Addio al sogno delle rivoluzioni colorate a est

Se in Ucraina non ci si è arrivati, l’estate scorsa, è stato per l’azione congiunta, accorta e poco visibile, ma ben decisiva, di Russia e di Europa. Se non ci si arriverà in Georgia sarà per lo stesso motivo. E già questo dice due cose essenziali: che l’Europa ha fatto male, in questi anni post sovietici, a seguire l’impostazione di Washington. Che, in sostanza, significava promuovere con tutti i mezzi, aiutare, consigliare un rapido ingresso di quei paesi nella Nato e, in seconda battuta, in Europa. Bruxelles ha a lungo accarezzato la stessa idea, senza rendersi conto che quella linea la portava inesorabilmente in rotta di collisione con la Russia, proprio nel momento in cui questa si affermava prepotentemente come un necessario partner strategico (in primo luogo sul fronte dell’energia). La Commissione, seguendo i suggerimenti moderati in primo luogo della Germania, ha pian piano corretto questa linea, cominciando a seguirne una più pragmatica, a differenza della maggioranza del Parlamento Europeo, schierata con le posizioni di Washington. Ma non è soltanto questione di geopolitica – cioè di ammorbidire le posizioni europee a sostegno delle aspirazioni europeiste delle leadership di tutto l’Est, europeo e perfino asiatico. Il dato che emerge è che il passaggio alla democrazia e allo stato di diritto in quei paesi è ancora tremendamente fragile e che la gestione dell’indipendenza è questione assai più complicata che non la sua proclamazione. L’Ucraina ha dovuto prendere atto che il gas bisogna pagarlo e non più averlo in regalo come ai tempi sovietici . E la Georgia, prima di Shevardnadze e poi di Saakashvili deve ora fare i conti con una nuova dipendenza. Questa volta dall’aiuto di Washington. Che però, per quanto ricco e generoso in dollari, non le garantisce la ricomposizione del territorio nazionale e anzi rende praticamente impossibile il ritorno di Abkhazia e Ossezia del Sud sotto la giurisdizione di Tbilisi. Saakashvili proclama lo stato d’emergenza e accusa Mosca di ingerenza dall’esterno. Può darsi che ve ne sia, ma il problema di Tbilisi, come quello di Kiev è che l’indipendenza e la sovranità non sono solo bandiere che si sventolano nelle piazze. Poi bisogna dare ai popoli, che sinceramente quelle bandiere hanno portato, le necessarie risposte in termini di democrazia e di sviluppo.