10° Congresso del Partito Comunista del Brasile (PCdB)

Sulla situazione internazionale

Imperialismo, neo-liberismo e Stati nazionali

– (…) La politica di accumulazione e concentrazione del capitale a livello mondiale assume oggi una veste politica di “nuova fase” e di “rilancio” del capitalismo. Così, il progetto neoliberista si prodiga in una serie di sforzi diversi, che vanno dalla privatizzazione delle imprese statali e del patrimonio pubblico all’abdicazione dello Stato dal suo ruolo di regolatore dell’economia, con la messa in atto di politiche regressive di rigore fiscale e di mortificazione e annullamento della legislazione a tutela del lavoro e dei diritti sociali.

– Pur tuttavia, la ricetta neoliberista non è applicata univocamente nei Paesi imperialisti e nelle nazioni dipendenti e in via di sviluppo. Nei primi lo Stato appoggia sempre le grandi imprese private, favorendone l’operato alla ricerca di occasioni per fare affari nel resto del mondo. Gli sgravi fiscali, le sovvenzioni all’agricoltura, le restrizioni commerciali e doganali per i Paesi terzi ed altre misure di tipo protezionistico sono, all’interno di ogni Paese “sviluppato”, altrettanti meccanismi di intervento a sostegno del grande capitale nazionale. Un sostegno di cui quest’ultimo non può fare a meno, come dimostrano, tra l’altro, le ricorrenti crisi finanziarie in occasione delle quali lo Stato interviene massicciamente per salvare le grandi banche.

– L’idea secondo la quale gli Stati-nazione, e con essi le frontiere economiche, ormai non esistono più è completamente falsa. Viceversa, la questione nazionale e la lotta anti-imperialista, per quanto possa esserci stato un oggettivo indebolimento della funzione dello Stato nei Paesi dipendenti (a cui fa però da contraltare a un suo rafforzamento nei Paesi imperialisti), non sono mai state così attuali. L’idea che vuole la fine dello Stato-nazione si basa sul presupposto fallace che l’economia neoliberista ci ha portato verso il superamento delle economie nazionali e, di conseguenza, gli Stati nazionali non sarebbero ormai più in grado di concepire politiche macroeconomiche. Una visione siffatta è strumentale all’accettazione della “via unica” della globalizzazione neoliberista e riveste una funzione ideologica volta a impedire che i Paesi adottino autonomamente progetti consoni agli interessi dei propri popoli. (…)

– Il sistema vive e si regge su una tensione permanente, con sussulti di crisi periodiche ognuna più grave delle precedenti. Il concetto di crisi non va associato all’idea di un collasso automatico o di un crollo finale del capitalismo (inscindibile, questo, dalla lotta politica rivoluzionaria). In ogni caso, nella fase imperialista, le crisi si caratterizzano per cicli economici sempre più indefiniti e irregolari, dove il disordine finanziario si intreccia con la sovrapproduzione e il parassitismo crescenti. (…)

L’imperialismo Usa, primo nemico della libertà, dell’indipendenza dei popoli e della pace

– Al contrario di quanto sbandierato dai circoli imperialisti e dai loro centri di propaganda, il quadro politico mondiale è dominato dall’insicurezza e dal caos. Quello che, a seguito della scomparsa dell’Unione sovietica e della sconfitta del socialismo nell’Europa dell’est, viene definito nuovo ordine mondiale si configura sempre di più come un ordine imperialista contrassegnato dalla spoliazione sfrenata dei popoli e delle nazioni, da un crescente divario sociale, dall’aumento della distanza e della differenza tra Paesi ricchi e Paesi poveri, dall’autoritarismo e dalla distruzione dell’ambiente. In questo modo il secolo XXI inizia con una gigantesca regressione delle conquiste dell’umanità, in un panorama mondiale dominato dalla crescente egemonia, politica e militare, degli Stati Uniti. Al tempo stesso in cui fa lettera morta di principi che si credeva inconfutabilmente acquisiti quali la sovranità nazionale, il rispetto dell’integrità territoriale e la soluzione dei conflitti attraverso mezzi pacifici, l’imperialismo nordamericano fa proprio il cosiddetto diritto di ingerenza, elevandolo al rango di principio massimo della politica internazionale. Nella difesa dei propri interessi egemonici, la nuova amministrazione americana, guidata da un presidente ultra-conservatore, ha già lanciato segnali inequivocabili ai Paesi bollati come avversari nella direzione di una escalation della tensione internazionale. L’insicurezza tra i popoli del mondo cresce in maniera esponenziale. (…)

– La politica di forza dell’imperialismo statunitense si basa sul potenziamento dell’apparato militare, suo e degli alleati. Già la NATO, dopo la guerra del Kossovo, ha assunto un carattere più marcatamente aggressivo, definendo una chiara strategia – tanto minacciosa quanto pericolosa – di espansione del proprio raggio d’azione nell’Europa orientale e verso le frontiere della Russia, che si aggiunge al rinnovo del trattato militare nippo-americano e alla riaffermazione della presenza militare americana in Asia. Ora, benché osteggiati dal governo di Mosca, dalla Cina e persino dai suoi alleati europei, gli Stati Uniti stanno rivolgendo ogni sforzo al miliardario progetto ribattezzato “guerre stellari”, la creazione di uno scudo di difesa anti-missile che metterebbe in serio pericolo il delicato equilibrio strategico nucleare faticosamente raggiunto con la firma degli accordi sovietico-americani del 1972. ( … )

– Il rafforzamento di una grande nazione socialista come la Cina ha scatenato l’animosità degli Stati Uniti. Alcuni episodi recenti, fatti di incidenti e provocazioni, lo stanno a dimostrare: basti solo ricordare, a questo proposito, il bombardamento dell’ambasciata cinese a Belgrado, durante la guerra del Kossovo nel 1999 (un “deplorevole errore”, come è stato definito dagli Stati Uniti), e l’incidente dell’aereo-spia introdottosi nello spazio aereo cinese e fatto poi atterrare nell’aeroporto di Hainan. Non sono da meno la decisione di incrementare la vendita di armi a Taiwan (“farò di tutto per aiutare Taiwan a difendersi dalla Cina”, ha affermato Bush) e episodi come l’invito alla Casa Bianca del Dalai Lama. Infine, non è di secondaria importanza che, nella produzione letteraria e cinematografica, la Cina ha preso il posto dell’Unione Sovietica come nuova minaccia per l’immaginario collettivo americano. Richard Bernstein e Rosso Munro hanno pubblicato nel 1997 un libro dal titolo più che eloquente: “L’imminente conflitto con la Cina”. ( … )

Le divisioni nel campo imperialista

– I mezzi di propaganda dell’imperialismo tendono a presentare l’egemonia statunitense come una certezza incontrovertibile e il mondo “unipolare” come un dato di fatto di qui all’eternità. Naturalmente, non c’è niente di più falso. Sono infatti gli altri poli imperialisti che, prima di ogni altro, si incaricano di minare la leadership economica degli USA: in Asia è il Giappone, nonostante la recessione alle porte, e, nel vecchio continente, l’Unione Europea, con la creazione di una poderosa e temibile – per gli interessi degli Stati Uniti – “zona euro” a rappresentare una aggressiva concorrenza (anche sul piano militare, come attesta la decisione dell’UE di costituire entro il 2003 una forza di pronto intervento di 60 mila unità). Quest’associazione di Paesi europei sta inoltre contendendo seriamente agli Stati Uniti l’influenza su regioni fino a poco tempo fa di spettanza esclusiva degli USA, come è il caso dell’America latina, in un’operazione di lunga durata che gli statunitensi cercano di contrastare con la creazione di un Area di Libero Commercio in America, l’AFTA. Inoltre, il fallimento di ogni tentativo per imporre l’Accordo Multilaterale degli Investimenti e la prolungata stagnazione dei negoziati in seno all’OMC, l’Organizzazione Mondiale del commercio, di cui il fallimento del vertice di Seattle nel 1999 è l’esempio più eclatante, dimostrano che all’interno del campo imperialista è in atto una guerra senza esclusione di colpi, anche se i Paesi imperialisti sanno ritrovarsi attorno al tavolo comune del G7 quando si tratta di accordarsi con il fine di ledere gli interessi dei Paesi del Terzo mondo. Anche Paesi “minori”, come la Malesia, dimostrano di voler e saper contrastare lo strapotere statunitense, come dimostra il rifiuto opposto al monitoraggio FMI sulla propria economia e alla creazione di una moneta unica asiatica nell’ambito dell’ASEAN, l’associazione dei Paesi del Sud-est asiatico. Infine, la recente sconfitta degli Stati Uniti durante l’elezione, in seno alle Nazioni Unite, delle Commissioni per i Diritti Umani e per la Lotta alle Droghe stanno a indicare che sono già in atto mutamenti significativi nei rapporti internazionali e che il cosiddetto ordine “unipolare” non è così unico come si vorrebbe far credere.

– Il mondo odierno è oggettivamente incamminato verso la formazione di altri poli che, contestando lo strapotere degli Stati Uniti, ne destabilizzano la politica di superpotenza unica e spingono verso il fallimento la prospettiva di un mondo “unipolare”. Ma ci sono altre ragioni che, in questa analisi, vanno prese in considerazione, e sono da ricondurre innanzitutto al ruolo di primaria importanza che sempre più, nel contesto internazionale, sta assumendo la Cina sia a livello economico che diplomatico, come pure alla realtà di un Paese pur capitalista come la Russia che, comunque, si batte per mantenere il peso e l’influenza di cui gode nel consesso internazionale. L’accordo tra Russia e Cina rivela, in questo senso, una valenza strategica di indubbia importanza. ( … )

La lotta dei popoli

– La comparsa del movimento di contestazione alla globalizzazione capitalista rappresenta un fatto completamente nuovo nello scenario internazionale: Seattle, Praga, Nizza, Porto Alegre, Davos, Buenos Aires e Quebec (le Tesi sono state scritte appena prima del meeting di Genova – ndr) sono state – in concomitanza con le riunioni dei vari vertici internazionali di capi di stato e di governo e dei dirigenti d’impresa – teatro delle azioni di lotta ed episodi chiave nella vita di questo movimento. Unitamente alle altre manifestazioni di segno progressista nel mondo, esso concorre allo stravolgimento a medio e lungo termine degli attuali rapporti di forza tra i soggetti della politica e possiamo affermare che rivestirà un ruolo tanto più incisivo quanto meno si lascerà coinvolgere in tentativi di strumentalizzazione anticomunista o di contrapposizione alle organizzazioni dei lavoratori. In questo senso, il movimento dei no global deve darsi, nel corso della sua evoluzione, una piattaforma di lotta con un chiaro carattere antimperialista, nella consapevolezza che non ci può essere vera lotta al neoliberismo al di fuori e senza la difesa degli spazi di libertà nazionali specifici per ogni Paese. ( … )

– Un dato importante nell’attuale situazione internazionale è il rafforzamento dei Paesi socialisti: Cina, Cuba, Vietnam, Corea del Nord e Laos consolidano la propria posizione tenendo alta la bandiera del socialismo, a dispetto dei tentativi di affossamento della loro esperienza storica messi in atto dal capitalismo internazionale, con il senso di onnipotenza che gli deriva dalla sconfitta del campo socialista nell’Europa dell’est e dalla scomparsa dell’Unione Sovietica. La costruzione di una nuova società in questi Paesi si avvale della consapevolezza degli errori, come anche dei successi, che hanno caratterizzato precedenti analoghe esperienze e si muove secondo un modello inedito, in cui si coniuga l’introduzione di elementi di mercato con il primato dell’economia socialista nella realtà nazionale di ciascuno di essi.

– La vitalità permanente della via socialista è frutto anche del ruolo di guida svolto dal partito comunista e dall’applicazione del marxismo-leninismo alla realtà odierna. In particolare il Vietnam, come anche Cuba e la Cina (quest’ultima protagonista di uno sviluppo ininterrotto negli ultimi due decenni), non avrebbero sicuramente potuto resistere con successo all’accerchiamento internazionale senza una salda base politica e ideologica.

– All’opposto, e a conferma di tutto ciò, i Paesi che, abbagliati da vane promesse, hanno abbandonato le conquiste storiche della rivoluzione socialista sono attraversati – tutti e senza eccezioni – da una crisi economica persistente, fatta di degrado sociale e di instabilità politica. ( … )

Il Partito

– Così come il superamento del capitalismo nella storia recente è stato possibile grazie alla presenza di una forte avanguardia di classe organizzata su basi leniniste, alle sconfitte nel campo socialista ha contribuito non poco la degenerazione registrata all’interno dei partiti dirigenti. Questo dato di fatto ci impone un ripensamento del ruolo del partito.

– La riflessione deve articolarsi su due elementi fondamentali: da un lato, la degenerazione dei partiti comunisti avvenuta a partire dalla metà del secolo scorso e che deve essere letta come la più salutare delle lezioni; dall’altro, i cambiamenti intervenuti nella società internazionale e che interessano tutti gli aspetti del mondo contemporaneo, dal nuovo modello di dominio dello Stato borghese, al ruolo delle forze politiche nelle istituzioni, al diverso profilo del proletariato e della lotta di classe. ( … )

Necessità di un partito rivoluzionario

– La discussione sulla necessità di un aggiornamento del partito data da parecchio tempo. I primi attacchi alla forma leninista di partito risalgono addirittura agli inizi del secolo scorso e si ripropongono puntualmente ad ogni fase di rimonta del capitale. Nell’attualità, questi attacchi sono parte di una strategia diretta dai rappresentanti del capitale al fine di imporre un sistema nel quale siano contemplati esclusivamente i partiti che difendono i loro interessi. Quanti, anche a sinistra, difendono la priorità dell’azione politica all’interno delle istituzioni non si rendono conto del crescente divario e della contraddizione tra il modello di globalizzazione neoliberista e i meccanismi della stessa democrazia borghese. (…)

– Un partito con vocazione all’alternativa deve avere chiaro l’emergere di nuovi soggetti e nuove dinamiche nella società: l’accresciuto peso del ruolo della donna, la questione degli orientamenti sessuali, la questione etnica e quella razziale, la preoccupazione per l’ambiente, rappresentano altrettanti fattori che entrano a pieno titolo nella prospettiva del partito e ne riformulano, nella lotta per il potere centrale, l’idea di società futura.

Il dibattito sulla forma – partito

– La consapevolezza dei cambiamenti nella base della società non ha niente a che vedere, però, con la pretesa di chi, sbandierando una presunta “modernità”, invoca il superamento della forma-partito e la confluenza in un indistinto “movimento”; ciò renderebbe, a detta di alcuni, i processi sociali “più democratici” e “più puri”. Per esempio, c’è chi si batte per trasferire alle Organizzazioni non governative l’esclusività della rappresentanza legittima della società. Ora, è pur vero che le Ong rappresentano validamente preoccupazioni reali all’interno del corpo sociale, ma è altrettanto vero che sono prive di un progetto globale di trasformazione della società e non possiedono i requisiti storici per sostituire le organizzazioni di partito. Dietro a certe concezioni spontaneiste, spesso, si cela semplicemente l’attacco al partito rivoluzionario in quanto tale.

– Ribadiamo che la presa d’atto dei complessi mutamenti in seno alla società nulla toglie alla validità e all’attualità della teoria leninista del partito, validità e attualità tanto maggiori quanto più lontane da una applicazione schematica del pensiero di Lenin. La fusione tra coscienza socialista e movimento spontaneo della classe operaia, che si traduce sul piano strettamente organizzativo nel principio del centralismo democratico, rappresenta il maggior contributo di idee lasciato da Lenin.

– Gli avversari della forma leninista di partito basano le loro critiche su alcuni presupposti che, una volta messi a nudo, mettono ben in chiaro la natura dei loro attacchi.

– Un certo genere di attacchi, che si ammanta di retorica socialista, viene portato avanti da chi si illude di poter introdurre elementi di socialismo all’interno dello Stato borghese, per riformarlo radicalmente dall’esterno verso l’interno: rientrano in questo ambito talune iniziative dei governi popolari, come il “bilancio partecipativo” (programma di partecipazione popolare nella formulazione del piano di bilancio delle amministrazioni locali, esperienza messa in atto soprattutto a Porto Alegre per iniziativa del Partido dos Trabalhadores – N.d.T. ), che hanno il dichiarato obiettivo di creare una “sfera pubblica” popolare, democratica e non statalista, con funzione di controllo e pressione sull’amministrazione statale. Tali iniziative costituiscono indubbiamente conquiste democratiche e spazi importanti che possono e devono essere usati per accrescere la coscienza socialista, ma sono ben lungi dal rappresentare anticipazioni del socialismo, dato che non alterano la logica di classe alle quali sono sottomesse le diverse istanze della macchina dello Stato. La storia insegna che in nessun Paese del mondo è stato possibile realizzare il socialismo senza una rottura con il potere capitalista.

– C’è poi chi combatte l’idea di “partito di avanguardia” contrapponendogli quella di “partito di massa”, considerando la prima una proposta superata in quanto non ha saputo dare risposta alla varietà e molteplicità di domande prodotte dalla lotta di classe nel capitalismo moderno. Ancora una volta si ripete la deformazione del significato più ampio del concetto di avanguardia e lo si confonde con quello di “partito di quadri”, esperienza particolare di un determinato momento storico. È utile riaffermare che ciò contraddistingue un partito di avanguardia è la capacità di comprendere i movimenti sociali e di pianificare oltre l’orizzonte limitato del quotidiano; un partito cioè che coniuga l’attività dell’oggi con la visione degli obiettivi futuri che si concretizzano nel superamento del capitalismo. Un partito di avanguardia può e deve assumere, in una certa fase, una strutturazione ampia, vale a dire trasformarsi in un partito grande e articolato per agire sui vari fronti nei quali si manifestano i conflitti politici e sociali del mondo moderno. I marxisti sanno che non esiste un partito con immaginarie virtù di “avanguardia” per definizione, ma che tale carattere gli è riconosciuto dai lavoratori nella misura in cui propone e porta avanti un’azione valida in grado di aprire la strada alla lotta per il potere da parte dei lavoratori stessi. (…)

– (…)La visione chiara dell’acuirsi delle crisi del capitalismo in una prospettiva storica e la comprensione scientificamente fondata, da parte dei quadri e dei militanti del partito, che la sconfitta subita dal socialismo e l’offensiva neoliberista sono, in termini storici, transitorie, potranno avere l’effetto di favorire nuove adesioni e di rinvigorire la consistenza del partito e la sua presenza attiva nella realtà del Paese. (…)

Un partito di classe per il proletariato attuale

– Il Partito Comunista del Brasile si trova in questo momento di fronte a una serie di molteplici sfide attinenti a una conferma della propria identità non disgiunta dalla costruzione di una elaborazione teorica in sinergia con i cambiamenti espressi dalla società. Si tratta di: a) riaffermare e rilanciare il carattere intrinsecamente rivoluzionario della classe operaia, b) conquistare l’adesione dei lavoratori a un progetto politico praticabile di transizione, c) definire e realizzare nuove forme di lotta e di organizzazione, e d) superare il ritardo registrato nell’incorporazione degli elementi più combattivi nelle file rivoluzionarie.

– Assistiamo in questo particolare momento storico a una offensiva ampia e virulenta contro il proletariato: si tenta di negare la centralità del lavoro nel processo produttivo, con l’argomento che questo ruolo verrebbe oggi assunto dalla scienza; dalla riduzione della consistenza numerica del proletariato delle grandi fabbriche si fa discendere un drastico ridimensionamento del suo ruolo nella società come soggetto di cambiamento; si collega l’indebolimento delle organizzazioni sindacali alla frammentazione dell’organizzazione del lavoro sul territorio. Tutto questo va di pari passo con le pratiche spicciole di intimidazione dei lavoratori messe in atto all’interno delle fabbriche.

– Si tratta di un’offensiva ideologica che già conosce la sua risposta: si ha un bel dire che la scienza è la principale forza produttiva, ma senza il lavoro vivo di uomini e donne la più sofisticata delle tecnologie e i macchinari più complessi rimangono materia inerte, incapaci di produrre valore.
La ridotta consistenza numerica della classe operaia nelle grandi fabbriche trova il suo contraltare nelle innumerevoli forme di lavoro marginale e disperso attraverso una miriade di unità produttive che, per quanto non visibile a chi non lo voglia vedere, rappresenta la faccia “moderna” dello sfruttamento, e, sul piano della qualità della spoliazione della forza-lavoro, produce condizioni di vita persino più precarie che in passato. Si tratta di una polarizzazione in forme inedite che ha visto una crescita di fatto del proletariato. La crisi del sindacato fa i conti con questa realtà di “flessibilità” e “decentramento” nell’organizzazione del lavoro, ma essa risente anche di dinamiche politiche esterne alle organizzazioni sindacali.

– Si richiede in questa fase una conoscenza più approfondita della composizione della classe operaia e della sua dislocazione geografica: le fabbriche che, una volta, erano per la maggior parte concentrate nella zona di San Paolo oggi si sono spostate nei distretti periferici, e l’introduzione di nuove tecnologie nelle imprese dei più diversi settori ha catalizzato un segmento di manodopera più qualificato e intellettualizzato (buona parte degli operai di fabbrica oggi hanno il diploma di scuola superiore) che vende la propria forza-lavoro in un dispendio combinato di sforzo manuale e attività intellettuale. Accanto a questi sussiste un settore di manodopera – a bassa qualificazione e di facile sostituzione – di addetti al semplice lavoro di “premi-bottoni”. ( … )

– Una grossa fetta della società in Brasile è costituita da persone che lavorano e perdono il proprio impiego in un breve spazio di tempo: sono i lavoratori informali, i disoccupati cronici e i milioni di giovani alla ricerca del primo lavoro. Priva di legami sindacali, questa massa è discriminata, emarginata e repressa. Il disagio che vivono sul piano anche personale milioni di cittadini in queste condizioni trova spesso sfogo in manifestazioni culturali “minori”, attraverso le associazioni di tifosi o nelle innumerevoli feste popolari e di quartiere, quando non attraverso quelle che si presentano come soluzioni “immediate” alla disoccupazione e alla precarietà: il consumo e il traffico di droghe. Su questa problematica il partito è praticamente assente ed è necessaria una inversione di rotta per coinvolgere questa categoria sociale.

– L’incorporazione di nuove adesioni, soprattutto degli operai di fabbrica, è un fattore decisivo per il rafforzamento del carattere di classe e dell’identità ideologica del partito. Ma essa non si produrrà né spontaneamente né per effetto del caso. C’è bisogno di una attenta e controllata pianificazione, che vada dall’attività sindacale fino a una certa quota di “clandestinità” nelle forme di organizzazione interna alla fabbrica, una pianificazione che avrà successo solo nella misura in cui verrà compresa come compito politico e ideologico prioritario di tutta la struttura del partito. È necessario propagandare le idee socialiste partendo dall’esperienza, affinché si affermi una tendenza di classe nel nucleo centrale della classe operaia.
La conquista dei lavoratori sul piano ideologico non è una mera questione di divulgazione dottrinaria, se teniamo conto dell’accerchiamento ideologico che si è sviluppato all’interno delle fabbriche: la dittatura del capitale ha assunto la veste dei nuovi processi di gestione e, ciò considerato, la lotta non può prescindere dall’attività sindacale di classe. (…)

Lotta ideologica e formazione dei quadri

– La costruzione ideologica del partito ha conosciuto un importante rinnovamento dopo il suo 9° Congresso. Soprattutto, si è lavorato molto sulla lotta al dogmatismo e su una rilettura critica della situazione in Brasile e della realtà mondiale.

– All’interno del partito stanno emergendo elementi di debolezza ideologica che si traducono in espressioni di burocratismo, pragmatismo e rassegnazione, da un lato, e manifestazioni riconducibili a logiche settarie del tipo “tutto e subito”, dall’altro. Tutto ciò, in un momento di intenso attacco alla classe operaia, crea un’atmosfera di disfattismo e non ottiene altro risultato che indebolire la prospettiva rivoluzionaria ( … )

– Il nuovo percorso del partito dopo il 9° Congresso ha visto un approfondimento del lavoro di formazione, che si è concentrato sullo studio dei problemi del Paese, della sua storia e della sua cultura, dei fatti che coinvolgono la gente. La programmazione centralizzata dei contenuti ha fatto grandi passi avanti, contemporaneamente all’attuazione di un ampio decentramento nella strategia del lavoro di formazione. In tutto il Paese si sono sviluppati corsi intensivi di formazione marxista e corsi di base su video. Migliaia di quadri e militanti sono stati l’alveo di questo sforzo. Il risultato è stato una manifestazione di maggiore entusiasmo e una accresciuta fiducia verso il progetto del partito. ( … )

– Un aspetto particolare in tutto questo è dato dal sostegno materiale alle attività di partito. Esso è intimamente legato al processo che abbiamo definito di costruzione ideologica. In questo momento il grosso delle risorse finanziarie, stante un impegno assolutamente minimo dei militanti, proviene dai contributi dei parlamentari. Va detto che questo indica una limitata comprensione ideologica di un aspetto essenziale, qual è quello del finanziamento, nella costruzione del partito. È un’incomprensione che riflette una visione idealista del processo politico, poiché non c’è modo di fare politica senza risorse. Per quanto si possa contare su un eccellente orientamento e su buoni piani, in mancanza di risorse questi non avranno nessuna efficacia.

La costruzione del partito nella fase attuale

– ( … ) É di prioritaria importanza, per un partito rivoluzionario, l’ingresso nelle sue file di quel segmento della società che maggiormente partecipa al processo di creazione del valore: gli operai delle grandi fabbriche. Al tempo stesso, deve essere oggetto dell’impegno del partito conquistare le adesioni della parte più combattiva delle altre categorie di lavoratori, in virtù del potenziale di lotta anticapitalista che essa rappresenta. E una importanza sempre maggiore deve essere dedicata al riavvicinamento del PCdB agli intellettuali brasiliani progressisti, al loro coinvolgimento nella lotta di trasformazione e a richiederne il contributo nel lavoro di costruzione teorica e ideologica del partito. ( … )

– All’interno del lavoro di riorganizzazione dei quadri e dei nuclei dirigenti bisogna aver cura di definire un equilibrio maggiore tra la componente maschile e quella femminile, nel senso di promuovere una maggiore partecipazione delle donne; stesso discorso va fatto per i giovani, al fine di favorire – in una situazione nella quale la maggior parte dei dirigenti ha più di quarant’anni – un ricambio naturale dei quadri direttivi,. Il carattere proletario del partito va riaffermato con un lavoro mirato tra i quadri di origine operaia affinché giungano a tenere un peso maggiore all’interno degli organismi dirigenti. ( … )

– Il lavoro di costruzione teorica del partito deve destinare un’attenzione speciale alla formazione dei quadri, e in questo senso devono essere rivalutate le attività di studio e la partecipazione ai seminari. A questo fine, si rende necessario realizzare una programmazione di corsi sistematici ai vari livelli. (…)

Traduzione di Luciano Marasca