Terrorismo. Un vero bombardamento simbolico è quello affidato al ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa, che assolve egregiamente il compito con la qualità del suo linguaggio. Ieri nell’incontro con gli enti locali evocava minaccioso: «i cecchini girano d’estate e spesso sono quelli che uccidono le buone idee»; così come pochi giorni fa ammoniva che «i mercati sentono l’odore del sangue». Nessuna cifra precisa, però, ha fornito né alle autonomie locali, né ai sindacati, che sembrano essere stati convocati a un incontro con il governo per il 29, ma non ve n’è conferma ufficiale. In compenso si rinnovano cupe promesse di una «medicina amarissima», e i titoli sui quali «intervenire» per risanare i conti pubblici: «previdenza, pubblico impiego, scuola, sanità», anticipa il ministro dell’Economia.
In realtà Padoa Schioppa una cifra globale, ancor che non articolata per «titoli» l’ha sciorinata subito: tocca recuperare almeno 1,6 punti del Pil, «0,8 entro il 2006» – stando alla lettera – pardon, ai «numeri» – del 2006 restano ancora utilizzabili solo 6 mesi, e dunque su base annua quello «0,6» quanto meno si raddoppia. Comunque sia, se si parla della manovra complessiva, c’è chi dice «in realtà saranno necessari 47 miliardi di euro», superando lo stesso tetto dei 40-45, fatti filtrare ufficiosamente nei giorni scorsi da varie fonti ministeriali, sulle quali Romano Prodi si è affrettato a porre un freno. Non ha smentito nulla, sia chiaro, si è solo trincerato in difesa precisando che «cifre ufficiali il governo non ne ha ancora fornite».
Nel frattempo, la vaghezza e il «terrorismo» di Padoa Schioppa servono a spaventare senza dire, tentando di sfiancare eventuali resistenze. Nel vuoto creato dalla non chiarezza si moltiplicano speranze e timori. C’è chi si dice convinto che sarà al momento giusto «la politica», ossia Romano Prodi, a intervenire temperando la manovra con la «equità» promessa – ossia diminuendo un po’ le cifre globali di Padoa Schioppa o offrendo qualcosa per controbilanciarle. Ma anche i sostenitori di questa ipotesi precisano che, comunque, la sostanza dei «tagli» non si discosterà molto dalle temute «cifre». Poi ci sono gli scettici, che temono in Prodi un eccessivo affidarsi al ministro dell’economia.
In questa penosa sospensione, avviene un fenomeno singolare: esponenti del governo, ministri o sottosegretari, intanto parlano, dicono la loro, ma non assumendosi la responsabilità pubblica del loro ruolo. Per questa via è stata ventilata ai sindacati la «moratoria», ossia la sospensione, per i contratti del pubblico impiego. Mentre ieri il ministro del lavoro Cesare Damiano è intervenuto sulla vexata quaestio dei tagli al «cuneo fiscale», ossia i contributi sociali che le imprese versano, sostenendo, da un lato, che la parte di contributi per le pensioni non deve comunque essere sforbiciata; e dall’altro che gli sgravi così garantiti alle imprese vanno erogati solo a quelle che assumono lavoratori «a tempo indeterminato». Ma a scanso di equivoci Damiano pone il condizionale sulle sue dichiarazioni perché, dice, sono solo un’opinione «personale». Disarmante.
Nel vuoto vanno invece decisi all’attacco gli imprenditori – applicando, come in ogni conflitto, la regola che se si guadagnano posizioni sul campo, prima che calino le parole ufficiali, poi si potrà eventualmente trattare da una posizione di maggior forza. Così è un coro, da Montezemolo a Bombassei, di apprezzamento per Padoa Schioppa. Un’assicurazione di fiducia, di comune sentire, nella convinzione che dai pesanti tagli generali si debbano salvare solo loro (per esempio: i tagli dei contributi del ‘cuneo’ a loro vantaggio devono favorirli doppiamente, ritornando «per due terzi alle imprese in modo generalizzato»). Il concetto è chiaro: «l’impresa è il centro» – e in suo nome si chiedono riduzione della spesa sociale e mano libera sugli orari di lavoro.
I sindacati al momento paiono tramortiti dall’incertezza, e in parte anche dal tacito ricatto «ma volete far cadere il governo?». Un ricatto anche comprensibile, ma che la sinistra politica subisce in pieno senza ammetterlo e dunque senza fissare paletti, preferendo nasconderlo sotto un polverone di parole senza costrutto.