meno incerto e confuso se vi fosse un’unica forza comunista che si confrontasse con altre forze ed altre culture della sinistra.
UN’UNICA FORZA COMUNISTA
Qui sta il punto più rilevante in questo frangente storico: i comunisti anche uniti in un unico partito non sembrano sufficienti a fare “massa critica” per fermare quel processo di deriva e di omologazione moderata che tocca ampi settori della politica italiana. Ritenere che la conflittualità sociale che pure vi è, sia sufficiente da sola ad arrestare la deriva e a premiare il generoso impegno dei comunisti rischia di essere una illusione spontaneista perché sottovaluta il ruolo determinante dell’azione politica organizzata che la storia dei comunisti del ‘900 ci ha insegnato. I comunisti in forme organizzate hanno necessità di collegarsi organicamente ad altre formazioni politiche e al più ampio popolo di sinistra per incidere in maniera rilevante sulla vicenda politica italiana. Non basta dire che i comunisti ci sono, dicono cose giuste, basta votarli. Proprio perché non basta un semplice appello al voto non basta neppure un semplice cartello elettorale tra varie forze di sinistra magari per superare solo gli ostacoli di una legge elettorale restrittiva. Serve invece un organico blocco politico e sociale che tenga insieme interessi comuni e obiettivi per rendere concreta e non declamata un’alternativa sia alle politiche reazionarie della destra sia al riformismo debole e subalterno dei moderati. Sarebbe dunque sbagliato presentare la questione di un soggetto politico federato della sinistra come una adesione tardiva alla svolta di Occhetto, una Bolognina 2. La svolta di Occhetto è fallita prima di cominciare, il Partito democratico è la sua Nemesi. Oggi non si ammaina nessuna bandiera ma si devono unire diverse bandiere in un unico progetto politico di trasformazione sociale. La forma organizzativa è inevitabilmente quella federativa. Non sfuggono ovviamente le differenze tra vari modelli federativi: confederazione, federazione, partito federato. Il modello da adottare però non è una questione meramente organizzativistica, dipende dal grado di coesione che una sinistra culturalmente plurale saprà raggiungere in merito a valori, obiettivi programmatici, riferimenti sociali condivisi. Per chi proviene dalla militanza nel PCI ed ha attraversato la diaspora di questi anni si presenta dunque un modello organizzativo inedito ma interessante se non si vuole ripetere come farsa la vicenda per molti aspetti drammatica dell’89. Dentro la forma federativa possono coesistere tra le diverse componenti politiche della sinistra italiana, autonomia e unità. Se i comunisti non hanno dimenticato la loro storia prima del ’17 ricorderanno sicuramente che i bolscevichi erano una componente ben organizzata della socialdemocrazia russa. Anche in questo caso la storia non si ripete, ma dalla storia si può ricavare quella duttilità che i problemi del presente richiedono.