Vienna.
Se, da un lato, l’”internazionalismo” dell’Unione europea ha contribuito, con la sua arroganza burocratica, a rilanciare il nazionalismo patriottico, dall’altro proprio Jörg Haider l’antieuropeista, ha favorito, con la sua partecipazione alla coalizione di governo, un vero e proprio salto di qualità nella “integrazione” dell’Ue, provocando di fatto l’intervento diretto dell’Ue nella politica interna di uno Stato membro. A cinque anni dall’ingresso nell’Ue e dopo quattro mesi di inutili sforzi per costruire un governo di maggioranza parlamentare che venisse accettato all’estero, i politici austriaci di spicco hanno portato il paese sull’orlo di una crisi costituzionale e di stato. Il “presidente forte” si è reso ridicolo nel tentativo di mantenere in pedi, con ogni mezzo, una coalizione rosso-nera. Questo tentativo è fallito (almeno per ora) perché questa stessa coalizione – legata ai dettami di bilancio di Bruxelles – aveva presentato un programma di smantellamento dello stato sociale, di deregulation e di privatizzazione imponente, impossibile da sostenere anche per i sindacalisti più consenzienti di entrambi i partiti. Ingiustizia del mondo! Le successive trattative di governo – condotte senza un mandato – tra la Fpö e la Ovp sembrano aver dato, proprio in queste materie “pesanti”, i risultati richiesti dalla Commissione europea con i suoi ultimatum. Si è già raggiunto l’accordo su un peggioramento del sistema di prepensionamento e sulla privatizzazione completa del patrimonio pubblico (valutato in 150 miliardi di scellini). Per le imprese è in cantiere una riduzione di 15 miliardi sui contributi sociali e sui costi dei servizi pubblici. Infine, nella cosiddetta “politica estera e di sicurezza”, liberali e popolari hanno scelto – per semplicità – di adottare quanto già concordato con la Spö: esercito professionale ed europeo, obbligo di assistenza verso i paesi membri dell’Ue. L’accordo dei cristiano-conservatori con i liberali di Haider, proprio sulle questioni sulle quali è fallita l’intesa con i socialdemocratici, segna un punto di svolta nella politica austriaca. Si inizierà a ricercare il consenso dei sindacati a favore di misure e strategie per un progetto liberista (vedi “partenariato sociale”) per giungere poi ad una drastica marginalizzazione del ruolo e delle forze sindacali. Tuttavia la stessa Ue, i cui trattati e direttive impongono una radicale ristrutturazione in senso neoliberista della società capitalistica, impedisce paradossalmente la funzione di una coalizione che di quei temi fa la propria bandiera. Riguardo ai motivi della presa di posizione dell’Ue si possono avanzare delle ipotesi: accanto alle ragioni di politica interna dei singoli governi che, anche in casa propria, devono affrontare l’avanzata di partiti di estrema destra, sembra che il rifiuto opposto a Jörg Haider sia utilizzato, da Chirac e Schroeder in primo luogo, per imporre la loro concezione dell’Europa futura, “allargata” e “più forte”, prefigurante un proprio nuovo ruolo politico generale. Che questa improvvisa ingerenza possa mandare in rovina la politica europeista di signori come Busek, Mook e Schuessel, non provoca danni a nessuno. Più grave, invece, è il fatto che, entro questo contesto, può scaturire, nel breve periodo, solo uno scenario negativo della politica interna austriaca. Nel caso in cui prevalesse definitivamente la coalizione nero-blu, anche gli altri austriaci – pur sempre l’80% – che non hanno votato Haider, sarebbero costretti a farsi identificare all’estero con un governo di estrema destra e con tutto ciò che quest’ultimo va preparando. Se, invece, si arrivasse, su pressione dell’Ue, a una riedizione della vecchia coalizione, sulla base di un programma già concordato di smantellamento sociale, conforme alle direttive dell’Ue, a quel punto sarebbe quasi impossibile arrestare la marcia politica del Fpö, che potrebbe verosimilmente, alle prossime elezioni, divenire il primo partito, oltre che il partito del cancelliere. Infine, se si verificasse il caso di un governo senza la partecipazione del Fpö, che archivi ogni programma di devastazione sociale e, al suo posto, ponesse altre priorità di natura sociale – ad esempio, la redistribuzione dall’alto verso il basso e il controllo dei mercati finanziari – esso, non soltanto non avrebbe alcuna maggioranza parlamentare, ma si troverebbe fin dal primo momento L’eterno gioco delle teorie e delle loro varianti nel quadro delle strutture esistenti dimostra che le forze politiche dominanti, non a caso, non sanno più come andare avanti. Corrotte e prive di moralità come sono, non riescono neppure a salvaguardare dignitosamente il paese dal razzismo e dall’estremismo di destra. Siccome le alternative, a un’analisi più approfondita, si rivelano come mali differenti solo per grado, vengono meno anche i metodi usuali della manipolazione e del mantenimento del potere. La svolta verso una politica di maggiore giustizia sociale, per l’affermazione di diritti umani, sociali e politici uguali per tutte le donne e tutti gli uomini che vivono in Austria, viene vista dai partiti del sistema come una semplice possibilità teorica. E a questo riguardo non mancano certo proposte e idee per un’alternativa alla ristrutturazione della società capitalistica in senso neoliberista. Sarebbe sufficiente sfogliare le tesi dell’ultimo congresso del sindacato Ogb o ricordare la proposta di legge di iniziativa popolare presentata dal movimento delle donne e sottoscritta da oltre 660mila persone. Per decenni, la routine dei partiti di governo allenati al dominio e che, ora, esibiscono davanti agli occhi di noi tutti la loro bancarotta politica, ha significato tuttavia anche l’esclusione, dal dibattito pubblico e mediatico, di tali alternative, per potere limitare l’offerta politica alla banalità dell’esistente. Così siamo arrivati al punto in cui oggi ci troviamo.
Trovare una via d’uscita dalla crisi, richiede una forza politica nuova e una nuova opinione pubblica. Il paese ha bisogno di un’opposizione sociale e di una sinistra forte fuori delle strutture del sistema.
Traduzione a cura di Tonino Bucci