8° Congresso del Partito Comunista della federazione Russa

Il 19 gennaio si è svolto a Mosca l’VIII Congresso straordinario del Partito Comunista della Federazione Russa.
251 delegati, in rappresentanza di oltre mezzo milione di iscritti, hanno dovuto ratificare le modifiche programmatiche e statutarie necessarie per trasformare il PCFR, da “associazione politico-sociale”, in partito vero e proprio, secondo quanto prescrive la legge recentemente approvata dal parlamento russo che, d’ora in avanti, consentirà la partecipazione alle consultazioni elettorali solo a quelle organizzazioni che, registrate come “partiti politici”, conteranno su un numero di iscritti superiore ai 10.000 oppure una presenza di 100 membri almeno in 50 sulle 89 regioni del paese.
Nel contempo, l’assise ha eletto i suoi nuovi organismi, riconfermando (a sottolineare il carattere contingente del congresso) il gruppo dirigente uscente e, in particolare, Ghennadij Zjuganov nella carica di presidente del partito.
Il congresso ha rappresentato comunque un’occasione per fare il punto, di fronte all’attenzione dei “media”, sulla situazione politica del momento e per illustrare le ragioni dell’attuale dura opposizione dei comunisti alle scelte operate dall’amministrazione russa. Tagliente è così il giudizio espresso sull’operato del presidente Putin (il cui messaggio di saluto al congresso è stato accolto con grande freddezza, nonostante sia stato enfatizzato oltre misura dai “media”), che non avrebbe risposto alle aspettative emerse nel primo anno del suo mandato (“l’anno delle occasioni perdute”) e che avrebbe determinato la “svendita di tutta l’eredità geopolitica” del paese e la “capitolazione di fronte al partito americano della guerra”, usando come pretesto la situazione determinatasi dopo i tragici fatti dell’11 settembre 2001.
Sono posizioni che non danno alcun credito all’ottimismo di quei settori “gorbacioviani”, presenti anche nel gruppo dirigente comunista, che attribuiscono ai recenti “cedimenti” del presidente russo nei confronti dell’offensiva americana una valenza tattica, e che smentiscono alcuni luoghi comuni, diffusi, su un altro fronte, in settori della “sinistra alternativa” occidentale, che descrivono un PCFR che “ora tace prono di fronte all’accordo con gli USA”. 1
La relazione di Zjuganov sottopone al fuoco della critica, una ad una, tutte le più importanti mosse internazionali dell’amministrazione statale, dall’ “avallo all’annientamento del Trattato ABM” alla concessione ai militari USA dell’utilizzo dello spazio dell’Asia centrale ex sovietica tuttora facente parte della CSI e, infine, alla chiusura della base strategica russa sul territorio di Cuba. E prende apertamente posizione a favore di quegli ambienti della Difesa che non hanno nascosto il proprio disappunto per il progressivo smantellamento del potenziale militare del paese, subendo un pesante attacco da parte del presidente, che si è tradotto nella rimozione di alcuni alti gradi delle Forze Armate.
Il quadro che poi viene descritto della situazione interna, appare quello di un paese devastato dall’accanirsi delle politiche liberiste, in cui il rafforzamento dei grandi gruppi oligarchici prosegue inesorabile, in presenza di una proprietà statale ridotta ai minimi termini, che rappresenterebbe solo il 15-17 per cento del totale, e che in molte regioni importanti sarebbe crollata addirittura al 4 per cento. E le previsioni sono di un’ulteriore diminuzione, dal momento che è in corso la collocazione sul mercato delle ultime cinquecento grandi imprese statali (a cominciare dall’impresa petrolifera “Slavneft”).
Neppure lo straordinario aumento del gettito delle entrate, determinato negli ultimi due anni dai prezzi elevati del petrolio, è stato utilizzato (da un governo le cui misure godono ormai dell’esplicito appoggio parlamentare degli ultraliberisti della stessa “Unione delle forze di destra” di Gaidar e Kachamada), per approntare una politica economica oculata e responsabile che privilegiasse (come si cercò di fare, con l’appoggio dei comunisti, ai tempi del governo Primakov, affossato dalla controffensiva dei gruppi oligarchici) il rilancio dell’apparato produttivo del paese. Gli oltre 50 miliardi di dollari incassati, in realtà, sono stati dirottati all’estero. E questo pur sapendo che, nel 2003, verranno a scadenza cifre enormi di debito estero, che si aggirerebbero attorno ai 20 miliardi di dollari.
Il contesto attuale fa sì che il prossimo ingresso della Russia nell’Organizzazione mondiale del commercio, possa comportare, secondo stime attendibili, 20 milioni di nuovi disoccupati. “È la prima volta nella storia – afferma Zjuganov – che un paese altamente industrializzato si trasforma in appendice di materie prime”.
I comunisti non escludono che le acute tensioni sociali, provocate da un simile scenario, potrebbero indurre il presidente e il suo governo ad anticipare la scadenza delle elezioni parlamentari, per scongiurare, nel 2003, un tracollo della “coalizione borghese”, dalle dimensioni impressionanti.
L’anticipo delle elezioni permetterebbe al governo di beneficiare ancora dell’immagine mediatica del presidente, diffusa ossessivamente, che ancora è in grado di influenzare gli orientamenti di gran parte dell’elettorato, compresi alcuni comunisti – Zjuganov si rivolge evidentemente ai “gorbacioviani” del suo partito – “che continuano a nutrire speranze nei confronti di Putin”.
L’analisi dei comunisti sul possibile evolversi della situazione interna sarebbe confermata, secondo il leader del PCFR, dalla convinzione espressa nei sondaggi dall’80 per cento circa dei cittadini, che le condizioni di vita nel paese, nell’ultimo anno, siano andate ulteriormente peggiorando.
Altrettanto pessimistica è la valutazione che Zjuganov fa dello stato delle garanzie democratiche. “E’ in atto un processo di accentramento di tutto il sistema delle decisioni statali” – afferma Zjuganov –. “La Duma, il Soviet della Federazione” e gli altri organi del potere “agiscono come una sola squadra di regime”, utilizzata ( a cominciare dalla Procura generale) per coprire interessi personali e di clan, in un quadro di dilagante corruzione che “ha ormai assunto dimensioni professionali”.
Il controllo degli strumenti di informazione di massa (in particolare delle emittenti radiotelevisive), da parte del potere, è pressochè totale. Come pure quello sulle organizzazioni di massa, a cominciare dai sindacati, i cui vertici hanno avallato, senza quasi fiatare, il varo del nuovo “Codice del lavoro”, che massacra garanzie sociali e diritti sindacali del lavoro dipendente.
Zjuganov ha ricordato che le manipolazioni elettorali, a danno dei comunisti, hanno assunto nel 2001 dimensioni che non si conoscevano neppure ai tempi di Eltsin. Il PCFR è stato arbitrariamente escluso da molte elezioni regionali, dove tutti i sondaggi lo davano per favorito. Il “mercato” dei voti è diventato pratica abituale, che possono ovviamente permettersi solo i candidati sostenuti dall’oligarchia e dalle mafie. È noto, ad esempio, che, a Mosca, una candidatura a consigliere municipale può costare l’equivalente di milioni di euro.
La conclusione che Zjuganov trae è drastica (anche se della definizione da lui utilizzata non si trova traccia nella risoluzione conclusiva approvata dai delegati): “l’ideologia su cui si basa il potere esecutivo del nostro paese non è altro che l’ideologia del fascismo liberale”…che ha bisogno della piena affermazione “di un apparato poliziesco”, in cerca di “una mano sufficientemente ferma per imporne il dominio”.
Tale tendenza alla fascistizzazione dello stato è funzionale ad interessi oligarchici che confinano (se non coincidono) con il mondo del crimine, e mira a garantire il definitivo trionfo delle più spietate politiche liberiste.
Essa – sostiene Zjuganov nel suo rapporto al congresso – può essere unicamente contrastata dalla “prospettiva dell’instaurazione di un potere popolare patriottico, in grado di salvare la Russia, che faccia perno sulle sue tradizioni più profonde, sulle lezioni che si possono trarre dall’epoca sovietica, sulle aspirazioni secolari del popolo russo al potere popolare e alla giustizia sociale. La tendenza che prevarrà sarà in grado di determinare il destino futuro della Russia”.
Come rispondere allora all’offensiva del regime, ponendo le basi di una efficace alternativa? Certo, Zjuganov non sottovaluta il potenziale rappresentato dalla consolidata e riconosciuta presenza del suo partito nel panorama politico russo. Legittimo, ad esempio, è l’orgoglio con cui, rispondendo alle critiche della “destra” interna, il leader del PCFR rivendica gli straordinari risultati politici e organizzativi, conseguiti a dieci anni esatti dal momento in cui molti autorevoli osservatori in tutto il mondo sembravano nutrire la certezza che i concetti stessi di “comunismo” e “partito comunista” potessero venire definitivamente cancellati (quanti di noi hanno allora pensato la stessa cosa!) dal lessico politico in uso nel paese della Rivoluzione d’ottobre.
Il PCFR – afferma Zjuganov – è “l’unico tra i 180 partiti registrati in Russia (compresi quelli del potere) a disporre di una struttura reale”, presente in ogni angolo del grande paese. Solo nell’ultimo anno sono entrati nel partito quasi 20.000 nuovi iscritti (e tra questi molti studenti di prestigiosi istituti universitari e scuole di specializzazione, appartenenti alla generazione “postsovietica”). Le iniziative di lotta e di propaganda del partito hanno mobilitato, nel 2001, milioni di lavoratori. Sempre nel 2001, pur registrando un lieve regresso nelle zone agrarie tradizionalmente a loro vicine, i comunisti hanno ottenuto smaglianti vittorie elettorali, conquistando, in particolare, la regione di Nizhnij Novgorod, terzo centro industriale della Russia dopo Mosca e San Pietroburgo, mietendo voti tra la classe operaia. In una città “difficile” come Mosca, hanno raddoppiato i loro consensi nella consultazione di dicembre per il rinnovo della Duma locale, passando dal 9 al 17 per cento (con picchi del 25% nei quartieri operai). A Irkutsk, grande centro industriale siberiano, non hanno vinto per un soffio, e solo in virtù dei giganteschi brogli elettorali messi in atto dalla mafia locale. Tutti i sondaggi attribuiscono, in questo momento, al PCFR dal 32 al 37 per cento dei voti, stimando – come in Moldavia – superiore al 50 per cento il suo effettivo potenziale elettorale.
Ma tutto ciò non sarà sufficiente se i comunisti non sapranno proseguire con tenacia lungo la strada, scelta da tempo, della ricerca dell’unità con tutte le forze che, animate dalla volontà di risollevare il paese dallo stato di frustrazione e umiliazione in cui è sprofondato, ancora ripongono le loro speranze nella retorica nazionalista di Putin, o che, pur avendo compreso che “il patriottismo di Putin è solo una finta, non vedono ancora la possibilità di operare per cambiare, e con chi impegnarsi per farlo”.
“L’unità tra i comunisti e i patrioti – ha proseguito Zjuganov – è la condizione essenziale per far uscire la Russia dall’attuale pesante situazione”. “Per questa ragione noi non dobbiamo rappresentare solo il partito del potere popolare e della giustizia sociale. Ma siamo obbligati ad essere anche il partito degli interessi nazionali, del partito del lavoro costruttivo, il partito delle grandi masse lavoratrici, che unisce tutti quelli che desiderano comportarsi come cittadini rispettabili e che vogliono vivere in un paese dignitoso e rispettato”.2
Di conseguenza occorre, rafforzando in primo luogo il ruolo dell’ “Unione popolare patriottica”, fulcro del sistema di alleanze del PCFR, creare le condizioni per suscitare un consenso di massa che isoli la ristretta cerchia oligarchica che domina il paese, e che consenta la formazione di un governo dotato del più largo consenso e capace, sull’esempio della positiva esperienza avviata ai tempi di Primakov, di invertire la rotta, dispiegando il potenziale reale di cui ancora dispone la Russia: un paese che – ha ricordato Zjuganov –“pur nelle condizioni più difficili, è ancora in grado di fornire 300 milioni di tonnellate di prodotti energetici, che approvvigiona l’Europa di un terzo del suo gas, che forma un quarto del mercato di diamanti dell’intero pianeta, che dispone di risorse incalcolabili di nichel e platino e che riesce a vendere 500 milioni di metri cubi di prodotti derivati dallo sfruttamento delle foreste”. Per non parlare del potenziale umano, rappresentato dall’elevato numero di scienziati e specialisti “che ancora intendono mettere al servizio del paese il frutto del proprio lavoro e della ricerca, come avveniva ai tempi dell’Unione Sovietica”.
I giudizi espressi nel rapporto introduttivo, che riducono al minimo le possibilità di dialogo non solo con l’attuale governo ma con lo stesso presidente, e che sembrano avere ricomposto, almeno per il momento, i dissensi provenienti dalla “sinistra” del partito (particolarmente visibili tra le leve più giovani di militanti, tanto da creare, nei mesi scorsi, alcuni problemi nelle relazioni tra il partito e la propria organizzazione giovanile), è stata contestata, con una certa veemenza, da alcuni dirigenti di prestigio.
Ghennadij Selezniov – figura istituzionale di primo piano in quanto speaker della Duma (eletto, all’inizio della legislatura, sulla base di un accordo con lo schieramento centrista, che aveva generato speranze verso il presidente andate in seguito deluse) e leader di “Rossija”, movimento di ispirazione socialdemocratica, di cui non viene esclusa una futura adesione al partito di Gorbaciov – ha sostenuto “di non essere d’accordo con l’analisi dei più recenti sviluppi della situazione russa fatta da Zjuganov”, soprattutto quando il presidente del PCFR li definisce la messa in atto di un “genocidio”, in quanto tali affermazioni “semplicemente non rifletterebbero la verità delle cose”.
La netta presa di distanze di Selezniov fa ritenere ad alcuni osservatori come imminente la realizzazione di un nuovo tentativo di scissione, che seguirebbe gli innumerevoli già tentati (e falliti) negli ultimi anni .3
Un altro dirigente, considerato vicino a Selezniov, il governatore della regione della Khamchatka, Michail Mashkovtsev, è stato ancora più deciso nelle critiche verso le posizioni prevalenti nel partito. Egli ha proposto che il PCFR assuma una linea “più dialogante” nei confronti del potere, sviluppando “la cooperazione con il presidente ed il governo, perché”, a suo avviso, con una politica di contrapposizione “la popolarità dei comunisti è calata recentemente nelle regioni”.
Secondo Mashkovtsev, che coglie l’occasione per lanciare un attacco diretto alla figura di Zjuganov, il partito dovrebbe mostrare un approccio più amichevole nei confronti di Putin, che non avrà difficoltà ad ottenere il prossimo mandato presidenziale, nell’attesa, per il 2008, di un nuovo candidato proposto dai comunisti alla massima carica, che dovrebbe essere “giovane, energico e stimato”.
Il congresso si è concluso comunque con l’approvazione quasi unanime (con cinque soli voti contrari) di una risoluzione che approva l’analisi del rapporto introduttivo di Zjuganov, e che invita il partito ad attrezzarsi per far fronte alla prospettiva di un durissimo confronto nella Duma e nel paese, in vista delle prossime elezioni legislative.

Note

1 Così si esprime Irma Barbarossa, nel suo intervento apparso su “Liberazione” del 16 gennaio 2002. L’ennesimo, strumentale attacco al PCFR viene sferrato, come sempre, senza uno straccio di documentazione, esclusivamente sulla base di inossidabili stereotipi, che sembrano avere una certa presa, in particolare, su alcune compagne del “Forum delle donne” del PRC.
Sempre a proposito di pregiudizi, appare sorprendente come, nel momento in cui l’Internazionale socialista e addirittura governi occidentali, come quello francese, sembrano assumere il ruolo di comprimari nelle dinamiche del “Forum di Porto Alegre”, vengano dai più volutamente ignorate le aperture del PCFR (testimoniate dal rapporto al congresso) all’ “Internazionale degli antiglobalisti” e il caloroso messaggio di saluto che il PCFR – che, del resto, da tempo guarda con attenzione alla realtà latinoamericana e che recentemente ha partecipato al “Forum di San Paolo” – ha voluto inviare ai partecipanti al raduno brasiliano, esprimendo il proprio consenso al “tentativo di elaborare un’alternativa di sinistra al modello della globalizzazione neoliberale”. “Agli organizzatori e ai partecipanti al Forum sociale mondiale”(Porto Alegre, febbraio 2002). www.kprf.ru.

2 Che tale analisi trovi conferma negli orientamenti espressi dalla maggior parte degli elettori del partito, viene affermato in un lavoro di inchiesta condotto dai sociologi Serghej Vasilzov e Serghej Obuchov del “Centro di ricerca di cultura politica della Russia”, i cui risultati vengono illustrati nell’articolo “L’anno delle speranze intramontabili”, “Sovetskaja Rossija”, 27 dicembre 2001. La maggior parte degli intervistati, tra coloro che intendono votare per il PCFR, risponde di individuare in questo partito “la principale forza della rinascita russa, in grado di mettersi alla testa della lotta di liberazione nazionale contro il predominio dell’Occidente”.

3 La sensazione dell’acutizzarsi della contrapposizione forse insanabile tra la maggioranza del PCFR e gli esponenti del movimento “Rossija” che, fino ad oggi, hanno preferito muoversi sotto la copertura della militanza nel principale partito di opposizione, è testimoniata dallo svolgimento, a qualche giorno di distanza dal congresso comunista, di una riunione dei suoi militanti, in cui è stata prospettata l’autonomizzazione definitiva del movimento in vista delle prossime scadenze elettorali. A “Rossija” fanno già oggi riferimento 200 deputati, eletti nelle assemblee a diversi livelli. Valerij Doroghin, uno dei massimi esponenti del movimento, ha dichiarato che “Rossija” ha “serie possibilità di successo nelle elezioni per la Duma”, dove potrà impegnarsi nella battaglia per “la costruzione di uno stato sociale, manifestandosi come movimento socialista e non comunista”.
Anna Zakatnova,“Il movimento Rossija raccoglie il suo capitale politico”, “Nezavisimaja Gazeta”, 26 gennaio 2002.