Afghanistan: gli interessi geopolitici delle potenze straniere

Pakistan. La sua politica muta secondo le circostanze. Il punto fermo è controllare la politica dell’Afghanistan attraverso l’etnia pashtuni, la più numerosa del paese, tuttavia in misura non così schiacciante (è valutata dalle differenti stime tra il 38 e il 55% della popolazione). Per il Pakistan l’ideale è uno stato-cuscinetto dominato dai pashtuni, ma in maniera tale che essi abbiano costante bisogno del sostegno pakistano. A tal fine torna utile l’eterogeneità etnica, la fragilità economica e l’instabilità politica del paese vicino.
Il timore dei pakistani è un Afghanistan forte e stabile che possa far asse con l’India e stringerli in una morsa: da est, dove è aperta la questione del Kashmir, da ovest, dove potrebbero risvegliarsi le rivendicazioni di un grande Pashtunistan (riunificazione dei 6-8 milioni di pashtuni afghani e dei 12 milioni di pashtuni pakistani) e del Balucistan indipendente (i baluci sono un popolo senza Stato diviso tra Iran, Afghanistan e Pakistan). Sarebbe così rimessa in discussione la linea Durand (attuale confine con l’Afghanistan) tracciata nel 1893 all’epoca della contesa tra impero britannico e impero russo; tale linea che divide appunto in due i pashtuni e in tre parti i baluci sta molto a cuore al Pakistan, paese dove predominano le etnie punjabi e sindi. In altri termini, se è gradita l’influenza dei pashtuni pakistani su quelli afghani, è da scongiurare il contrario.
Dopo il crollo del governo filosovietico di Najibullah (1992) e l’insediamento a Kabul di un governo ad egemonia tagika, il Pakistan manovrò per farlo crollare appoggiando dapprima il movimento Hezb-i-Islami di Hekmatiar (a prevalenza pashtuni) e successivamente, vista la sua debolezza, il movimento dei talebani (sempre a prevalenza pashtuni). Tra i talebani, tuttavia, vi sono diverse correnti, non tutte filopakistane. Dopo la loro disfatta, la manovra per i pakistani si è fatta più complicata per la difficoltà a trovare il “cavallo” giusto e possibilmente vincente su cui puntare. Chi dirige la partita “afghana” è l’ISI, il potente servizio segreto dell’esercito pakistano, che opera anche autonomamente dal governo. Nell’esercito pakistano i pashtuni sono ben piazzati. Dopo lo scioglimento dell’URSS, le nuove repubbliche asiatiche ex-sovietiche aspirano ad una maggiore autonomia da Mosca, pertanto il Pakistan si propone come possibile sbocco al mare, via Afghanistan, per il loro petrolio e gas in alternativa agli attuali oleodotti e gasdotti ex sovietici che transitano per la Federazione Russa.

Iran. L’Iran agisce in Afghanistan contando sulla vicinanza geografica e sul fatto che la maggioranza della popolazione (tagiki, hazara ed altre minoranze) parla dialetti neopersiani (il più diffuso è il dari), più di quanti parlano il pashtuni. Tuttavia solo il 20% circa della popolazione (tra cui gli hazara che popolano un territorio montagnoso nella parte centrale del paese) è sciita (corrente dell’islamismo maggioritaria in Iran). L’Iran si è sempre presentato come difensore degli sciiti, appoggiando quindi la formazione sciita hazara Hezb-e Wahdat-e Islami. L’Iran ha delle mire territoriali su Herat, città afghana prossima al confine con l’Iran, i cui abitanti, pur essendo di lingua persiana, sono sunniti. La provincia di Herat si frappone quindi tra l’Iran e la provincia di Bamiyan abitata dagli hazara. Nemici giurati degli iraniani e degli hazara sono i talebani. Dopo il loro avvento al potere, c’è stata un’interlocuzione con l’alleanza del Nord (a prevalenza tagika e uzbeka) in funzione antitalebana e antipashtuni. Dopo la caduta dei talebani, è prevedibile che la politica di Teheran dipenderà dall’atteggiamento dei nuovi governanti verso la minoranza sciita.

Russia. Dopo la sconfitta militare e politica in Afghanistan e lo scioglimento dell’URSS, la Russia ha ambizioni più limitate: proteggere le frontiere della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) dalle minacce islamiste provenienti da Iran, Pakistan ed Afghanistan. A tal fine vede di buon occhio le forze più “moderate” e “ragionevoli”, quali le milizie uzbeke del generale Dostom e quelle tagike dello Jamaat-i Islami. Ovviamente la Russia non vede di buon occhio eventuali nuovi percorsi per gli idrocarburi delle repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale alternativi alle proprie condutture, anche in ragione della presenza di consistenti minoranze di origine russa in queste repubbliche.

Uzbekistan. È il paese asiatico più forte nato dallo scioglimento dell’URSS, ed intende esercitare un’egemonia in quell’area utilizzando le minoranze uzbeke presenti in Tagikistan e in Afghanistan. Appoggia apertamente le milizie uzbeke del comandante Dostom operanti nel nord dell’Afghanistan. Cerca di proporsi come principale referente degli USA nella regione e come ostacolo al pericolo islamista e al traffico di droga. È fortemente interessato all’apertura di vie commerciali verso l’Oceano Indiano, in particolare al gasdotto transafghano per collegare i giacimenti dell’Asia Centrale al Pakistan. L’atteggiamento verso il nuovo governo afghano dipenderà dal ruolo che sarà riservato alla minoranza uzbeka e a Dostom.

India. L’India tratta la questione afghana in funzione anti-pakistana. Pertanto ha sostenuto fino all’ultimo i governi filosovietici e successivamente le forze tagike e uzbeke, osteggiando i pashtuni. La posizione dell’India dipenderà dalle ripercussioni che l’evoluzione della questione afghana avrà in Pakistan e, in particolare, sulle forze indipendentiste islamiche del Kashmir appoggiate dal Pakistan. L’effetto domino della guerra in Afghanistan potrebbe avere come conseguenza un riacutizzarsi del conflitto indo-pakistano.

Arabia Saudita. Nella rivalità con l’Iran (sciita) per la leadership nel mondo islamico, l’Arabia Saudita (sunnita) vede l’Afghanistan come un argine all’espansione sciita verso est. A tal fine ha creato e finanziato l’Ittihad-e Islami (pashtuni) nemico feroce del Wahdat-e Islami sciiti (hazara).

Cina. Teme un contagio islamista e forniture militari ai separatisti Uighuri operanti nella provincia autonoma del Sinkiang, confinante, per un breve tratto, con l’Afghanistan. Se da una parte la Cina auspica un indebolimento dei movimenti islamisti ai suoi confini, dall’altra vedrebbe come una spina nel fianco la presenza di eventuali basi militari Usa ai suoi confini.

USA. L’Afghanistan preoccupava gli USA sia come maggiore produttore mondiale di oppio, sia per la presenza dei volontari islamisti affluiti per combattere i sovietici e che solo in parte sono tornati nei propri paesi. Pur essendo stati finanziati ed armati dagli USA, oggi, come possiamo vedere, questi miliziani rispondono a logiche del tutto autonome ed incontrollabili. L’altra grande posta in gioco sono le risorse energetiche e i minerali strategici (oro, argento, uranio, minerali rari) dell’Asia Centrale. Tutte le più importanti compagnie petrolifere USA (Chevron, Mobil, Texaco, Exxon, ecc.) hanno stretto accordi per lo sfruttamento e il trasporto degli idrocarburi delle repubbliche ex sovietiche. Infine, ma non in ordine di importanza, la posizione geografica dell’Afghanistan è ideale per controllare le tre grandi potenze asiatiche e mondiali (Russia, Cina, India) e per penetrare in Asia centrale. Non dimentichiamo che chi controlla l’Asia, controlla il mondo.

Conclusione. Una partita a carte scoperte, dunque, e di cui è già prevedebile l’esito? Niente affatto. È un’equazione con numerose variabili e diverse incognite. Mentre i fattori della geografia fisica sono più facilmente valutabili, quelli della geografia umana lo sono molto meno. Ad esempio. Quanto reggerà l’equilibrio tra le forze anti-talebane insediatesi al governo a Kabul? Quanto è controllabile l’effetto domino che dall’Afghanistan può arrivare fino all’Indonesia ad est e fino al Sahel ad ovest? Quale costo in vite umane è disposta a sopportare l’opinione pubblica americana a sostegno della politica imperialista del suo governo? E si potrebbe continuare.

Quanti sono gli afghani e come sono ripartiti etnicamente?

È difficile dirlo: l’ultimo censimento risale al 1979; successivamente sono state fatte solo stime. Queste sono disconcordanti sul totale, ma ancor più lo sono sulla ripartizione etnica. Nella tabella 1 se ne riportano alcune per farsene un’idea.

A rendere più aleatorie le stime contribuisce l’enorme flusso di profughi sia sfollati all’interno del paese, sia rifugiati nei paesi vicini, ma anche l’enorme caos che regna da tempo. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) a gennaio 2001 assisteva 758.600 sfollati ed aveva sotto la sua competenza 3.567.200 afghani rifugiati, di cui 2.001.466 in Pakistan

tabella 1
Fonte data abitanti (in milioni)
censimento 1979 13
Vercellin 1986 14,3
Guide Edt 1997 23,7
stima De Agostini 1999 22

tabella 2. Abitanti per etnia in % secondo diverse fonti
Etnia Vercellin De Agostini Guide Edt
Pashtuni 42,8 55 38
Tagiki 29,3 20 25
Hazara 6,5 9 19
Uzbeki 9,3 9 6
Nomadi 5,7 / 3
Baluci 1,5 / 1,5
Turkmeni 2,8 2 2
Altri 2,1 5 5,5