Riteniamo giusto il presupposto che oggi, più di altre questioni, siano le condizioni dei lavoratori e del lavoro che vadano portate alla luce. Ognuno, come ovvio, deve intervenire partendo dalla propria esperienza, portando un tassello per costruire un quadro generale. Descriviamo innanzitutto le nostre condizioni: lavoriamo in una catena di montaggio alla Om-Iveco di Brescia (veicoli industriali del gruppo Fiat) e siamo delegati sindacali.
In fabbrica lavorano attualmente, includendo anche i reparti terziarizzati, circa 4.000 tra operai ed impiegati. Moltissimi di questi sono giovani entrati negli ultimi anni; tra di essi molti provengono dalle regioni del sud e da circa tre anni in azienda, dopo un accordo sindacale, è stata assunta manodopera femminile, dopo alcuni decenni che ciò non accadeva.
Dunque, una fabbrica che è cambiata molto in poco tempo, sia tra i lavoratori che per ciò che riguarda l’assetto produttivo/organizzativo. In una struttura tradizionale – dunque – si sono inseriti elementi che hanno la potenzialità di cambiarla radicalmente. Per il sindacato si presenta il grosso problema di governare questa fase (e non sarà facile, tenuto conto che le organizzazioni sindacali hanno idee diverse sul come farlo). Alcune sigle sindacali hanno infatti scelto da tempo la strada della partecipazione, concetto che racchiude ambiguamente una serie di ragionamenti politico/sindacali, ma che in sostanza rimanda al fatto che a gestire la fabbrica sia l’impresa stessa, da sola, senza interferenze operaie e sindacali, in una logica improntata sulla priorità assoluta del profitto rispetto al lavoro, nella convinzione che da ciò provenga un beneficio anche per le maestranze.
Non è un caso che proprio in questo periodo si parli tanto del sindacato partecipativo e protagonista: ma proprio all’interno del sindacato i lavoratori, le lavoratrici e gli stessi delegati hanno sempre meno voce in capitolo. La stessa situazione si replica , a nostro avviso, a livello nazionale: la pratica della concertazione ha infatti in sé la stessa massiccia dose di ambiguità essenzialmente antioperaia che ha nella nostra fabbrica la pratica della partecipazione.
Dunque, concertazione a livello nazionale e partecipazione a livello aziendale. È proprio attraverso le modalità con cui si affronta (e si contribuisce a strutturare) il nuovo mercato del lavoro che si evidenzia la nuova cultura ed essenza sindacale, portata oggi ad accettare come moderno, inevitabile e persino positivo il modello produttivo segnato dalla flessibilizzazione e dalla precarizzazione.
Anche nella nostra fabbrica si effettuano assunzioni, per la quasi totalità a tempo determinato o a contratto formazione lavoro, che altro non sono che lunghissimi periodi di prova; attraverso una ormai largamente sperimentata pratica sindacale le stesse assunzioni vengono per la quasi totalità trasformate, allo scadere, in contratti a tempo indeterminato. In questo tempo indeterminato – è la nostra esperienza di fabbrica a dircelo – il rapporto tra i lavoratori a tempo indeterminato, il sindacato e i delegati resta congelato, senza alcuno sviluppo, mentre sono le gerarchie aziendali ad offrirsi, in qualche modo, quale punto di riferimento generale nei reparti.
Parliamo di questa situazione per evidenziare il fatto che le trasformazioni delle e nelle imprese in questo ultimo decennio sono state così profonde da colpire al cuore – da una parte – le capacità sindacali di intervento, e – d’altra parte – così sconvolgenti da offuscare le nostre capacità di analisi , con ripercussioni evidenti sull’intera linea politica e sindacale.
Questo spaccato che abbiamo tracciato crediamo sia il segno di un più generale quadro di nuova frammentazione del mondo del lavoro , un mondo mano a mano sempre meno rappresentato dalle organizzazioni sindacali , che da parte loro sembrano ormai muoversi più sul versante della ricerca della legittimazione agli occhi dell’impresa che sul versante del conflitto, e dunque della ricerca di nuovi rapporti con il movimento operaio. Ciò vale, naturalmente e purtroppo, anche per la Cgil.
Sinistra sindacale: quale battaglia nella Cgil?
Non sono sicuramente problemi, quelli accennati, di poco conto e di conseguenza risulta complicato imbastire una battaglia che inverta il processo d’involuzione sindacale. Però bisogna provarci, puntando innanzitutto all’obiettivo di spogliare la Cgil delle sue vesti burocratiche, che appesantiscono anche la sinistra sindacale.
Bisogna partire dalle condizioni dei lavoratori, non solo con analisi, seppur valide, ma con il contatto diretto; bisogna ascoltare quello che hanno da dire, quali sono i loro bisogni e le loro esigenze.
È indispensabile che la Cgil, la più grande organizzazione sindacale del paese, ritorni a leggere, ad analizzare, a capire quali sono le reali condizioni del lavoro. E, soprattutto, a lottare. Se non si ritorna ad essere il sindacato dei lavoratori si rischia non solo di perdere rappresentatività, ma si rischia di cancellare dal quadro sociale e dal senso comune persino l’idea di sindacato.
Occorre essere consapevoli che siamo in presenza di una strategia di lungo termine delle imprese mirante a contenere sempre di più i salari, a intervenire pesantemente sulle condizioni di lavoro nelle fabbriche tramite l’aumento dei ritmi e la flessibilità degli orari, a frammentare e dividere i lavoratori attraverso le terziarizzazioni e i contratti precari.
Occorre essere consapevoli che a questa strategia la Cgil non ha fino ad oggi contrapposto una linea sindacale coerente e precisa. Occorre essere consapevoli del fatto che si è rincorso le aziende sul loro terreno senza avere nulla in cambio.
Occorre, in questa fase, occuparsi di pochi ma chiari argomenti: occupazione (con la rimessa in campo dell’obiettivo della riduzione dell’orario di lavoro); salario (uscendo dalla gabbia dell’accordo del luglio 1993); democrazia (i lavoratori devono poter intervenire su tutti i temi che li riguardano, riguadagnando spazi di potere e controllo sia all’interno delle imprese che all’interno delle organizzazioni sindacali).
Insomma, occorre una pratica sindacale nuova, che rompa con la concertazione e la subordinazione al capitale e alle ragioni governiste e ricollochi al centro i lavoratori ed i loro interessi.
Noi crediamo che solo con questi obiettivi di lotta la sinistra sindacale potrebbe tendere ad influenzare positivamente il dibattito interno alla Cgil; solo sprigionando una tale battaglia potremmo rimuovere i guasti prodotti in questi anni dalle politiche attuate dalla stessa Cgil e dalla sinistra di governo.
A nulla servirebbe la riproposizione, all’interno della Cgil, di uno schema maggioranza/opposizione classicamente aconflittuale, con una opposizione morbida volta solo – oggettivamente – a coprire la linea di maggioranza. Ciò che ormai occorre davvero è una lotta seria contro le derive istituzionaliste della Cgil.
Infine: quali rapporti con il sindacalismo di base?
È evidente che non vanno sottovalutate le istanze rappresentate dal tali esperienze ; risulterebbe non chiaro ai lavoratori il fatto che si eviti il rapporto con organizzazioni che su diversi argomenti hanno punti in comune con quelli della stessa sinistra sindacale, anche se avere rapporti con il sindacalismo di base non dovrebbe significare perdere di vista il quadro complessivo e complesso che i lavoratori e la sinistra sindacale si trovano ad affrontare.