Autoferrotranvieri: non solo per il salario

*Coordinatore Nazionale CUB/RdB Trasporti

Il 27 novembre 2000 le aziende del Trasporto Pubblico Locale hanno ottenuto da FILT, FIT, UILT, FAIA CISAL e UGL la sottoscrizione del peggior contratto dagli anni 50 ad oggi per gli autoferrotranvieri. Infatti è stato un contratto dove le aziende hanno ottenuto l’abbattimento pressoché totale delle tutele dei lavoratori, l’introduzione delle mas sime fles sibi lit à economiche/ normative rendendo il lavoro sempre più precario; hanno introdotto flessibilità sia normative (plurimansioni, pluriabilitazioni, aumento dell’orario di lavoro, riduzione dei diritti acquisiti) che economiche (doppio regime salariale, precarizzazione della quasi totalità degli istituti economici aziendali, aumenti retributivi legati alla maggior prestazione lavorativa), la massima discrezionalità nelle progressioni di carriera. Le aziende, non soddisfatte di quanto ottenuto, dalla scadenza del rinnovo del secondo biennio economico di tale contratto (1.1.2002), hanno continuato a sostenere che non c’erano e non ci sono soldi per il secondo biennio economico 2002/2003, e hanno usato i malcontento dei lavoratori per fare pressione nei confronti delle Regioni, Province, Comuni, dello Stato per ottenere 528 milioni di euro, una cifra molto superiore a quella occorrente a chiudere la partita contrattuale, evidentemente per scopi ben diversi dalla semplice stipula del contratto degli autoferrotranvieri. Alla fine, il 20 dicembre 2003 giorno in cui è stato sottoscritto l’accordo che ha fatto esplodere la protesta degli autoferrotranvieri, le aziende erano arrivate a richiedere 628 milioni di euro. Un inciso non secondario. Vari soggetti hanno contribuito alla firma del CCNL sottoscritto il 27 novembre 2000. Oltre alle aziende e alle OO.SS. hanno partecipato alla sua firma il Governo (allora di centro sinistra), le Regioni, l’UPI (province), l’ANCI (comuni), impegnandosi per reperire le risorse per il TPL. È stato firmato un CCNL e gli allegati sapendo che non c’era la copertura economica per il secondo biennio e per le risorse necessarie al trasporto pubblico locale. L’ a l l e g a t o sottoscritto dal Governo, dalle Regioni e Autonomie Locali li impegnava, entro il giugno 2001 e con il riferimento al II biennio economico del CCNL autoferrotranvieri 2002/2003, ad affrontare congiuntamente i problemi derivanti dalle dinamiche contrattuali oltre il 2001 per individuare soluzioni strutturali relative all’equilibrio finanziario delle imprese e alle implicazioni fiscali, all’aumento dell’efficienza, al rapporto con l’utenza, nel quadro di una complessiva armonizzazione delle politiche di mobilità. Ora questo impegno è stato clamorosamente disatteso da parte del governo, delle regioni e delle Autonomie Locali a partire dal 2001 anche per una loro particolare valutazione sulla capacità economica della popolazione. A loro avviso la grande maggioranza della popolazione era ed è in grado di fare a meno di servizi o beni a prezzo sociale (una volta si diceva a prezzo politico). Può e deve pagarseli a prezzi di mercato o tendenzialmente tali. Una valutazione grossolanamente sopra, stimata sulla ricchezza dei cittadini e quindi anche degli autoferrotranvieri, che nei fatti esprime qualcosa di molto preciso: una operazione di “dimagrimento” del reddito delle famiglie, con il trasferimento delle loro risorse al complesso sistema delle imprese e/o ai nuovi assetti politici. Tale trasferimento è contestuale allo svuotamento delle strutture sociali. A questa situazione d’inadempienza contrattuale i sindacati Confederali, e a ruota Faisa Cisal e l’UGL, non hanno saputo dare una risposta adeguata e puntuale. Per oltre due anni hanno balbettato, hanno inviato letterine alle controparti, rammentando di aver fatto la loro parte nello smantellamento delle certezze contrattuali degli autoferrotranvieri, chiedendo a mo’ di preghiera che anche gli altri soggetti facessero la loro parte. In questa situazione si arriva alla giornata del 1 dicembre 2003, giornata che nasce da un atto di concertazione, anche sullo sciopero, tra associazioni datoriali e organizzazioni sindacali. Infatti sembra che siano state le associazioni datoriali, nel corso degli incontri di fine novembre, a suggerire alle organizzazioni sindacali di alzare il tiro delle lotte per costringere il Governo ad aprire i cordoni della borsa. Infatti, dal Presidente dell’ASSTRA ai vari Presidenti d’azienda dei trasporti, in occasione dell’iniziativa di lotta del 1° dicembre a Milano e la successiva giornata di lotta del 15 dicembre arrivano dichiarazioni di solidarietà ai lavoratori del tipo: “i lavoratori hanno ragione, le loro rivendicazioni sono legittime”. Questa affermazione trova conferma dal fatto che riporto di seguito. Il 2 dicembre sul Corriere della Sera, il giorno dopo della clamorosa protesta degli autoferrotranvieri d e l l ’ ATM di Milano, a pagina 23 compare una inserzione a pagamento dell’ASSTRA unitamente all’UPI e all’ANCI, dove viene pubblicamente richiesto che il Governo modifichi la Finanziaria introducendo un aumento dell’accisa sulla benzina di 3 centesimi al litro. È quanto meno singolare che il giorno dopo della protesta degli autoferrotranvieri di Milano compaia questa inserzione congiunta di soggetti che sino al giorno prima, sempre dalle pagine dei giornali. si davano addosso. Ora questi apprendisti stregoni, sia gli imprenditori che quei rappresentanti sindacali (CISL?) che hanno acceso la miccia della protesta, hanno perso il controllo della situazione. La loro sottovalutazione di ieri, è oggi la loro ossessione. Sono convinti che nessun autoferrotranviere può essere così frustrato e insoddisfatto da pensare ”autonomamente” di ricorrere alla protesta di massa, e che quello che è accaduto è solo il frutto avvelenato dell’azione “selvaggia” di sindacatini minoritari che si agitano per sviare i buoni autoferrotranvieri e che li hanno convinti a ribellarsi. In sostanza si sta cercando di attribuire ai sindacati di base il magico potere di trasformare persone pacifiche e felici in furiosi selvaggi. D’altro canto, se si considera giusta e meritevole la protesta degli autoferrotranvieri si dovrebbe rispondere alla seguente domanda: “Perché se si ritiene necessario intervenire, ritenendo legittimo il malessere espresso con le lotte, non lo si fa accogliendo le proteste dei lavoratori? Questo non solo servirebbe meglio la causa degli stessi, ma scalzerebbe il sindacalismo di base dal ruolo che gli si attribuisce e che comunque sta assumendo. Non sarebbe il modo migliore per combattere la “demagogia” di tale movimento sindacale? Invece si continua a portare avanti la fin troppo abituale politica della concertazione, a sostenere le nefaste pretese delle aziende, con gli accordi aziendali che si stanno sottoscrivendo in queste ore, sottoscrivendoli ancora una volta senza verificarne la rispondenza alla volontà e al grado di gradimento dei lavoratori diretti interessati. Perché succede questo? Nonostante i segnali di volontà e di disponibilità alla lotta siano da definirsi epocali, perché i sindacati confederali non li hanno e non li vogliono utilizzare per volare più alto? Il perché è forse da ricercare proprio nella lotta che gli autoferrotranvieri hanno intrapreso dal 1 dicembre. È una lotta che, al di là di come vada a finire, sta portando al pettine dei nodi che riguardano tutto il mondo del lavoro. Il tentativo di farla apparire, ora, come corporativa ed ingiustificabile, si sta scontrando con una solidarietà che si sta manifestando da gran parte del mondo di lavoro dipendente, anche se è proprio il ceto sociale che è stato più colpito dai blocchi del servizio. È evidente a tutti la centralità che sta assumendo il problema dei salari, degli stipendi che non reggono più il caro vita. Infatti in queste ultime settimane assistiamo al fiorire di un dibattito sul salario – vedi l’ultimo numero di Panorama che in copertina titola “Odissea nel reddito fisso: i malpagati”, oppure i vari quotidiani, non ultimo L’Unità che sabato 24 gennaio titola: “Con questi salari non ce la facciamo più.” I salari e gli stipendi dei lavoratori dipendenti sono ormai al di sotto delle necessità di una famiglia media. La politica dei redditi, inaugurata nel luglio 93 (politica della concertazione) ha di fatto impoverito gli stipendi, che inoltre non hanno più la tutela dell’inflazione che prima era data almeno in parte dalla Scala Mobile. I rinnovi contrattuali sono divenuti atti notarili per giunta disattesi che, quando va bene, prendono atto dell’inflazione programmata dal Governo, sempre più volutamente distante da quella reale. Per gli autoferrotranvieri l’aumento di 81 euro, con un ritardo di due anni, a fronte dei 106 euro di inflazione programmata, fanno comprendere a tutti che non è più garantito nemmeno il recupero dell’inflazione decisa dal Governo. C’è poi la questione del diritto di sciopero. Da anni è in vigore una legge ed è in atto una azione continua della Commissione di Garanzia talmente restrittiva sull’esercizio del diritto di sciopero, che i lavoratori del settore, per essere visibili e poter incidere con le loro lotte, hanno alla fine la necessità di violare inevitabilmente, esercitando direttamente il loro diritto di sciopero. Cosicché si è creato un “effetto boomerang”: lo sciopero impedito da mille restrizioni, alla fine è esploso e ha lanciato un segnale forte a tutto il mondo del lavoro: ribellarsi e possibile e lottare paga. Ha posto come centrale la questione di riprendersi in pieno il diritto di sciopero e che di fronte al malessere dei lavoratori alla fine non c’è restrizione e limitazione al diritto di sciopero che tenga. Inoltre non può essere che venga sanzionato chi si ribella ad un torto subito e che non si sanzioni chi sistematicamente attui soprusi nei confronti dei lavoratori. La partecipazione agli scioperi spontanei, anche sfidando le precettazioni, la straordinaria partecipazione allo sciopero nazionale del 9 gennaio promosso dal sindacalismo di base, dicono chiaramente che la credibilità di CGIL, CISL,UIL tra i lavoratori è perlomeno fortemente messa in discussione. L’accordo da loro sottoscritto è stato sonoramente bocciato. Di fronte a questa vera e propria sconfessione però, non si assiste ad una riapertura del tavolo con chi effettivamente ha dimostrato di rappresentare gli interessi e di dare voce alla volontà dei lavoratori, ma ci si trova di fronte ad un Governo e a delle aziende che continuano ad accreditare i confederali come unici interlocutori, perché non si può perdere la faccia, fregandosene dei lavoratori delle loro lotte e dei cittadini che vengono direttamente colpiti dalle proteste dei lavoratori dei trasporti. Questa situazione paradossale è determinata dalla mancanza nel settore privato di una legge che individui, attraverso verifiche certe, chi rappresenta davvero i lavoratori. È ora di attuare un provvedimento che dia certezza ai lavoratori sulla effettiva rappresentatività di chi li rappresenta nelle trattative e nei contratti, ed impedire così che governo e aziende si scelgano loro gli interlocutori. D’altro canto i lavoratori, oltre ad esprimere forme alte di partecipazione alla lotta, devono comprendere che perché le lotte ottengano risultati significativi e non vengano annullate da accordi a perdere non possono continuare a dare la loro delega a chi non rispetta la loro volontà e non verifica il loro mandato. Infatti CGIL, CISL e UIL si fanno forti del fatto che assieme rappresentano ancora in termini di iscrizioni oltre il 50% della categoria. D’altro canto va fatta una riflessione tra chi di sinistra (Rifondazione o altro) milita nella CGIL ritenendo che comunque la gran parte dei lavoratori sono dentro quel sindacato e che comunque in queste settimane ha lottato assieme alla categoria. Non è comprensibile e non è più giustificabile un atteggiamento schizofrenico di adesione alla lotta e agli obiettivi rivendicati dalla categoria degli autoferrotranvieri e poi non opporsi alle azioni che la CGIL sta attuando con CISL e UIL contro la categoria con gli accordi aziendali, che di fatto stanno introducendo le gabbie salariali. Per ultimo, comunque vada a finire questa lotta intrapresa dagli autoferrotranvieri, il segnale forte che deve essere dato ai lavoratori è che la lotta paga perché, probabilmente, se non ci fossero state queste lotte anche la pur insufficiente e negativa conclusione del contratto del 20 dicembre 2003 ancora non ci sarebbe, come – seppur negativi per il loro portato politico – non ci sarebbero stati gli accordi che si stanno facendo in molte aziende italiane. Inoltre questa situazione potrebbe accelerare l’apertura della discussione sul nuovo CCNL della categoria, e questa è un’occasione importante che gli autoferrotranvieri devono cogliere per recuperare quanto non è stato erogato a livello nazionale, per riconfermare la centralità del CCNL e per rilanciare l’obiettivo “a parità di lavoro, parità di salario”. Infatti il futuro contratto deve prevedere aumenti salariali consistenti a partire dai parametri più bassi, parametro 140, e soprattutto per far sparire la voce “lavoro precario” e “salario d’ingresso” nel CCNL. L’unica battaglia persa è quella non combattuta.