Wal-Mart s’ arrende a Pechino. I sindacati entrano in azienda

Dopo anni di pressioni la catena di supermercati abbandona la sua «filosofia»

Visto da Pechino: un trionfo. Visto da Bentonville, Arkansas: una batosta. Sgradevole nella sostanza, ma ancora più fastidiosa per la sua portata simbolica. In Cina l’ americana Wal-Mart, il maggior distributore al dettaglio del mondo, notoriamente e programmaticamente ostile ai sindacati, ha ceduto al maggior partito comunista del mondo. Prima ha consentito la costituzione di rappresentanze sindacali, attive per ora in un terzo dei suoi magazzini della Repubblica Popolare. Poi, il 18 agosto, come se non bastasse, ha subito la creazione della prima cellula comunista in un suo negozio, a Shenyang, nel Nordest. Infine è arrivato l’ annuncio di una seconda sezione comunista in un altro supermercato Wal-Mart, ancora a Shenyang. Un crescendo micidiale per Wal-Mart, che ha una sessantina di negozi in 30 città cinesi, a fronte di 6.600 esercizi in 15 Paesi (nel 2005 ha fatturato per oltre 300 miliardi di dollari). I vertici fanno buon viso a cattiva sorte: «È una prassi del Paese e la rispettiamo», dice da Bentonville una portavoce. Tuttavia, meno di un anno fa, un alto dirigente del gruppo, invitato all’ università Tsinghua di Pechino, aveva ribadito la politica di Wal-Mart: un «rapporto diretto con i dipendenti» che rende «superfluo l’ intervento di parti terze» come i sindacati. In seguito, le affermazioni si erano fatte più caute. Affiorava la consapevolezza che con le autorità di Pechino bisogna pur fare i conti. E così è andata. La cellula sindacale di Quanzhou, nelle scorse settimane, è stata la prima che la catena di supermercati abbia mai visto nascere: nel mondo, se esiste un sindacato in un negozio Wal-Mart, si tratta di una rappresentanza preesistente. Le pressioni su Wal-Mart, in Cina dal ‘ 96, sono durate diversi anni. Un funzionario, Fu Furong, ha raccontato che per convincere i manager ha mostrato loro un documento siglato da una trentina di dipendenti, ciascuno con la sua impronta digitale d’ inchiostro rosso, quasi come un patto d’ adesione a una società segreta d’ altri tempi. Trenta dita, trenta lavoratori. Non sarà stato decisivo, ma l’ espediente risulta di sicuro effetto. Tuttavia, dietro la potente confederazione sindacale che ha strappato l’ accordo c’ è nientemeno che il presidente Hu Jintao, imperiosamente desideroso di far sentire chi comanda, affari o non affari. Ed entro l’ anno Pechino vuole sindacalizzare almeno il 60% delle aziende straniere. L’ istituzione delle cellule del partito comunista nei due negozi di Shenyang (in uno c’ è anche una sezione della Lega dei giovani comunisti) ha completato l’ opera. Non che i comunisti cinesi siano sovversivi o luddisti pronti allo sciopero, la Cina oggi non è la Shanghai turbolenta degli anni Venti, e comunque sindacati indipendenti non sono ammessi: «Wal-Mart non si preoccupi. Lo scopo del Pc – ha spiegato il vicecapo della scuola di partito di Shenyang, Zhui Hui – è di spingere lo sviluppo economico e quindi va in sintonia con gli obiettivi dell’ azienda». È la linea dell’ ex presidente Jiang Zemin, la «Teoria delle Tre Rappresentanze», incorporata nella revisione costituzionale del 2002. Con i suoi 70 milioni di aderenti, il partito rappresenta in sintesi le «forze produttive avanzate» e quindi la produzione di ricchezza «per la causa del socialismo». Alla fin fine, niente di così incompatibile con il motore ultracapitalistico di Wal-Mart. È il paradosso del socialismo alla cinese. Il partito chiede di lavorare sodo, ha detto all’ agenzia Xinhua uno dei primi due comunisti di Wal-Mart, «e questo fa bene agli affari». Non tutte le aziende hanno opposto a Pechino la stessa resistenza di Wal-Mart. Secondo dati ufficiali, nella sola Suzhou, su 6.545 aziende del tutto o in parte straniere, sono 1.049 le cellule comuniste e 14.041 gli iscritti. La Motorola, americana, acconsentì alla prima sezione del Pc nel ‘ 97, cinque anni dopo l’ arrivo in Cina. La stessa Shenyang ha cellule sindacali, comuniste o della Lega giovanile, nel 90% delle 10.431 aziende di proprietà o a partecipazione estera. Sindacati e comunisti cinesi in azienda sono l’ ultima amarezza per Wal-Mart, che in quest’ annus horribilis ha abbandonato la Corea del Sud (maggio), venduto tutto in Germania (luglio), evitato per un soffio scioperi alla sussidiaria britannica Asda (luglio). Ma chi rischia di non farsene una ragione sono i sindacati americani. Lì, a casa sua, Wal-Mart di sindacati non vuole sentir parlare. A fianco, alcuni dipendenti della Wal-Mart; a sinistra, uno dei supermercati in Cina.