A quali interessi risponde la politica economica del Governo?

Che fine ha fatto il controllo e la gestione a fini politici e sociali dell’economia?
A porsi questa domanda non siamo in molti, sicuramente i pochi che in questi anni hanno denunciato lo stravolgimento della Costituzione e il suo lento ma inesorabile svuotamento.
Abbiamo letto la Testimonianza del Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi nella audizione presso le Commissioni parlamentari che si occupano di Bilancio e Programmazione Economica. E’ una lettura illuminante e merita tutta la nostra attenzione per comprendere quali poteri determinino le politiche economiche del Governo Prodi.
A scanso di equivoci, non ci aspettavamo che con l’ingresso di Rc e del Pdci al Governo si aprissero le porte al dicastero dell’economia per i Cobas o per la Fiom , ma fa uno strano effetto pensare alla continuità della politica economica tra l’attuale Governo Prodi e quello –di centro destra- che lo ha preceduto.
Nel suo primo anno di vita si sono pagati i risultati di una alleanza politica costruita per la vittoria alle elezioni, con un programma elettorale costruito con sapienti equilibrismi lasciando le decisioni che contano ai poteri forti (in politica estera, nelle scelte economiche e sociali).
Solo per citare pochi esempi, sono rimaste inalterate le legislazioni emergenziali che limitano la libertà individuale e collettiva, non si è fatta chiarezza sui fatti di Genova (il capo della Polizia viene promosso al rango di consulente del ministero degli interni, alcuni dei responsabili della mattanza al g8 sono stati promossi…), non si è combattuta la precarietà (la Legge finanziaria ha stabilizzato solo una minima parte dei precari visto che gli Enti non sono obbligati alla stabilizzazione ma hanno solo facoltà di procedere in questa direzione, visto che quasi tutti i comuni di centro sinistra hanno operato scelte di contenimento della spesa del personale o hanno fatto ricorso ai concorsi, ai processi di esternalizzazione aziendalizzazione), non si è cancellata la legge 30, si sono addirittura stravolti gli istituti contrattuali.
Ma andiamo con ordine.
Il Dpef 2008, come il precedente, si prefigge un obiettivo che è quello suggerito dalla Banca Europea, ossia “il prioritario controllo della qualità e della quantità della spesa Pubblica”
Se negli ultimi due anni le entrate nelle casse statali sono cresciute, il Governatore denuncia l’inasprimento della pressione fiscale, e per questo suggerisce alcune soluzioni, ossia abbattere il costo del lavoro; ai consigli del potere finanziario poi seguono puntualmente le soluzioni della politica e del Governo.
L’abbattimento del costo del lavoro è stata la costante degli ultimi anni, potere di acquisto si è perso nei settori pubblici e privati, si allarga nello stesso tempo la forbice tra i salari dipendenti e quelli dei managers e dei dirigenti, il modello sociale di riferimento è ormai quello americano (con alcuni correttivi europeisti) dove dominano le disuguaglianze e le sperequazioni.
Se aumentano le entrate nelle casse dello Stato anche al di là delle più rosse previsioni, la redistribuzione di questo surplus è fuori discussione: tesoro o tesoretto, risparmi o maggiori entrate arriveranno solo in minima parte nelle tasche dei lavoratori e delle classi subalterne, la stragrande maggioranza dei capitali finirà sotto forma di sgravi ed incentivi alle imprese.
E’ questa la scelta di classe operata dal Governo che mette al centro del suo operato l’obiettivo del contenimento del debito, l’abbattimento della spesa, lo smantellamento, o forte ridimensionamento- della pubblica amministrazione.
Pensate alla fusione tra Inps ed Inpdap che cancellerà alcune centinaia di posti di lavoro, che rinuncerà alla stabilizzazione di precari presenti negli Enti previdenziali. Se da queste operazioni non dovessero scaturire risparmi, arriverà puntuale il già annunciato aumento dei contributi a carico dei lavoratori.
Le maggiori spese statali (vere o presunte che siano) sono destinate per il Governatore a finanziare le maggiori uscite .
Nei fatti questo Governo sta operando, a modo suo, una redistribuzione sociale sulla quale il Sindacato, le forze sociali e politiche dovrebbero iniziare a riflettere perché da qui saranno determinati nuovi equilibri tra le classi
Si aumentano le pensioni minime (tra le più basse d’Europa) nell’ottica di arrestare il progressivo impoverimento di un fascia di pensionati che vive spesso nelle metropoli e con una elevata percentuale di esclusione sociale. Smantellato il tradizionale welfare, imposti i ticket nei pronto soccorsi, eliminata la gratuità di alcuni servizi, una percentuale non irrisoria di anziani rischiava di gravare sull’assistenza sociale (che a sua volta va ridotta e ridefinita attraverso un nuovo modello di welfare, quello della sussidarietà e della gestione di servizi affidata a cooperative, terzo settore dove , manco a dirlo, dominano, salari da fame, assenza di diritti e il classico “ricatto cooperativo” imposto al dipendente che una volta avanzate le proprie rivendicazioni viene fatto decadere da socio della cooperativa con la conseguente perdita del posto di lavoro), arrivano aumenti alle pensioni minime che resituiscono un po’ di potere di acquisto , potere di acquisto tagliato per i salari dei lavoratori dipendenti.
Guardiamo gli ultimi accordi nella Pubblica Amministrazione: il governo prodi ha dato 91 euro di aumenti (lordi e su base triennale), laddove il Governo Berlusconi ne aveva accordati 103 in un biennio. Sarebbe il caso di dire che la destra ha saputo rispondere ai propri interessi di classe favorendo rinnovi contrattuali appena dignitosi per la pubblica amministrazione dove la Cisl (non avrete dimenticato che l’ex segretario Cisl Pezzotta è oggi parlamentare nel centrosinistra ma soprattutto attivo nella lobby filo vaticana trasversale ai due schieramenti) ha maggiore forza e dove esiste un elettorato importante e a volte significativo per la vittoria elettorale.
A questo punto sorge spontanea una domanda: attaccando il pubblico impiego si sono favorite le fabbriche secondo uno schema operaista caro alla sinistra di 30 o 40 anni fa?
Manco per sogno, basta vedere gli accordi dei chimici per capire come questo Governo approva, con il consenso della Cgil (o comunque della sua stragrande maggioranza) deroghe ai contratti nazionali, stravolgimenti del modello della contrattazione. Siamo certi che nessuno dei nostri lettori abbia qualche nostalgia per l’accordo del Luglio 1993 , ma siamo convinti che Il Governo Prodi ci farà rimpiangere i tempi bui della concertazione dove almeno ogni due anni la parte economica dei contratti era soggetta ad una contrattazione nazionale e decentrata.
Con gli ultimi accordi (triennalizzazione, o quadriennalizzazione) la situazione diventa ancora più drammatica.
E’ ormai palese a tutti che i soli interessi difesi da questo governo sono quelli determinati dai parametri di Maastricht e dai finanzieri banchieri che determinano le politiche economiche nazionali e sopranazionali.
E se avete ancora dei dubbi , guardiamo il Protocollo sul welfare che con la Riforma delle pensioni è il primo risultato della nuova grande coalizione riunitasi attorno al Partito democratico la cui influenza nel sindacato è particolarmente forte e lasciatecelo dire nefasta.
Al posto dello scalone di Maroni arrivano gli scalini, nel 2013 l’età pensionabile passerà a 61 anni, la contrattazione decentrata (di secondo livello) subisce a sua volta un forte ridimensionamento vuoi legando ai premi di risultato l’erogazione iniqua e sperequativa di una quota importante (specie nel Pubblico Impiego) del salario complessivo.
Gli straordinari non avranno più tassazioni aggiuntive (ma non si dovevano assumere i giovani e i precari??), i tetti al ricorso dei contratti a tempo determinato sono solo fittizi e basterà la conciliazione dopo i 36 mesi agli uffici del lavoro con l’assistenza di un sindacato (altro che abbattimento della precarietà siamo ormai nell’ottica della precarietà concertata!), la legga Biagi viene conservata con tutte le sue nefandezze (eccezion fatta per il lavoro a chiamata che riguarda una infima minoranza di precari), si introduce perfino una nuova tipologia precaria, quella del lavoro occasionale di tipo accessorio, si elimineranno alcune garanzie per la indennità di disoccupazione in agricoltura, dulcis in fundo arriva lo stravolgimento dei coefficienti di trasformazione che saranno affidati non alla contrattazione sindacale (come garantito dalla pessima Riforma Dini) ma alla sovrana volontà dei Ministri (immaginiamoci come Padoa Schioppa gestirà la cosa…), con ulteriore perdita di potere di acquisto di pensioni già falcidiate dal calcolo con il sistema contributivo.
Alla luce di queste considerazioni possiamo trarre alcune conclusioni e definire percorsi di mobilitazione e di lotta che dovranno investire i luoghi di lavoro e non le stanze delle burocrazie sindacali, le realtà sociali e non i tavoli di trattativa.
Se la mobilitazione contro il protocollo e gli scalini ha qualche possibilità di successo, dipenderà dal conflitto sociale , politico e sindacale che si svilupperà a partire da Settembre e non certo da consultazioni pseudo democratiche (il Referendum) il cui esito è già scontato con i voti dei pensionati (in questo caso massa acritica ) a favore degli accordi siglati.
C’è bisogno di conflitto sociale e in questa ottica non ci dovranno essere sconti al centrosinistra o equilibrismi governativi che utilizzino le mobilitazioni delle piazze solo strumentalmente alle logiche emendative dei testi, lasciando l’impianto contrattuale, previdenziale e assistenziale inalterato..
Il conflitto sociale e politico, la chiarezza degli obiettivi, la difesa degli interessi di classe ( e da qui dovranno partire non solo scioperi una tantum ma una mobilitazione che investa tutta la società e si prefigga un obiettivo egemonico e non di mera testimonianza) saranno al centro della nostra prassi quotidiana e ci auguriamo in un contesto di alleanze che restituiscano dignità ai lavoratori legittimandoli al ruolo che loro compete ossia quello di soggetti del cambiamento e della lotta per cambiare lo stato delle cose presenti

Federico giusti
(Esecutivo nazionale confederazione Cobas)