Arte, libertà e democrazia

Una riflessione sulle relazioni fra arte, libertà e democrazia potrebbe, a prima vista, apparire inattuale. Viceversa, l’aver perso il senso del nesso che lega queste tre realtà è una delle cause non secondarie e attualissime dell’arretramento conosciuto in questi decenni dal pensiero critico di ispirazione marxista e, direi, dal pensiero critico tout court. Più scontata è l’attenzione comunemente riservata al nesso fra politica e cultura e ancora di più a quello fra politica e comunicazione. Quest’ultima ha finito, come una carta assorbente, per intercettare tutto il resto, sostituendosi pressoché totalmente alla cultura e disponendosi a celebrare i fasti di due stravincenti nuovi “valori”. Ci riferiamo alla neodottrina del web e alla ossessione leaderistico-carismatica, e cioè a quella cultura neotribale del capo che ha finito per infiltrare, denervandoli, la politica, così come il mondo dello spettacolo, delle arti e il senso stesso della cosa pubblica.

È LIBERA OGGI L’ARTE?

È in questo contesto, appena richiamato, che riteniamo una meditazione sulla libertà in arte un’occasione capace di esprimere un valore di tracciante, valore il più delle volte sottovalutato quando non completamente misconosciuto. Si danno per scontati, infatti, alcuni elementi ritenuti a priori come dati di realtà indiscutibili: la libertà degli artisti, la libertà dei fruitori dell’arte, la libertà della società in cui viviamo e la possibilità di modificarne democraticamente i destini. Ecco, contro questo insieme di pseudoverità noi vorremmo pronunciarci. La nostra tesi è che l’arte oggi è più che mai “ridotta in soggezione”; che la mancanza di libertà sostanziale è più che mai un’evidenza, nonostante la diffusione, nelle società capitalistiche cosiddette democratiche, di un’opinione opposta; che la democrazia è una realtà solo formale. Il senso comune dominante tende ad accreditare il valore superiore della libertà formale da considerarsi talmente alto e totalizzante da relativizzare tutte le aberrazioni di una società ingiusta e diseguale, dove un bieco darwinismo sociale finisce per essere l’unico motore della selezione delle persone e delle idee. Quando si parla del rapporto fra libertà e arte, si fa generalmente riferimento alle istanze di autonomia e di indipendenza che dovrebbero contraddistinguere l’attività creativa dell’artista. Tali istanze nel corso dei secoli sono state affermate e teorizzate, ma mai soddisfatte. Anche perché qualsiasi attività intellettuale (e quella artistica è prima di tutto un’attività intellettuale) è figlia del suo tempo e delle condizioni storiche che l’hanno prodotta. Queste condizioni non fanno che circoscrivere gli ambiti di libertà dell’arte stessa per ragioni legate alla propria natura sovrastrutturale e per ragioni, più contingenti, legate al gusto e a motivazioni del tutto secolari, come ad esempio l’interesse, l’ambizione e la disponibilità economica della committenza. Le finalità edificanti o quelle controriformistiche dell’arte sacra, rispettivamente del Rinascimento e del Barocco, ne sono un esempio. Così come quelle della Business art contemporanea statunitense di cui Andy Wharol è stato campione e insuperabile teorico. Questi vincoli non hanno impedito, tuttavia, le più straordinarie accelerazioni creative e i cambi di rotta più drastici impressi alla storia dell’arte da singole personalità o gruppi che hanno saputo liberarsi da essi o, comunque, relativizzarne temporaneamente l’influenza, allo scopo di affermare una libertà creativa che è arrivata, con Duchamp, fino alla negazione stessa dell’opera d’arte intesa come manufatto. Nonostante questi esempi estremi e l’opinione corrente e fuorviante che quello che viviamo sia il momento di maggiore libertà possibile per l’arte, la nostra convinzione è che, al contrario, l’arte contemporanea viva in questo senso uno dei momenti più bui della propria storia. L’influenza opprimente del mercato, infatti, e le lusinghe della comunicazione creano, in alcuni casi subdolamente, una condizione di assoggettamento tanto più diffuso quanto meno consapevole. Al massimo della libertà apparente corrisponde il minimo di libertà sostanziale (esattamente come per la democrazia).

LA DIMENSIONE PUBBLICA DELL’ARTE

Ma l’arte – ed è questo a conferire ad essa un particolare interesse – è fenomeno che lega indissolubilmente la solitudine dell’artista con la dimensione pubblica che le è intrinseca. Il volto dell’artista è in quanto si rivolge a quello del fruitore e la sua opera è l’oggetto che unisce entrambi, rendendoli dipendenti l’uno dall’altro. Al problema della libertà dell’artista, si aggiunge e si intreccia, quindi, quello della libertà del suo pubblico. Anche relativamente a questo aspetto è diffusa l’opinione che gli interessi del grande pubblico siano guidati dal libero arbitrio. In realtà non c’è altra attività creativa umana capace di attrarre nel modo più disuguale l’attenzione di un pubblico che, rispetto ad essa, tendenzialmente mostra ignavia o addirittura ostilità, per altro, molto facilmente spiegabili. Non è chi non veda, infatti, come sia fondamentale per un pubblico consapevole una consuetudine alla frequentazione dell’arte e una cultura visiva sorretta da un bagaglio di conoscenze minime. Si pensi, più prosaicamente, alla condizione di un gruppo di alieni sceso da un altro pianeta e obbligato ad entrare in uno stadio e assistere ad una partita di calcio, senza conoscerne minimamente le regole. Credo che quel pubblico non parteciperebbe emotivamente allo svolgimento della gara, così come farebbe qualsiasi pubblico “educato” a questo sport.

LA STORIA DELL’ARTE TRASCURATA E VILIPESA

Per l’arte è esattamente la stessa cosa. Se c’è una materia che è sistematicamente trascurata e vilipesa nelle nostre scuole è proprio la storia dell’arte. Su di essa quello inferto dalla ministra Maria Stella Gelmini in questi ultimi tempi è stato solo l’ultimo e definitivo colpo di grazia. A questa ignoranza intesa come non conoscenza, si aggiunge (una sparatoria sulla croce rossa) l’effetto stordente e fuorviante dei messaggi imposti dal senso comune teleindotto e teleguidato. Senso comune edonistico, consumistico, banalizzante, e semplificatorio. Senza contare il retaggio antichissimo di una tradizione iconografica fondata sulle grandi narrazioni dell’arte sacra di cui l’immaginario collettivo è ancora ostaggio. In conclusione, un pubblico medio, ancorché mediamente scolarizzato, rispetto alle arti visive è totalmente bloccato, compiutamente incapace di esprimere libero arbitrio, condizionato e manovrabile. Le grandi mostre di circostanza su gli Impressionisti e Van Gogh, l’oro e i riccioli dell’Art nouveau, pur producendo episodiche file fuori dai musei, non dimostrano niente di diverso. Semmai, ancora una volta indicano l’efficacia degli strumenti di persuasione di massa che tendono ad accreditare i soliti triti e ritriti stereotipi. C’è da dire che di questa sostanziale separatezza fra arte contemporanea e società civile si giova ampiamente un sistema dell’arte tutto piegato su se stesso e sui suoi interessi meno immateriali. Alla cosiddetta immaterialità dell’arte contemporanea, infatti, corrisponde il peso e la consistenza molto materiali degli interessi finanziari e speculativi che la muovono. E la separatezza di cui sopra è funzionale alla riproduzione di un’ atmosfera esoterica (da superaddetti ai lavori, tanto per intendersi) che giustifica le altissime quotazioni di alcuni artisti contemporanei. Quotazioni molto spesso assolutamente indipendenti dal valore degli artisti stessi, ma sempre prossime agli interessi delle lobbie che li sostengono.

ARTE E DEMOCRAZIA

Riteniamo di aver ragionevolmente illustrato la condizione di sovranità limitata sofferta non solo degli artisti ma anche dei potenziali fruitori dell’arte. Ci si chiederà a questo punto cosa c’entra la democrazia. Noi crediamo che c’entri moltissimo, non fosse altro per il fatto che un ipotetico governo del popolo che non sia capace, nel caso di specie, di occuparsi minimamente di arte proprio nel paese che detiene la gran parte dei capolavori artistici dell’umanità, molto difficilmente sarà in grado di occuparsi democraticamente del resto. Ragionare d’arte, come vedete, è stato utile nello svolgere la matassa di un ragionamento che facilmente può arrivare a conclusioni di carattere più generali. Vediamo quali.

1) l’arte è un’attività creativa solo apparentemente libera. Anzi, le sue manifestazioni più ardite e progressive sono l’espressione di una dialettica fra sostanziale rigidità degli assetti iconografici legati al potere e spinte rivoluzionarie verso l’innovazione.

2) La libertà non esiste senza uguaglianza. Laddove per uguaglianza non si intende banalmente una sciatta e piatta identità di capacità e di destini, ma piuttosto una equivalente possibilità di crescita e di sviluppo delle proprie capacità, a prescindere dalla propria provenienza di classe e anche a prescindere dai propri limiti biologici (non intellettuali). Libertà dunque, intesa prima di tutto come libertà dal bisogno, emancipata, cioè, dai vincoli biologici e di classe che il caso spalma sugli umani. Le stesse chance per tutti i nati sulla faccia della terra: è questo il tratto irrinunciabile per qualsiasi libertà sostanziale. A partire da questa uguaglianza potranno esprimersi le libere espressioni del talento individuale, in arte come in qualsiasi altra attività umana. Senza di ciò non c’è libertà ma solo un simulacro di essa. A ben guardare, è questo il discrimine che dovrebbe tracciare una linea di demarcazione chiara e non equivoca fra destra e sinistra. A destra: il darwinismo sociale come orizzonte unico e dirimente, a sinistra il diritto all’eguaglianza delle chance come presupposto irrinunciabile di una libertà non formale. Della libertà vera.

3)Se la libertà è indissolubilmente legata all’uguaglianza (altrimenti semplicemente non è), allo stesso modo la democrazia è legata alla libertà intesa in senso sostanziale. In una società in cui non siano garantiti a tutti i diritti elementari (alla salute, all’abitare, all’istruzione -anche artistica – ecc.), cioè in una società disuguale, non c’è libertà, quindi non ci può essere democrazia. La possibilità di accedere a libere elezioni non sposta i termini della questione. Perché le elezioni non possono essere libere se la facoltà di giudizio degli elettori è minata dall’ignoranza e dalla ottusa parzialità di un pensiero unico confezionato ad uso e consumo delle pochissime oligarchie dei liberi (loro sì) decisori della nostra società.