Wargame nucleare, obiettivo Tehran

«Mentre la violenta insurrezione in Iraq mette sotto pressione l’amministrazione Bush, gli eventi possono spingere gli Stati uniti a un ulteriore confronto, questa volta contro l’Iran». Così scrive The New York Times (21 settembre), rilevando forti analogie con gli «avvertimenti e le minacce che portarono alla guerra per rovesciare Saddam Hussein»: l’amministrazione accusa infatti l’Iran di essere in procinto di costruire armi nucleari e di sostenere il terrorismo e l’insurrezione in altri paesi. A guidare la carica dei fautori della guerra è il «falco» John Bolton, sottosegretario di stato. Ma anche la «colomba» Colin Powell lancia a Tehran minacciosi avvertimenti, chiamando la comunità internazionale ad assumersi le sue responsabilità. Su questo versante le cose non vanno tanto bene per Washington: nel consiglio dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea) è prevalsa la posizione di Francia, Germania, Russia e Cina che chiedono a Tehran di congelare il programma di arricchimento dell’uranio e consentire le ispezioni della Iaea, ma rifiutano (come avrebbe voluto Bolton) di portare il caso-Iran al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Per di più il direttore della Iaea, El-Baradei, ha smentito Washington, dichiarando che nel complesso iraniano di Parchin non vi sono segni di attività nucleari militari.

Nonostante ciò, l’amministrazione Bush sta affilando le armi. Lo conferma la notizia pubblicata questa settimana su Newsweek: «La Cia e la Dia (l’Agenzia di intelligence della difesa) hanno effettuato un wargame sulle probabili conseguenze di un attacco preventivo Usa contro gli impianti nucleari iraniani». Non un gioco, ovviamente, ma una vera e propria esercitazione militare in cui è stato simulato l’attacco. Il risultato non è stato esaltante: secondo fonti dell’aeronautica ed esperti, il wargame ha dimostrato che gli Stati uniti hanno una «formidabile capacità di buttare all’aria le infrastrutture nucleari iraniane», ma «non riuscirebbero a impedire l’allargamento del conflitto», ossia una risposta iraniana. Per questo i «falchi» dell’amministrazione stanno mettendo a punto un piano alternativo o integrativo: «Cambiare il regime iraniano, preferibilmente con mezzi coperti ma, se necessario, anche con la forza delle armi». Il piano è contenuto in una serie di documenti che stanno circolando a Washington sotto forma di «bozze» informali, per evitare che finiscano sotto la giurisdizione del Congresso. Alla luce della «fallimentare strategia dell’amministrazione in Iraq», sorge però un interrogativo: «Che cosa avverebbe in Iran dopo il rovesciamento dell’attuale regime e la sua sostituzione con un governo filo-Usa?».

Un’altra opzione è quella che a compiere l’«attacco preventivo» sia l’aeronautica israeliana, già esperta in materia: il 7 giugno 1981, con caccia F-16 ed F-15 forniti dagli Stati uniti e guidati dal sistema satellitare statunitense, distrusse il reattore iracheno di Osiraq. Vi è però il problema – scrive Newsweek – che gli impianti nucleari iraniani sono dispersi e, in molti casi, in bunker sotterranei. L’attacco potrebbe avere successo, quindi, solo con il sostegno statunitense. A questo sta pensando il Pentagono che – informa il quotidiano israeliano Haaretz (21 settembre) – ha deciso (con l’assenso del Congresso) di fornire a Israele 5.000 «bombe intelligenti», per «permettergli di mantenere il vantaggio qualitativo e promuovere gli interessi strategici e tattici statunitensi» in Medio Oriente. Tra le bombe a guida satellitare fornite all’aeronautica israeliana, vi sono «500 bunker busters da una tonnellata che possono penetrare attraverso pareti di cemento spesse due metri». Come ricorda Newsweek, il capo di stato maggiore dell’aeronautica israeliana, generale Shkedy, ha già dichiarato che «se lo stato decide una soluzione militare per l’Iran, il militare deve fornirla». Tutto pronto, dunque, per tradurre in realtà il wargame. Magari con qualche «effetto collaterale», tipo quello di Cernobyl.