Addio Bruno!

Giovedì 3 aprile. Una sera come tante, una riunione come tante, direttivo della federazione romana del Prc. Poco dopo le 10 di sera siamo alla replica finale, che risponde alle riflessioni, alle critiche, alle proposte di compagne e compagni. E’ intervenuto anche Bruno Pagnozzi, responsabile delle Feste di Liberazione, e ora ascolta con un viso serio e intento che di colpo si contrae, mentre il corpo si rovescia sulla sedia. Dopo pochi, febbrili, minuti, di Bruno restano un corpo inerte, due occhi senza luce e intorno a lui il silenzio dello sgomento, rotto da singhiozzi soffocati. Incredulità dapprima, rabbioso rifiuto di una morte che ci appare ingiusta, assurda, mentre in ognuno di noi irrompono ricordi di tanti anni fa, di poche ore fa.
L’ho conosciuto ragazzo, alle case popolari del Tufello dove sua madre organizzava riunioni di donne per il PCI. Era un comunista pronto a mettere in atto ogni direttiva senza rinunciare a capirne e a discuterne le ragioni, abituato già a compiere scelte meditate, pagandone i prezzi. Scelte impegnative come l’impegno nel sindacato braccianti della Cgil, difficili come la permanenza in Campania. Bruno: uno dei mitici “costruttori del partito”. Scelte dolorose come il distacco dal PCI, pericolose come la partenza per il Nicaragua, ancora minacciato dai “Contras”, subito dopo la Rivoluzione sandinista.
Poi, l’apertura di un locale:La Puerta del Sol. Poteva sembrare un ripiegarsi, una rinuncia alla lotta, in realtà era soltanto un altro luogo e un altro modo di fare politica, ora con Democrazia Proletaria: nelle salette affrescate si incontravano tutte le componenti, tutti i soggetti, tutte le nazionalità della sinistra per discutere di Terzo mondo e di immigrazioni, di cultura alternativa e di lotta di classe, si tirava tardi con sindacalisti e intellettuali, lavoratori emarginati e c’era sempre un piatto di spaghetti e un bicchiere di vino per chi stava “al verde”.
Alla Puerta del Sol ci vedevamo dopo le riunioni di Rifondazione. Bruno si era iscritto subito senza esitazioni né dubbi e senza lesinare critiche e alla militanza comunista a tempo pieno aveva finalmente, con gioia, potuto dedicarsi vendendo il locale.
Gli ultimi, pochi, sono stati anni felici, di impegno politico, di amore con una compagna che condivideva i suoi ideali e il modo di intendere la vita, con tante amicizie vissute con una generosità totale e spontanea che gli faceva considerare strano ogni ringraziamento al quale replicava stupito: “Ma io cono un comunista!”
La sua militanza critica lo aveva portato a un’altra scelta meditata: il voto e il sostegno ai nostri emendamenti all’ultimo Congresso. Una scelta serena vissuta senza chiusure né astio.
Ho vissuto gli ultimi anni lavorando, discutendo, ridendo con Bruno, la sua compagna, i giovani ai quali dava preziose lezioni di vita senza mai atteggiarsi a ma-
estro.
Forse è per questo che davanti ai miei occhi continuamente si sovrappone all’immagine del volto e della voce del Bruno di tanti anni e di poche ore fa – con il suo accanimento ad approfondire tutto, le sue immediate soluzioni pratiche, la sua allegra ironia, la sua passione totale – quella del suo corpo immoto che un compagno ha coperto con la nostra bandiera.
Comincio a capire che un comunista può lasciarci così, dopo aver dato il suo piccolo e grande contributo a quel lavoro ambizioso e straordinario che tutti noi vogliamo finire.