A proposito di lavoratori interinali

Da ormai più di un anno si sta assistendo a un rapido incremento nell’utilizzo di lavoratori interinali da parte delle imprese. Anche grazie alla nuova norma che – in contrasto con l’impostazione iniziale – permette l’utilizzo di questa forma di rapporto di lavoro anche per mansioni non qualificate, l’uso degli interinali diviene, in molti casi, la forma di “rapporto a termine” preferita dalle aziende. È quindi più necessario che mai non limitarsi a una discussione o denuncia “formale”, riferita unicamente alla “forma” del rapporto, ma andare a vedere concretamente le condizioni in cui lavorano gli interinali, i loro problemi, le loro esigenze ed aspettative. Non a caso, essi hanno cominciato a comparire nel lavoro di inchiesta promosso da Rifondazione comunista, che si articola in molteplici inchieste locali: gli interinali compaiono, a volte, come parte di una più ampia popolazione lavoratrice indagata, altre volte sono oggetto specifico e diretto di inchiesta. Vediamo qui alcuni spunti in proposito, ricavati da due inchieste piemontesi.

Gli interinali alla Fiat

Sui circa 700 questionari raccolti in determinate aree della Fiat Iveco e Mirafiori di Torino, ben 41 provenivano da lavoratori interinali (in misura maggiore a Mirafiori che alla Iveco). Proviamo a ricavarne alcune caratteristiche specifiche dei lavoratori interinali, anche confrontando le loro risposte con quelle degli altri lavoratori. Anzitutto, gli interinali Fiat non sono tutti giovanissimi: il 30% ha più di 30 anni. 11 su 41 sono donne (un’incidenza percentuale maggiore che per gli altri tipi di rapporto di lavoro). Una metà non è andata oltre la licenza media, un’altra metà ha titoli professionali o diploma di scuola media superiore. Quasi il 60% è inquadrato al 2° livello: un inquadramento molto basso, persino per la Fiat. Solo gli operai in contratto di formazione-lavoro sono inquadrati peggio; quelli con contratti a termine hanno inquadramenti superiori. Il 65% non ha mai sentito parlare della “Fabbrica Integrata”: segno che negli ultimi tempi (gli interinali sono stati inseriti nel ‘98-99) la Fiat non si preoccupa molto di istruire i propri lavoratori su questo nuovo modello organizzativo, che forse non è più tanto di moda… Sono di grande interesse (nella loro apparente contraddittorietà) le risposte alle domande che, in vario modo, coinvolgono i rapporti sindacali. “Quando hai un problema sul lavoro, a chi ti rivolgi?”: in più della metà dei casi, gli interinali si rivolgono alle gerarchie aziendali (capi e CPI), nel 27,5% dei casi si arrangiano da soli o con compagni di lavoro fidati, solo nel 20% dei casi si rivolgono alle RSU. Solo i loro colleghi in contratto di formazione-lavoro si rivolgono in misura ancora maggiore (il 94%) alle gerarchie aziendali. Malgrado questo, il loro giudizio su sindacati e RSU è nettamente più positivo della media: il 38% dà un giudizio positivo sull’azione del sindacato (contro un 10% dell’insieme dei lavoratori), e il 60% dà un giudizio positivo sulle RSU (contro il 27%). Anche in questo caso, c’è un’analogia con i CFL, che danno giudizi ancora più positivi. Su questa apparente contraddizione, ci sono due commenti possibili. Uno (maligno) è che, meno hai rapporti col sindacato, più dai su di esso un giudizio benevolo. L’altro – che non esclude il primo, ma che è politicamente più rilevante – è che questi giudizi esprimo un “bisogno insoddisfatto” di rappresentanza sindacale, su cui sarebbe importante lavorare. Il 90% degli interinali non considera sicuro (per evidenti ragioni) il proprio posto di lavoro in Fiat: una percentuale particolarmente elevata, però condivisa dal 65% dei lavoratori intervistati nel loro insieme. Però, i loro progetti per il futuro si dividono tra chi (una lieve maggioranza) spera di rimanere in Fiat migliorando la propria posizione, e chi spera di trovare un posto migliore fuori della Fiat. È interessante, infine, rilevare che – alla domanda su quali dovrebbero essere le “priorità rivendicative” nel contratto aziendale – venga al primo posto il problema delle possibilità di sviluppo professionale, mentre la sicurezza del posto di lavoro è (sia pure con minimo margine di distacco) solo al secondo posto. È un segnale significativo di un “quadro di esigenze” che ritroveremo nell’inchiesta di Novara.

Interinali nel novarese

L’inchiesta di Novara (tuttora in corso) ha raccolto risposte di lavoratori interinali in varie fabbriche: Pavesi, PAI, Meritor (ex Rockwell), ecc. I dati che riportiamo sono relativi ai primi 32 questionari raccolti. I lavoratori che hanno risposto sono in maggioranza maschi, più giovani che quelli della Fiat (solo uno supera i 30 anni), un po’ più scolarizzati (più del 60% è andato oltre la licenza media). La grande maggioranza ha svolto almeno due lavori prima dell’attuale (e qualcuno molti di più): un altro segno del carattere fortemente precario degli attuali percorsi di ingresso nel lavoro. Anch’essi, come quelli Fiat, sono in genere impiegati in mansioni operaie prevalentemente non qualificate. Quasi tutti, alla domanda sul perché hanno scelto la via del lavoro interinale, rispondono – com’era prevedibile – che era l’unica via per trovare un lavoro. E la grande maggioranza vede questa via come “provvisoria”. Inoltre, più della metà ritengono che la propria condizione sia peggiore dei dipendenti diretti dell’azienda, a cui lavorano accanto: e il motivo principale sta, naturalmente, nella minor sicurezza del posto di lavoro. Ciò non deve però far pensare che le prospettive di questi lavoratori siano unicamente dominate dal problema di trovare un posto di lavoro stabile. Certo, 28 su 32, se l’azienda in cui lavorano oggi gli proponesse di assumerli in pianta stabile, accetterebbero: non si sputa nel piatto che viene offerto… Ma, in riferimento a un’analoga ipotesi, relativa però a un’assunzione a termine, solo 10 rispondono “sì”, e 17 dicono “dipende dal tipo di condizioni offerte” (2 rispondono “no”). E, alla domanda più generale “a quale tipo di lavoro vorresti passare?”, 21 dicono semplicemente “a un lavoro stabile”, ma 7 rispondono “a un lavoro più qualificato, non importa se autonomo o dipendente” e 2 “a un lavoro autonomo”. Insomma, il problema di una stabilità del posto di lavoro è dominante, non si intreccia con esigenze professionali, di contenuto e condizioni di lavoro.

L’ultimo gruppo di domande del questionario toccava più da vicino problemi di tipo sindacale. Anzitutto, una domanda per certi versi “preliminare” a questi: a quali lavoratori ti senti più vicino, a quelli che lavorano accanto a te (con un rapporto di lavoro diverso), o ai tuoi colleghi dipendenti dell’agenzia interinale (anche se lavorano in altri posti)? 23 risposte indicano i primi, 8 i secondi. _E veniamo agli aspetti sindacali più diretti. La contraddizione, già notata, tra bisogno di tutela sindacale e carenza di rapporti con il sindacato emerge qui con grande chiarezza: 23 su 32 sentono la necessità di una tutela sindacale, ma solo 7 su 32 si sono finora rivolti al sindacato. A questo proposito, vale la pena di notare: 1) che nella condizione specifica di precarietà dell’interinale, non è una percentuale bassissima; 2) che essa dipende anche dall’iniziativa sindacale verso di loro (come mostra il fatto che le risposte positive si concentrano nelle aziende dove le RSU si sono date più da fare in proposito). Infine, quali sono i problemi su cui si sente maggiormente l’esigenza di una tutela sindacale? Naturalmente al primo posto vengono le garanzie di occupazione (21 indicazioni – era possibile dare fino a 3 indicazioni); ma al secondo (14 indicazioni) vengono le condizioni di lavoro (tempi, ambiente); e vengono poi (ciascuna con 8 indicazioni) questioni che riguardano lo sviluppo professionale: aspetti professionali e di inquadramento, diritto di avere momenti di formazione. Solo dopo di queste viene il salario, con 7 indicazioni.

Qualche considerazione politica

Naturalmente, su un materiale empirico per ora così esiguo, sarebbe sbagliato trarre generalizzazioni. Però esso è sufficiente per suggerire alcuni spunti di riflessione politico-sindacale. Anzitutto, è importante non ridurre la problematica degli interinali al problema della stabilità del posto di lavoro. Certo, questo (come per altre forme di rapporto di lavoro precario) è fondamentale. Ma non dobbiamo vedere i lavoratori interinali come dei “lavoratori di serie B”, come degli “sfigati” che si accontentano di qualsiasi lavoro purché stabile. Certo, le loro garanzie sono “di serie B” (come del resto quelle di altri rapporti di lavoro “atipici”); ma essi sono portatori di esigenze relative ai contenuti, alle condizioni, alla retribuzione del loro lavoro, né più né meno di altri: anzi, essendo in larga misura (anche se non unicamente) giovani, abbastanza scolarizzati, il problema dello sviluppo professionale è per loro tutt’altro che in secondo piano. Individuare temi e obiettivi comuni, agli interinali come agli altri lavoratori (anche quelli più “garantiti”), è importante per costruire momenti di unità di movimento, e questa a sua volta è una condizione fondamentale per arrivare a un comuni sistema di garanzie e di rappresentanza, che riduca (quando non sia possibile eliminarle) le divisioni/segmentazioni tra i diversi settori della forza-lavoro. Infine, anche queste prime risposte ai questionari mostrano un forte bisogno di tutela/rappresentanza sindacale. Se questo non si traduce in un rapporto concreto con le strutture sindacali di fabbrica, non è solo per i timori e le cautele dei lavoratori interinali stessi, ma – spesso – per un’insufficiente iniziative da parte delle strutture sindacali. E questa, a sua volta, può – certo – dipendere da un’accettazione subordinata delle nuove forma di “flessibilità” della forza-lavoro; ma spesso dipende anche da una malintesa “prudenza”, per cui si teme di “compromettere” i lavoratori precari, finendo così (involontariamente) per rafforzare i ricatti del padrone. Sono dunque importanti tutte quelle iniziative, rivendicative ma anche di conoscenza e di “dialogo”, che contribuiscono a far uscire gli interinali dal “ghetto” e a creare momenti di comunicazione (e in futuro di organizzazione) tra i diversi tipi di lavoratori che le odierne strategie capitalistiche cercano di separare.