Traduzione di l’Ernesto online
*Pascual Serrano è un noto giornalista spagnolo, collaboratore di “Mundo Obrero”, rivista del Partito Comunista di Spagna (PCE), e di numerose testate di fama internazionale, tra cui “Le Monde Diplomatique”.
Il fenomeno Wikileaks ha dato luogo a numerose analisi e riflessioni sul futuro dell’informazione, di Internet e della partecipazione dei cittadini alla diffusione delle notizie. Il dibattito è stato limitato a coloro che presentavano come un problema e una irresponsabilità la distribuzione di informazione segreta e a quelli che difendevano la sua libera circolazione e appoggiavano Wikileaks. A mio avviso si tratta di una semplificazione, e il modus operandi dello stesso Wikileaks ha dimostrato che la questione è più complessa. Una prova di ciò è stato il modo con cui ha diffuso i 250.000 documenti che raccoglievano comunicazioni della diplomazia e dell’Amministrazione centrale statunitense. Coloro che davano l’impressione di sovvertire le forme di comunicazione del XXI secolo, hanno scelto di offrire in esclusiva e in forma privilegiata la documentazione a cinque grandi mezzi di comunicazione mondiale: The New York Times, The Guardian, Der Spiegel, Le Monde e El País. Giorni dopo che le direzioni di questi giornali ne erano entrate in possesso, i cittadini continuavano a non avere la possibilità di accedere ai documenti nel sito di Wikileaks.
Da parte loro, i cinque giornali si sono organizzati in un cartello – come è stato ben definito da Juan Carlos Monedero (docente di scienze politiche all’Università di Madrid, ndt) – e si coordinano. Secondo quanto hanno riconosciuto: “esiste un accordo sulla pubblicazione simultanea degli stessi documenti di rilevanza internazionale e sulle scadenze della loro diffusione”. Affermano che “hanno l’autonomia di decidere sulla selezione, valorizzazione e pubblicazione delle comunicazioni che riguardino i propri paesi”, vale a dire cinque paesi del blocco occidentale, mentre tutta l’informazione riguardante il resto del mondo viene filtrata da loro. “Si pubblicheranno unicamente quelle carte che pensiamo non rappresentino una minaccia per la sicurezza di persone o di paesi”, hanno affermato. In concreto El País riconosce che “ha deciso di accettare gli impegni che The New York Times ha preso con il Dipartimento di Stato per evitare la diffusione di determinati documenti”.
La connivenza tra Wikileaks e il cartello dei cinque è assoluta. Dal suo twitter, Wikileaks già si rimetteva a questi giornali, consapevole che la sua pagina si sarebbe trovata fuori servizio. E ciò che annuncia nella rete sociale sono i suoi collegamenti alle pagine dei giornali.
Non so se la comparsa di Wikileaks sia stata limpida e onesta, ma ciò che sembra evidente è il fatto che si sta trasformando in un soggetto addomesticato. Persino il primo ministro israeliano, Benjamín Netanyahu, ha affermato che i documenti danno ragione al suo governo nella valutazione della minaccia iraniana.
Non dobbiamo scartare il fatto che, di fronte alla perdita di credibilità dell’informazione che i governi rendono pubblica, si stia ricorrendo a forme suggestive che, sotto un’aureola di spontaneità, filantropia e mitizzazione di Internet, non sono altro che lo stesso cane con diverso collare. Che, al momento, l’unica iniziativa concreta contro il fondatore di Wikileaks sia l’accusa peregrina di violazione, risulta abbastanza pittoresco.