Zarqawi gela Riyadh

Alla conferenza la monarchia saudita tenta di rifarsi un’immagine
Contro il terrorismo La proposta: creare un centro per coordinare i paesi arabi, asiatici e occidentali. Ma il canale italiano con gli 007 sauditi è debole

Le parole di Abu Musab Zarqawi pronunciate ieri, hanno trasformato in pochi attimi il brusio che regnava nella sala della «Conferenza internazionale contro il terrorismo» di Riyadh in confusione. Esperti, rappresentanti di governi e istituzioni internazionali e giornalisti, hanno dovuto fare i conti con la minaccia diretta lanciata dal giordano diventato l’uomo più ricercato del mondo, persino più di Osama bin Laden. «Tutti i piani e i dispiegamenti sono inutili – ha sentenziato dall’Iraq Zarqawi – la conferenza (di Riyadh, ndr) è la prova della paura nei confronti dei mujaheddin (i combattenti islamici, ndr). Tutti i nemici, i tiranni e i loro alleati hanno assaggiato il sapore amaro della sconfitta e sono in profonda crisi». Il riferimento all’Arabia saudita, la patria di 15 dei 19 dirottatori dell’11 settembre che ora si dice pronta a guidare la «battaglia contro Al-Qaeda», è stato evidente. E la minaccia è a lungo termine. «Continueremo sul nostro sentiero e non ci fermeremo fino a quando la bandiera del monoteismo sventolerà e la sharia regnerà». Affermazioni che sono bastate a gelare una conferenza che appare più un tentativo di migliorare l’immagine della monarchia regnante saudita ¡ sotto pressione della comunità internazionale per le sue violazioni dei diritti umani e di quelli delle donne – che un serio tentativo di creare un coordinamento tra gli Stati che si dicono minacciati dall’estremismo religioso. Tutto ciò mentre si tenta il possibile per riportare a casa Giuliana Sgrena sequestrata in Iraq.

Domenica erano circolate voci, proprio alla conferenza di Riyadh, su una richiesta di aiuto che l’Italia avrebbe presentato agli 007 sauditi. Questa indiscrezione ieri sera è stata ridimensionata da una fonte ben informata dei servizi segreti italiani. «In questi casi ci si rivolge a più parti ¡ ha detto la fonte al nostro giornale ¡ tuttavia i nostri canali di collegamento privilegiati restano alcuni servizi segreti occidentali che operano in questa regione da più tempo di noi. La collaborazione tra le nostre agenzie di sicurezza e quelle arabe sono più solide nell’area del Maghreb». La fonte ha poi ribadito che la liberazione di Giuliana Sgrena richiede «riservatezza» e «cautela» e che i toni da scoop usati da alcuni media italiani nelle ultime ore «non aiutano gli sforzi per ridare alla giornalista del manifesto la libertà immediata».

Le previsioni dicono che la conferenza di Riyadh si chiuderà, con ogni probabilità, con l’accoglimento della proposta fatta dal principe ereditario Abdallah, in apertura del forum, di creare un «centro internazionale contro il terrorismo» che dovrebbe includere paesi occidentali, arabi e asiatici. Una proposta accolta con interesse ma anche alcune riserve da molti dei delegati. Lo ha riportato la stessa stampa saudita. Il centro di coordinamento internazionale «non metterà fine alla necessità di scambi bilaterali di informazioni… niente potrebbe», ha affermato, citato dal quotidiano in lingua inglese Arab News, Frances Townsend, consigliere per la sicurezza interna Usa, che guida la delegazione degli Stati uniti. Salvatore Guglielmino della direzione antiterrorismo del Viminale da parte sua ha commentato che «il principe Abdullah ha formulato una buona proposta, alla quale siamo interessati. Certo, ci sono già altre iniziative nel mondo e quindi il centro proposto dovrebbe fare il suo corso. Per cominciare, dobbiamo vedere cosa si intende ottenere con esso».

Alla conferenza di Riyadh è peraltro mancato lo spessore politico necessario per analizzare e affrontare le cause sociali dell’islamismo più radicale. L’Arabia Saudita continua a vivere in perenne ambiguità. In Viale Olaya, una delle zone più ricche e esclusive della capitale, emerge ancora più netto il contrasto con le aree povere della città, in un paese in cui le immense entrate derivanti dall’esportazione del greggio finiscono in gran parte nelle casse dei regnanti Saud e non per favorire la formazione e l’avvio al lavoro dei giovani, sempre più intrappolati tra il sogno di una vita diversa e un sistema fondato sul wahabismo più rigido e in conflitto perenne con il concetto di crescita della società civile.

A Riyadh tanti hanno paura di parlare, di sfidare le autorità. La gente non desidera un modello di vita occidentale ¡gran parte dei sauditi sono profondamente religiosi ¡ ma piuttosto la libertà di poter svolgere attività normali che l’Islam non vieta a differenza dei Saud. Come poter andare in ristoranti e locali pubblici dove uomini e donne possono finalmente sedere gli uni accanto agli altri, senza più incorrere nelle sanzioni della polizia morale.