Zipponi, il mediatore rosso che «salvò» Romano

«A Prodi non c’è alternativa». Maurizio Zipponi, 52 anni, deputato-metalmeccanico di Brescia, lo sostiene da dieci anni. Da quando nell’ottobre ’97, allora segretario della Fiom cittadina, calò a Roma in pullman con 50 compagni per scongiurare la caduta del primo esecutivo del Professore. E, allo scopo, non esitò a prendere d’assedio la segreteria del suo partito: Rifondazione comunista. Combattivo.
A distanza di un decennio Zipponi insiste: «Non c’è che Prodi. Fino al 2011». Questa volta però, diventato onorevole eTesponsabile Lavoro di Prc, niente picchetti. Ma una proposta sulle pensioni che potrebbe agevolare l’accordo nella maggioranza e scongiurare la crisi. Un passo indietro? «Macché, è una proposta complessiva che avevamo messo a punto a gennaio». Anche il «sì» allo scalino dei 58 anni? Non è che il «manifesto» riformista di Rutelli, che vi spinge ai margini della coalizione, vi ha consigliato una linea più morbida? «Quell’idea è venuta fuori 15 giorni fa, la notte che è saltato l’accordo. Era una delle proposte che circolavano. Si è pensato di metterla giù per non contrastare la trattativa». Cioè? «Abbiamo deciso un atto di sincerità totale verso il governo: per noi Prodi deve durare fino al 2011 e non intendiamo usare le pensioni per qualsiasi manovra di tipo polìtico. Sempre che l’accordo sia coerente con il programma».
Ma l’iniziativa non è piaciur ta alla sinistra del partito: Giorgio Cremaschi, leader della corrente «Rete 28 aprile», l’ha definita, durante il comitato politico, un «pastrocchio che metterà i lavoratori gli uni contro gli altri». Zipponi ha ac-

cettato la sfida: il suo discorso tranquillo ma appassionato, tutto in salita, ha guadagnato l’ovazione della platea, «n comitato si è chiuso ieri con un 90% di consensi per la linea del segretario Giordano — osserva —. In quale altro partito c’è questo consenso…» Bulgaro? «Insomma, noi non abbiamo un problema». Eia scissione? La corrente che fa capo a Salvatore Cannavo l’ha annunciata. «L’unica scissione che mi
preoccupa è quella con i lavoratori. Tutto il resto è roba da ceto politico che strumentalizza le questioni per affermarsi». E per non perdere il contatto conia base, Zipponi, ex operaio della Franchi, torna appena può nella sua Brescia dove ha costituito un personale comitato consultivo: «Sei persone: cinque delegati delle più grandi fabbriche metalmeccaniche e il segretario generale della Fiom di Brescia, Michela Spera». Così Zipponi tasta il polso degli operai del Nord,
sottopone loro le ipotesi di accordo, le corregge. «Detesto chi parla dell’operaio con commiserazione, o chi usale immagini e le parole della tradizione operaia per vendere una macchina». Ce l’ha con la Fiat? «Quello spot della 500 esprime la massima distanza tra il messaggio e il prodotto: potevano venderci anche lo shampoo». Non esagera un pochino? «Io? In quei cinque minuti si dice solo una cosa: esiste soltanto il punto di vista delle imprese. Ma io sono altro, io sono di quelli che si alzano la mattina per andarle a fare le macchine!». Qualcuno potrebbe dire che lei non è più operaio, e che gli operai sono sempre dimeno, una categoria abusata dalla retorica sindacale: «Operaio oggi s è chiunque non abbia capacità contrattuale — risponde —: dalla hostess al lavoratore del cali center. Sono

in tanti e vorrei che continuassero a votare a sinistra. Per questo sulle pensioni chiedo al governo coerenza con il programma dell’Unione». Una coerenza che, secondo Zipponi, è sostenibile economicamente e non mette il ministro dell’Economia in’ difficoltà: «Chiedo a Padoa-Schioppa di fare i conti insieme. Non la voglio mettere in politica. A tre anni dalla riforma andiamo a verificare se si è raggiunta la quota dei pensionamenti auspicata, e se così non fosse, applichiamo il sistema delle quote».
Tanto attivismo da parte di Rifondazione ha profondamente irritato i sindacati. Il segretario della Cgil, Guglielmo Epi-fani, ha chiesto un «passo indietro». «Noi non ci siamo offesi — dice Zipponi — abbiamo bevuto una camomilla. Non vogliamo invadere il campo, anche se i sindacati stanno andando avanti senza sottoporre la piattaforma ai lavoratori. Sono stato sindacalista, è una cosa che non si fa, altrimenti poi nelle assemblee sono problemi». Ma con il sindacato un punto di contatto c’è: «Entrambi pensiamo di consultare i lavoratori dopo l’accordo. Un referendum vincolante. Se sarà un “no”, non se ne farà niente. Costi quel che costi».