*Forum contro la guerra
SI È SVOLTA IN MAGGIO AD ATENE L’ASSEMBLEA GENERALE DEL CONSIGLIO MONDIALE DELLA PACE. UN CUBANO ELETTO NUOVO PRESIDENTE.
Dal 6 al 9 maggio 2004 si è svolta ad Atene l’Assemblea generale (quadriennale) del Consiglio Mondiale della Pace (1) (WPC): un organismo che, pur vantando una storia gloriosa di mobilitazioni per la pace e il disarmo in questo dopoguerra, era entrato in crisi profonda nel corso degli anni ’80, in concomitanza con la crisi dell’Urss e del campo socialista (a cui era fortemente legato); e che – dopo un difficile e tormentato travaglio – è riuscito solo in questi ultimi anni a dare alcuni segni tangibili di ripresa. Ciò grazie soprattutto all’iniziativa di alcuni partiti comunisti come quello greco (KKE), portoghese, cubano, vietnamita, dei due PC indiani, e di una serie di Comitati e movimenti antimperialisti nei vari continenti che – pur dentro una discussione tutt’altro che unanime e scontata – hanno scelto di lavorare per un suo rilancio, che tenesse conto ovviamente delle lezioni del passato e di un quadro mondiale radicalmente mutato rispetto a quello bipolare.
Erano presenti all’incontro di Atene 134 delegati, rappresentanti di 62 organizzazioni che operano in 47 diversi paesi. Per l’Italia, in veste di osservatore, era presente il Forum contro la guerra (2) .
C’erano delegazioni da tutto il mondo: Asia, Africa, Europa occidentale ed orientale, America Latina e Stati Uniti. Alcune di esse rappresentavano piccoli movimenti e organizzazioni che cercano, nei rispettivi Paesi, di portare dentro il più complessivo movimento per la pace un orientamento antimperialista; altri – come è il caso ad esempio di Comitati provenienti da India, Cuba, Siria, Vietnam, Egitto, Congo, Corea, Francia, Grecia, Cipro, Portogallo, Germania, Giappone, Messico, Namibia, Palestina, Serbia, Finlandia, Zimbabwe… – erano invece espressione diretta di veri e propri movimenti di massa capaci di mobilitare complessivamente decine di milioni di persone.
Da non sottovalutare la presenza di ufficiali ed ex-ufficiali di vari Paesi (Russia, Grecia, Portogallo, Bulgaria, Germania…) che hanno dato vita ad una Conferenza che si propone di costruire un coordinamento europeo di “militari per la pace”, per la distensione, per l’amicizia tra i popoli, contro le basi militari straniere, sulla funzione di difesa nazionale e non imperialista e aggressiva degli eserciti.
Significativo anche il collegamento che il Consiglio mondiale della pace è venuto ristabilendo con importanti organizzazioni internazionali, che hanno partecipato e aderito all’Assemblea di Atene, come la Federazione mondiale della gioventù democratica , la Federazione sindacale mondiale, la Federazione mondiale democratica delle donne: organizzazioni che, poco influenti nei paesi capitalistici più sviluppati, esprimono invece una forza organizzata ragguardevole di decine e decine di milioni di giovani, di lavoratori, di donne, soprattutto nei Paesi del Sud del mondo (la sola Federazione giovanile conta circa 70 milioni di iscritti, senza contare le organizzazioni giovanili cinesi ad essa affiliate…).
E non è un caso che, dopo il Forum Sociale Mondiale (WSF) di Mumbai, che ha visto emergere una piattaforma sempre più marcatamente antimperialista (fino alla esplicita solidarietà con la resistenza irakena…), tali organizzazioni siano entrate a far parte del Consiglio Internazionale del Forum, cioè del suo massimo organismo mondiale di coordinamento, contribuendo a rafforzarne le componenti antimperialiste.
In questo contesto più generale, l’assemblea di Atene ha rappresentato un momento importante e un passo avanti nel processo di riorganizzazione e di coordinamento su scala mondiale e continentale delle componenti che operano su basi antimperialiste all’interno del movimento per la pace, che per sua natura (e giustamente) è assai eterogeneo sul piano politico e ideologico In molti casi (non sempre…) sono stati proprio i comunisti (esemplare il caso dell’India) a operare unitariamente come la forza più propulsiva, più determinata, più consapevole del movimento stesso, con ripercussioni positive sull’orientamento generale del movimento su scala mondiale, come appunto si è visto a Mumbai.
UN FRONTE ANTIMPERIALISTA
Non per caso in tutti gli interventi del meeting di Atene si è sottolineata l’esigenza e la possibilità di costruire, nel mondo del 21° secolo, un ampio fronte anti-imperialista che veda la convergenza di popoli, organizzazioni politiche e sociali, governi, Stati, che in sinergia col variegato movimento mondiale per la pace sappia opporsi all’egemonismo USA e ai rischi che esso rappresenta per l’intera umanità.
Già al WSF di Mumbai (3) qualcosa si era mosso in questa direzione, anche se in Italia la parentesi indiana del “movimento dei movimenti” è stata frettolosamente archiviata.
Nella partecipazione si era passati dai 20.000 delegati del 2003 a Porto Alegre agli oltre 100.000 delegati provenienti da 154 Paesi. Se in Brasile il 73,4% dei partecipanti erano studenti universitari e intellettuali (4), l’edizione indiana è stata caratterizzata da un’imponente partecipazione popolare, con l’apertura del Forum affidata a un “paria”, rappresentante della parte più povera della società indiana. Nel documento finale si è parlato di lotta al neoliberismo e all’imperialismo, di diritto all’autodeterminazione per il popolo iracheno e di chiusura delle basi militari americane in tutto il mondo: temi questi quasi assenti nelle precedenti edizioni. E sempre in India, a distanza di pochi mesi dal W S F, le ultime elezioni hanno creato un terremoto politico. Nel voto è stato sconfitto il governo Vajpayee (liberista e filo americano) e ha prevalso l’alleanza elettorale tra il Partito del Congresso di Sonia Gandhi e i due Partiti comunisti (5).
Questo dato ha suscitato forti preoccupazioni nei mercati finanziari e nei gruppi dirigenti dell’imperialismo USA, tanto da far scrivere al Corriere della Sera che “a far passare un brivido nella spina dorsale di ogni investitore è stata una dichiarazione di Prakash Karat, un membro importante del Partito Comunista dell’India (marxista), una delle formazioni che saranno decisive nel sostegno al governo che il partito del Congresso e Sonia stanno cercando di formare. ‘Il ministero delle privatizzazioni – ha detto Karat – non è più necessario, questa è la posizione del partito’. E anche il rapporto con gli Stati Uniti, che Vajpayee aveva consolidato come contrappeso a Pakistan e Cina, cambierà certamente: il Congresso ha nel suo Dna l’opposizione all’”imperialismo americano” e il non allineamento. In più, entrerà in coalizione con due partiti comunisti nettamente anti-Washington. Lo stesso vale per Israele, verso il quale Vajpayee aveva un occhio di riguardo” (6).
Non è superfluo sottolineare che in India vivono più di 1 miliardo di persone e che, insieme alla Cina, è uno dei paesi in grado di sfidare la supremazia USA nel 21° secolo (7). Un dato questo che è più volte riecheggiato negli interventi dei numerosi delegati indiani presenti all’assemblea di Atene. Nel documento finale del WPC si plaude alle “recenti iniziative di India e Pakistan volte alla normalizzazione delle relazioni bilaterali… e a promuovere un’atmosfera di pace nel sub-continente indiano” e si contestano “ le pressioni esercitate dagli Usa sul Bangladesh per ottenere un accordo militare bilaterale per poter impiantare una base militare USA nella Baia del Bengala”. Si “esprime solidarietà al popolo di Corea che lotta contro l’egemonia USA e si… chiede il ritiro delle truppe USA dalla penisola coreana, …nel contesto di una soluzione pacifica dei problemi nucleari tra Corea del Nord e Usa, tramite negoziati. La svolta dell’India avrà positive influenze sull’intera situazione geopolitica del continente asiatico.”
Ma l’India non è sola. Nelle recenti elezioni politiche in Sud Africa l’ANC (African National Congress) ha ottenuto il 70% dei seggi parlamentari, dei quali quasi la metà sono andati ai comunisti o a deputati vicini alle posizioni del partito: un voto che rafforza la possibilità di emancipazione economica e geopolitica di quel paese e, con esso, dell’intero continente africano (8).
Tutte le delegazioni provenienti dall’America Latina hanno sottolineato l’aggressività dell’imperialismo nord-americano e le politiche di rapina e militarizzazione rappresentate dal NAFTA e dall’ALCA, cui si accompagna però anche la tenuta e lo sviluppo dell’economia di Cuba e la crescita dei movimenti anti-imperialisti, senza i quali sarebbero impensabili esperienze di governo come quelle di Chavez in Venezuela o di Lula in Brasile. Ciò indica la possibilità concreta che da questo continente venga un contributo decisivo alla sconfitta dell’egemonismo USA. Nel documento finale si saluta “l ’ alternativa bolivariana per le Americhe come proposta sovrana alternativa al progetto neo-liberista dell’imperialismo…e il fermo sostegno a Cuba”.
LA RESISTENZA IRACHENA
I popoli dell’Asia, Africa e America Latina, fino a ieri terra di conquista dei principali imperialismi di tutto il mondo, sono oggi attori potenziali di un fronte anti-imperialista in grado di dire no allo strapotere delle multinazionali e di opporsi ai processi di neo-colonizzazione portati avanti dai principali paesi capitalisti, anche quando essi sono corazzati con il più potente esercito del mondo. La stessa cronaca di questi mesi dovrebbe far riflettere. In Medio Oriente, in seguito all’aggressione e all’occupazione militare dell’Iraq e della Palestina, stanno crescendo movimenti di liberazione nazionale la cui importanza, unitamente alla resistenza del popolo iracheno e al suo valore ‘universalistico’, è stata sottolineata da tutti i delegati presenti alla riunione di Atene.
Per i popoli arabi, insieme a quello iracheno, significa mantenere aperta una prospettiva di emancipazione e indipendenza nazionale: se gli USA non hanno ancora dichiarato guerra all’Iran e alla Siria, ciò è dovuto in primo luogo alla mancata stabilizzazione dell’Iraq. L’intero progetto di “grande Medio Oriente americano” vede oggi in questa resistenza il suo principale ostacolo.
Paesi come Francia e Germania, sempre inclini alle sirene della più cinica realpolitik, difficilmente avrebbero resistito alla “solidarietà atlantica” e all’accettazione dell’occupazione irachena senza questa novità epocale. Lo stesso dibattito all’interno alle classi dirigenti nordamericane ne ha risentito: se oggi l’unilateralismo dei conservatori ha meno consensi e una parte dell’amministrazione Bush chiede con più forza un coinvolgimento dell’ONU (Powell) lo si deve alle difficoltà incontrate sul campo dagli eserciti “liberatori”. E se oggi si può parlare in modo non velleitario di crisi del “progetto unipolare per la supremazia USA nel 21° secolo”, di crisi della strategia della guerra preventiva, ciò lo si deve innanzitutto alla resistenza del popolo iracheno.
Ma gli effetti benefici vanno oltre la sfera delle diplomazie: lo stesso movimento pacifista è oggi ancora in campo, dopo la crisi di sconforto e di riflusso che lo aveva attraversato all’indomani dell’occupazione militare dell’Iraq, grazie ai“fratelli e alle sorelle irachene che resistono (9)”. Nel documento finale del WPC si esprime “solidarietà con la resistenza del popolo irakeno contro l’occupazione e si chiede l’immediato e completo ritiro delle forze di occupazione affinché sia concesso agli iracheni di autodeterminarsi”. E si conferma pieno sostegno alla causa palestinese
Altro tema discusso nella sessione di Atene del WPC è stata la militarizzazione delle relazioni internazionali che spinge i principali paesi del mondo verso una nuova corsa al riarmo, alla militarizzazione dello spazio e alla proliferazione delle armi nucleari (10).
ARMI NUCLEARI E BASI STRANIERE
Nel documento finale si afferma che “gli USA hanno adottato la strategia dell’attacco preventivo nucleare abbandonando l’accordo stipulato da tutti i paesi con armi nucleari di non utilizzare per primi queste armi. Gli USA e la Francia hanno programmato di sviluppare nuovi tipi di armi nucleari da utilizzare in scenari di guerra urbana”. Una situazione che, “accompagnata dalla rivalità tra i diversi poteri per assicurarsi il controllo e la spartizione delle sfere di influenza e dei mercati, crea una intensificazione dello stato di guerra e in più la probabilità di conflitti generalizzati, che portano in prospettiva ad un impatto globale”. È stato inoltre discusso e approvato il lancio di una campagna mondiale per la messa a bando di tutte le armi di distruzione di massa, a partire da quelle nucleari. L’8 Agosto 2005 ricorrerà il 60° anniversario di Hiroshima e Nagasaki: sarà probabilmente in quella data che tale campagna prenderà il via nei principali paesi del mondo, con l’obiettivo di raccogliere centinaia di milioni di firme in tutti i continenti.
Ma militarizzazione delle relazioni internazionali significa anche basi militari USA e Nato, soprattutto per noi europei. È un punto sollevato da diverse delegazioni e sul quale l’intero movimento pacifista dovrebbe aprire una riflessione. Dopo il crollo dell’URSS, principale contrappeso internazionale all’egemonismo USA, anziché essere superata la Nato è stata rafforzata, allargandone gli orizzonti e il campo di azione (11). È la Nato che gestisce l’occupazione di parti della Jugoslavia. È la Nato che gestisce l’occupazione dell’Afganistan. E anche in Iraq, soprattutto a fronte di una crisi della strategia dei neoconservatori americani, il coinvolgimento della Nato potrebbe rappresentare il punto di mediazione tra gli interessi USA e quelli del rinascente imperialismo europeo.
Richard Perle, uno dei principali teorici della guerra preventiva, in una recente intervista al Corriere della Sera ha affermato : “Io sono contrario a un ruolo dell’ONU in Iraq perché complicherebbe soltanto la situazione. Sono invece favorevole a un ruolo della Nato, quindi a una presenza dei suoi soldati .L’ONU è condizionata dalla Cina e dalla Russia. Sarebbe come fare entrare cinesi e russi nella Nato, che non è mai stata subordinata all’ONU” (12).
Lo stesso John Kerry, candidato democratico alle prossime elezioni presidenziali americane, parla esplicitamente della Nato come possibile soluzione al disastro iracheno (escludendo quindi un ritiro degli eserciti occupanti). Nella recente riunione del G8 in Georgia gli USA e la Gran Bretagna hanno proposto un maggior coinvolgimento della Nato in Iraq, ipotesi contrastata da Russia e Cina insieme, almeno fino ad ora, a Francia e Germania. C’è da scommettere però che nei prossimi mesi le sirene dell’atlantismo si faranno sentire su tutta l’Europa.
Nel documento finale di Atene si rileva che “se la Jugoslavia è stato il campo per l’applicazione della nuova dottrina preventiva della NATO, l’Afghanistan e l’Iraq sono state le prime vittime della nuova terrificante dottrina della guerra preventiva”; e si afferma che “la politica delle alleanze militari (Nato, Trattato Usa- Giappone sulla sicurezza, e altri) è stata ulteriormente intensificata allo scopo di coinvolgere più alleati nella strategia USA e, lungo questa linea, le basi militari in USA e all’estero sono state rafforzate e riorganizzate in tutto il mondo” (13). Il documento “esprime la sua solidarietà al popolo jugoslavo nella sua lotta contro l’occupazione Nato di parte del territorio serbo, del Kossovo e la sua trasformazione in un protettorato Nato” e “denuncia il cosiddetto tribunale dell’Aja come esempio di manipolazione della verità e tentativo di legittimazione dei crimini e dell’aggressione degli Usa e della Nato”.
La chiusura delle basi militari americane, la fuoriuscita dell’Italia e dell’Europa dalla Nato, la battaglia contro “l’Esercito europeo e i processi di rapida militarizzazione reazionaria dell’UE” (14) dovrebbero diventare obiettivi e priorità dell’intero movimento pacifista, sui quali incalzare il mondo della politica.
CONTRO LA NATO E L’ESERCITO UE
Chiedere all’Europa di rompere con la guerra preventiva e assumere la Pace come pratica politica significa innanzitutto chiedere, unitamente all’inserimento dell’art. 11 della Costituzione italiana in quella europea, il superamento dei vincoli atlantici: oggi la Nato rappresenta un’autentica camicia di forza per una possibile Europa autonoma e di pace.
Se qualche anno fa questa poteva sembrare una battaglia testimoniale, oggi vi sono segnali più che incoraggianti. Per rimanere in Italia, le iniziative del gennaio 2003 contro i “treni della morte” hanno iniziato a segnalare il problema. Qualche mese fa l’intera popolazione sarda si è mobilitata per la chiusura della base americana della Maddalena: una mobilitazione talmente forte che ha spinto la maggioranza del consiglio regionale a chiedere a sua volta la chiusura di tale base. In Toscana, Emilia Romagna, Puglia, Liguria, Sicilia, Campania vi sono comitati di lotta sorti in prossimità di basi americane e Nato che ne chiedono la chiusura. Le stesse carovane della pace, che in preparazione del 20 marzo hanno girato in lungo e in largo tutta l’Italia, hanno svolto le principali iniziative davanti a questi luoghi simbolo delle guerre di aggressione, a dimostrazione che questo è un tema molto sentito nei vari territori e dai movimenti locali. Anche la manifestazione nazionale del 4 giugno a Roma, nonostante si sia svolta in un giorno feriale e in un clima “terroristico” organizzato ad arte da Governo e mass-media, ha visto la presenza di 200.000 persone, in gran parte giovani, scese in piazza per dire che l’Italia non è il 51° stato USA.
Quello che stupisce, semmai, è che tali problematiche non siano ancora diventate priorità del movimento e della politica. Anche se alcuni passi in avanti sono stati fatti. A gennaio del 2004, nella storica sede dell’ANPI di Milano, si è svolta la prima assemblea nazionale del Forum Contro la Guerra (www.forumcontrolaguerra.org ) nel cui appello costitutivo si legge che “è l’intera struttura degli automatismi, dei vincoli e dei condizionamenti alla nostra sovranità connessi all’adesione alla Nato che va rivista radicalmente. Non é più accettabile che un paese venga coinvolto in una guerra sulla base di trattati siglati cinquanta anni fa e mai verificati democraticamente. Lo smantellamento delle basi militari che ospitano armi nucleari, bombe, aviogetti statunitensi, deve costituire un obiettivo prioritario della ‘politica’ ed un significativo passaggio di qualità dell’ampio e unitario movimento che si oppone alla guerra in Italia, in Europa, nel mondo”.
A tale Forum hanno aderito esponenti della cultura, del mondo del lavoro e di organizzazioni sindacali come Fiom, Rdb, sinistra Cgil, di associazioni laiche e cattoliche, del Prc, Pdci, Verdi e sinistra DS. In diverse città italiane si sono costituiti o sono in via di costituzione Forum contro la guerra territoriali. Sempre qualche mese fa, all’indomani della riuscita manifestazione del 20 Marzo a Roma, si è costituito il “Comitato nazionale per il ritiro delle truppe italiane dall’Iraq”. Tale comitato, insieme al lancio di una petizione popolare (15) in cui si chiede il ritiro delle truppe italiane, il taglio delle spese militari e l‘aumento delle spese sociali, ripropone a livello di massa il tema delle basi militari USA e Nato in Italia.
Il 15 febbraio di un anno fa 110 milioni di persone si sono mobilitate in tutto il mondo per dire no al progetto di guerra preventiva, che ha visto nell’aggressione all’Iraq un’inquietante dimostrazione. Oggi quel movimento si mobilita per chiedere il ritiro di tutte le truppe di occupazione. Ma opporsi alla guerra preventiva significa anche, in Italia, far crescere un fronte politico e sociale che al ritiro dei militari italiani dall’Iraq associ la difesa della nostra sovranità nazionale, il rispetto rigoroso dell’art. 11 della Costituzione e la lotta al liberismo. Per dirla con le parole che Gino Strada ha usato al recente congresso nazionale della Fiom: “non c’è pace senza democrazia, non c’è democrazia senza giustizia sociale, non c’è giustizia sociale se non si elimina lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo”. Nel mondo del lavoro e nel movimento pacifista italiano vi sono le risorse, le energie e le disponibilità per “una trasformazione democratica e sociale che, mettendo al bando la guerra, cominci anche ad indicare una alternativa di società tesa ad impedire che l’umanità sia nuovamente vittima delle guerre e della competizione globale tra le maggiori potenze capitaliste” (16). Si tratta di dare sostanza organizzata a questo lavoro. Ce lo chiede la futura Europa di pace e giustizia sociale.
CONSIGLIO EUROPEO DELLA PACE
Durante la riunione di Atene vi sono anche stati gli incontri delle delegazioni continentali. Ho preso parte a quello europeo. I temi discussi sono stati tanti, e sarebbe lungo elencarli tutti. Mi limito ad alcuni dati. Innanzitutto la partecipazione: vi erano delegazioni di Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Inghilterra, Italia, Portogallo, Federazione Russa, Serbia-Montenegro, Spagna, Svizzera. Già questo fatto fa riflettere. Poche settimane fa vi è stato l’allargamento ad est della Nato e della stessa UE. Credo sia un’esigenza ormai matura pro-durre un analogo allargamento anche nei confronti di quei movimenti che lottano contro la guerra, contro la militarizzazione dell’Europa e contro il liberismo. Proprio su questo punto è stato deciso di convocare almeno una volta l’anno la riunione del Consiglio Europeo della Pace e farne un luogo di confronto e coordinamento di tali movimenti, dal Portogallo alla Russia.
È stato anche deciso un calendario minimo di iniziative. A giugno, in Germania, si svolgerà una conferenza sulla militarizzazione europea. A settembre, anniversario dell’inizio della seconda Intifada, saranno promosse iniziative contro il “muro della vergogna” davanti alle ambasciate israeliane di tutta Europa, nella consapevolezza che la questione palestinese, insieme a quella irachena, è centrale per tutto il Medio Oriente. Vi sarà la partecipazione al contro-vertice della NATO che si svolgerà ad Istanbul il 28-29 giugno: in tale occasione, oltre a mobilitazioni e iniziative di piazza, l’Associazione per la Pace della Turchia organizzerà una conferenza internazionale sul “ Nuovo ruolo della Nato nel futuro scenario imperialista: come fermarla?”.
Vi sarà la partecipazione del Consiglio Europeo della Pace al Forum Sociale Europeo che si svolgerà a Londra dal 15 al 17 ottobre. Dopo la positiva esperienza di Mumbai, sottolineata da molti delegati, anche questo appuntamento sarà un utile occasione per rilanciare la mobilitazione contro la guerra e contro i processi di militarizzazione che stanno investendo l’UE. Londra vedrà la partecipazione di tutte le organizzazioni presenti ad Atene.
I NUOVI ORGANISMI DEL WPC
Nell’ultima giornata sono stati rieletti gli organismi dirigenti del WPC. Nel Comitato Esecutivo, organismo rappresentativo dei principali movimenti, sono presenti nove membri dall’Asia, otto dall’Europa, dieci dalle Americhe, cinque dal Medio Oriente e sette dall’Africa. È stato confermato nel ruolo di segretario generale Thanassis Pafilis, membro del “Comitato greco per la pace e la distensione internazionale”, il Comitato che ha promosso e organizzato l’assemblea mondiale di Atene. È stato eletto presidente Orlando Fundora Lopes esponente del “Movimento cubano per la pace e la sovranità dei popoli”. È stata eletta una segreteria esecutiva di cui faranno parte anche i coordinatori regionali (17) : per l’Europa il Consiglio portoghese per la pace e la cooperazione, per le Americhe il Movimento messicano per la pace e lo sviluppo, per l’Asia il Comitato per la pace del Vietnam, per il Medio Oriente il Comitato per la pace egiziano, per l’Africa il Comit ato per la pace del Congo.
Sono stati confermati Presidenti onorari Evangelos Mahairas, presidente del Comitato Greco, e Romesh Chandra, figura storica del WPC di cui è stato segretario generale dal 1966 al 1977 e presidente dal 1977 al 1990.
Il WPC si è concluso con la partecipazione di tutti i delegati alla riuscitissima manifestazione di apertura delle Olimpiadi della pace, con una Maratona popolare in cui sono confluiti i delegati del WPC, conclusasi davanti alla sede dell’Ambasciata USA di Atene, completamente circondata e protetta dalle forze di polizia.
Atene, insieme ai suoi colori e alle sue bellezze artistiche, mi ha lasciato l’impressione che nel 21° secolo, iniziato all’insegna della guerra preventiva e delle aggressioni all’Afganistan e all’Iraq, vi sia un complessivo risveglio dei movimenti anti-imperialisti di tutto il mondo, dall’Asia all’Africa, dall’America Latina agli stessi Stati Uniti. Risveglio che può dare un contributo decisivo alla costruzione di un nuovo ordine mondiale non americano. E che per noi europei, attori e protagonisti di una possibile Europa di pace, un rapporto con tali movimenti è una via obbligata. L’augurio è che nel prossimo Forum Sociale Europeo di Londra, così come successo a Mumbai, possano riecheggiare le parole finali del meeting di Atene che esortano “tutte le organizzazioni e i movimenti a livello nazionale, regionale e internazionale a lottare per difendere la pace contro i piani imperialisti e ad unire le loro voci e le loro azioni per un mondo di pace, uguaglianza, giustizia e solidarietà”.
Note
1 Il WPC è un’organizzazione nata all’indomani della seconda guerra mondiale. Tenne il suo primo congresso mondiale a Parigi, nell’aprile 1949, presieduto da Pietro Nenni e Joliot-Curie (famoso fisico nucleare francese che partecipò alla costruzione della prima bomba atomica). Promosse una campagna mondiale per la messa al bando delle armi nucleari (il famoso appello di Stoccolma), raccogliendo 600 milioni di firme in tutto il mondo. Solo in Italia ne furono raccolte otto milioni, in Francia sette. Tale campagna ebbe molto seguito anche negli Stati uniti: 4.000 intellettuali americani promossero un appello, sostenuto da diverse confessioni religiose di vari Stati americani. L’affermarsi negli anni ’70-‘80 della “coesistenza pacifica”, basata essenzialmente sull’equilibrio delle capacità militari e nucleari tra URSS e USA, ebbe ripercussioni sull’unità e il prestigio del WPC. In questo periodo, soprattutto in occidente, si sviluppano movimenti per la pace e contro la corsa al riarmo nucleare che assumono un’equidistanza tra i due blocchi, e nei quali il WPC non svolge più un ruolo propulsore. Il crollo dell’Urss ne acuisce la crisi. Per maggiori informazioni si veda il sito del WPC, www.wpc-in.org . Sul sito www.forumcontrolaguerra.org si può consultare il documento integrale approvato alla riunione di Atene insieme alla lista completa di tutte le organizzazioni presenti.
2 Il 27 Marzo 2004, in veste di osservatore, il Forum contro la guerra ha partecipato a Lisbona alla riunione del Consiglio Europeo della Pace, in preparazione del meeting di Atene.
3 Vedi l’articolo di Francesco Maringiò “La svolta di Mumbai”, uscito sul n. 1 de l’ernesto 2004, nel quale si analizzano più in dettaglio le novità emerse nella IV edizione del WSF.
4 Studio condotto dalla IBASE di Rio de Janeiro. Cfr: La rivista del manifesto, 22 gennaio 2004.
5 Il Partito comunista indiano (CPI) e il Partito comunista indiano-marxista (CPIm). Contano oltre 1 milione e 500 mila iscritti militanti, dirigono organizzazioni di massa di contadini, operai, giovani e donne i cui iscritti superano i 50 milioni. Oltre a governare tre Stati la cui popolazione si aggira sui 120 milioni di persone, nelle recenti elezioni politiche hanno aumentato i loro consensi passando da 37 a 54 parlamentari (10% del Parlamento), indispensabili al Partito del Congresso per la formazione del nuovo governo, nel quale peraltro i comunisti hanno deciso di non entrare per incompatibilità programmatiche. È il risultato elettorale più alto ottenuto dai comunisti dall’indipendenza dell’India (1947).
6 Articolo di Danilo Taino, Corriere della Sera del 15 maggio 2004.
7 In un recente articolo-inchiesta su Cina e India uscito sul Corriere della Sera del 5 Maggio 2004 a firma di G. Caprara si legge “L’India dispone di vettori aerospaziali concorrenti di americani, cinesi e russi nel trasporto di satelliti civili. Ma L’india, culla di matematici, è anche il paese che esprime i migliori softwaristi del mondo, ed è in grado di produrre supercomputer con potenze di elaborazione analoghe a quelle americane. È grazie a questi strumenti che New Dalhi ha potuto varare le “Aree di ricerca ad alta priorità che riguardano nanotecnologie, neuroscienze, ricerca climatica”.
8 Il Sud-Africa è il paese più industrializzato del continente africano. È ricchissimo di minerali come oro, diamanti, platino, ferro e carbone. Ha un industria metalmeccanica, chimica e tessile in continua crescita. Con la fine dell’appartheid e l’avvento al potere dell’ANC, del quale i comunisti sono una delle componenti maggioritarie, ha lavorato per costruire progetti di cooperazione con altri paesi dell’Africa australe quali il Monzambico, Zimbabwe e il Congo Zaire, quest’ultimo ricchissimo di minerali preziosi. Negli ultimi anni è stato protagonista della vittoriosa battaglia per l’abbassamento del prezzo dei farmaci anti-AIDS, vincendo le resistenze delle principali multinazionali farmaceutiche occidentali. Nel documento finale approvato ad Atene si “ denuncia le interferenze straniere negli affari interni dei paesi africani e condanna l’imposizione di sanzioni da parte dei governi USA e britannico a carico dello Zimbabwe”. Il Sud Africa rappresenta il volano per una possibile indipendenza economica e geopolitica dell’intera Africa australe.
9 La “seconda superpotenza” mondiale, dopo le imponenti manifestazioni del 15 febbraio (3 milioni solo a Roma), non era riuscita a produrre ulteriori mobilitazioni per tutto il 2003. Senza l’appello finale di Mumbai difficilmente vi sarebbe stato il 20 marzo in Italia. Le stesse mobilitazioni di queste settimane, compre sa quella del 4 giugno a Roma, hanno ricevuto un importante impulso dall’emergere in Iraq di una diffusa resistenza popolare all’occupazione. Il testo finale dell’appello di Mumbai lo si può trovare sul sito www.forumcontrolaguerra.org .
10 Proprio questo era uno dei temi mancanti nel documento finale di Mumbai. Nella piattaforma costitutiva del Forum contro la guerra si legge che “una nuova corsa agli armamenti non è la strada giusta per la prospettiva di un mondo multipolare, non più dominato dalla supremazia della superpotenza statunitense. Tale prospettiva va perseguita con una linea di disarmo progressivo e bilanciato, di riequilibrio al ribasso, che tuteli la sicurezza di ognuno e punti a un Trattato internazionale per la effettiva messa al bando di tutte le armi di sterminio, a partire da quelle nucleari”. È una delle proposte che il Forum contro la guerra ha portato al WSF. Sul sito www.forumcontrolaguerra.org potrete trovare un resoconto dettagliato della nostra presenza a Mumbai.
11 Una particolare importanza ha avuto il vertice di Praga della Nato, novembre 2002. Vedi : “La Nato a Praga” di Fausto Sorini – n. 8 de l’ernesto 2002, in www.lernesto.it .
12 Corriere della Sera, 10 aprile 2004. Va riconosciuto ai teorici della guerra preventiva il pregio della schiettezza: lo stesso allargamento a est della Nato, oramai arrivata ai confini della Russia, non sarebbe comprensibile se non in quest’ottica. Del resto il “grande Medio Oriente americano” è solo un tassello di un più complessivo progetto (la guerra preventiva) che vede nella Russia e nella Cina potenziali “concorrenti globali da abbattere”. E del quale le aggressioni all’Afganistan e all’Iraq sono state inquietanti dimostrazioni.
13 Una riflessione particolare andrebbe fatta sull’Italia e sul ruolo che il nostro paese svolge in questa ristrutturazione della Nato. In un articolo uscito sul Manifesto del 5 giugno Manlio Dinucci osserva come “Nei piani di Washington ci sia il trasferimento del comando delle forze navali USA in Europa da Londra a Napoli. Allo stesso tempo la Sesta Flotta non dovrebbe muoversi dall’Italia. Prima delle elezioni in Spagna i ragionieri del Pentagono sostenevano che era più economico spostare tutto fuori dalle Colonne D’Ercole. Evidentemente la vittoria di Zapatero è stata determinante nel ridisegnare i progetti americani per l’immediato futuro. Il ruolo dell’Italia e la sua collocazione geografica a ridosso del calderone mediorientale è semmai motivo per ulteriori investimenti. L’importanza della posta in gioco autorizza a pensare che nel vertice di Roma tra Bush e Berlusconi sia stata messa in agenda la questione del potenziamento della presenza militare a stelle e strisce in Italia”. Consiglio anche la lettura dell’articolo del 5 giugno 2004 di Alessandro Marescotti (Presidente di PeaceLink) “La nuova mappa delle basi militari dietro i colloqui di Roma”- www.indymedia.org .
14 È quanto si legge nel documento finale dell’assemblea di Atene del WPC, consultabile sul sito www.forumcontrolguerra.org
15 Tutto il materiale inerente il Comitato nazionale per il ritiro delle truppe italiane dall’Iraq, compresa la petizione popolare, lo si può trovare sul sito www.forumcontrolaguerra.org . In diverse città è iniziata la campagna di raccolta firme: l’obiettivo è raccoglierne centinaia di migliaia nei luoghi di lavoro, di studio e nel territorio. Già a fine giugno si depositeranno le prime 100.000 firme raccolte in tutta Italia. Per qualsiasi info [email protected]
16 Dalla piattaforma costitutiva del Forum contro la guerra.
17 Una delle novità introdotte alla riunione di Atene è l’inserimento dei coordinatori regionali nella segreteria esecutiva, per garantire un più stretto rapporto tra il WPC e i movimenti anti-imperialisti di tutti i continenti e favorirne la riorganizzazione e il coordinamento.