W. Bush non fa prigionieri

Dopo poco più di tre mesi, è già una vera e propria Vandea. L’investitura del nuovo presidente avviene il 20 gennaio, quindi i 100 giorni si concluderanno domani 30 aprile, ma in questo breve lasso di tempo sono partite a raffica le direttive presidenziali (qui si chiamano “ordini esecutivi”) con cui la nuova amministrazione è riuscita a ridurre a un campo di macerie la protezione ambientale, la legislazione sul lavoro e lo stato sociale ereditati dal clintonismo, e che neanche Reagan e Bush padre avevano osato toccare.
Già il 23 gennaio due decisioni simboliche: Michael K. Powell, il figlio del segretario di stato (equivalente del ministro degli esteri) Colin Powell, è nominato presidente della Federal Communication Commission, che ha enormi poteri di sorveglianza: a dimostrare che non è solo per i Bush che il potere si trasmette di padre in figlio, ma che il nepotismo, anzi il figlismo è parte integrante del nuovo manuale Cencelli americano. Nello stesso giorno vengono tagliati i finanziamenti a tutte le Ong che incoraggiano la pianificazione familiare nel terzo mondo, un segnale chiarissimo per gli antiabortisti che hanno eletto Bush jr. Sempre sul piano interno nei giorni successivi viene presentato un piano per la scuola in cui per la prima volta sono introdotti gli incentivi negativi per quegli istituti i cui allievi non conseguono gli standard richiesti agli esami: in soldoni si tagliano i fondi alle scuole dei ghetti urbani. Il 30 gennaio annuncia che sarà istituito alla Casa Bianca un nuovo ufficio chiamato “White House Office of Faith-Based and Community Initiatives” che sarà dotato di un fondo di 8 miliardi di dollari (18.000 miliardi di lire) e cioè finanzierà le opere caritatevoli delle varie sette religiose. In pratica affida alla carità religiosa una parte dei compiti dello stato sociale e dei servizi sociali. E’ una mossa politicamente astuta perché, come ha osservato Frances Fox Piven al manifesto, consente ai repubblicani di aprirsi un varco tra il clero nero, i pastori battisti, e quindi di recuperare terreno tra i neri (che a novembre hanno votato al 90% per Gore). E però nello stesso tempo è un chiaro segno di smantellamento del welfare. Il 13 febbraio Bush annuncia di aver destinato 5,7 miliardi di dollari per gli aumenti di stipendi ai militari (12.000 miliardi di lire).

Il “tossico texano”
Il resto di febbraio, segnato dal raid aereo contro l’Iraq, è speso a mettere a punto il bilancio del 2002, annunciato il primo marzo: ricevono più soldi naturalmente la difesa (15 miliardi di dollari in più, il 4,8%), il ministero per i veterani (più 4,5%) che costituisce uno dei principali serbatoi del clientelismo repubblicano, mentre vengono tagliati i fondi all’ambiente (Environment Protection Agency, meno 6,4%; lavoro: – 5%; agricoltura: -7,7%; trasporti: – 11,4%; energia: -3,6%).
Bush jr annuncia inoltre un taglio delle tasse che nei prossimi dieci anni ammonterà a 1.600 miliardi di dollari (4 milioni di miliardi di lire, cioè un taglio delle tasse di 400.000 miliardi di lire l’anno, l’equivalente di tutte le entrate fiscali dello stato italiano). Ma nello stesso tempo è messa in campo una durissima politica anti-sindacale: il 18 febbraio è emanata la direttiva che revoca il patto tra imprese e sindacati nei contratti di costruzione pubblici (con quell’accordo le imprese sindacalizzate ricevevano prestiti agevolati e facilitazioni fiscali, mentre il sindacato s’impegnava a garantire la pace sociale nei cantieri). Il 6 e il 7 marzo Senato e Camera abrogano la legge clintoniana per ridurre gli incidenti sul lavoro, che negli Stati uniti sono un milione e 800.000 l’anno. Secondo i confindustriali, far rispettare la legge clintoniana sarebbe costato dai 18 ai 120 miliardi di dollari, mentre per far capire quanto il padronato americano le spara grosse, secondo l’agenzia preposta alla sicurezza occupazionale (che dipende dal ministero del lavoro) sarebbe costato solo 4,5 miliardi di dollari recuperati dagli aumenti di produttività. Tre giorni dopo il nuovo presidente emana un altro ordine esecutivo che impedisce di scioperare ai piloti della Northern Airlines: una direttiva che ricorda lo scontro sui controllori di volo che segnò il vero esordio dell’era reaganiana.
Ma dove il nuovo presidente si è distinto è nella politica ambientale, tanto che un deputato britannico, intervenendo alla Camera dei Comuni, lo ha chiamato “il texano tossico”. Già il 30 gennaio abolisce il divieto di esplorazione e sfruttamento petrolifero nei parchi e nelle riserve nazionali, in particolare nella zona protetta dell’Alaska. Il 13 marzo annuncia che abolirà le regole che limitano le emissioni di anidride carbonica dalle centrali energetiche. Il 20 marzo abroga la proposta di Clinton di ridurre il massimo livello consentito di arsenico nell’acqua potabile (vedi la rubrica Oipaz di martedì scorso). Il 21 marzo abroga le restrizioni che Clinton aveva imposto alle operazioni minerarie sul demanio federale. Il 29 marzo annuncia che non ratificherà il protocollo di Kyoto sulla riduzione delle emissioni per ridurre il riscaldamento globale. Il 5 aprile taglia i fondi per aumentare l’efficienza termica degli edifici (migliore isolamento) e abolisce i nuovi standard per i condizionatori d’aria. Il 14 aprile mette in sordina la legge sulle specie in via di estinzione, come gli chiedono le compagnie minerarie e quelle di legname.
Finalmente la Casa Bianca si accorge che l’opinione pubblica sta insorgendo di fronte a questa politica inquinante e allora comincia a fare marcia indietro, intanto sull’arsenico per cui rinvia la decisione di nove mesi, poi sulle emissioni di piombo su cui conferma la direttiva clintoniana, e su un’altra direttiva sulla protezione per le “wetlands”, le aree umide. Probabilmente la nuova amministrazione, composta in gran parte da un personale politico di vent’anni fa, si accorge che il paese è cambiato e che rischia di essere spazzata via alle elezioni di mezzo termine (2002). Da qui le marce indietro (molto, molto parziali) sulla politica ambientale. Da qui il corteggiamento del clero nero, da qui lo scrupolo nell’osservare il vero manuale Cencelli della politica americana, quello per cui i posti nella nuova amministrazione devono essere distribuiti secondo la “regola Egg” (Ethnicity, Gender, Geography): per cui per esempio i maschi bianchi non devono superare il 50% dei posti e le donne devono essere almeno il 30%. Ora, agli ultimi conteggi, sui 484 posti governativi che ogni nuova amministrazione nomina, la squadra di Bush ha scelto un 52-53% di maschi bianchi e un 35% di donne, tanto che l’ultraconservatore Weekly Standard si lamenta perché Bush avrebbe di soppiatto reintrodotto il sistema delle quote.
Ma questi sono aggiustamenti di facciata. Nei più vari campi l’amministrazione sta procedendo a insediare nei posti di responsabilità esponenti integralisti, di estrema destra. Non un dettaglio sfugge a questa nuova vera e propria “offensiva di classe”. Per esempio, il 5 aprile scorso il governo ha abolito i test per la salmonella sulle mense scolastiche finanziate dai programmi alimentari del governo: è così che si tagliano le spese. Per essere “compassionevole”, il conservatorismo di Bush appare piuttosto spietato.

Una destra integralista
D’altronde di che stupirsi. La musica la si era capita fin da quando Bush jr. ha messo in campo la sua squadra, che fa paura. Tre grandi capitalisti ai posti chiave: il vicepresidente, ma sarebbe meglio dire il presidente di fatto Dick Cheney era amministratore delegato della Halliburton, la più grande compagnia di estrazioni petrolifere al mondo; il segretario al tesoro Paul O’Neil era amministratore della più grande multinazionale dell’alluminio, un vero e proprio monopolio tossico, Alcoa, e appena insediato ha consolidato il debito di un’azienda elettrica che altrimenti avrebbe dovuto cessare le attività e far chiudere impianti di produzione di alluminio; il segretario alla difesa Donald Rumsfeld possiede azioni, joint ventures e partecipazioni incrociate valutate intorno ai 500 miliardi di lire, molte in imprese legate ai fornitori della difesa.
Ma accanto a loro c’è il ministro della giustizia John Ashcroft, antiabortista, ultraconservatore, fautore della pena di morte, contrario ai diritti civili, avversario dell’antitrust. E’ da lui che dipende la nomina di 100 giudici federali ora vacanti, di cui 29 nelle corti d’appello (il livello inferiore solo alla Corte suprema): sono posizioni a vita che Aschcrof sta riempiendo di giovani fascistoidi. C’è la ministra dell’interno Gale Norton, che è stata messa a sovrintendere ai parchi e alle riserve naturali e che in passato aveva tentato di far dichiarare anticostituzionale l’Epa, l’agenzia per la protezione ambientale; Norton si è a lungo battuta per aprire terre protette allo sfruttamento petorlifero e in effetti è lei che ha ispirato l’apertura dell’Alaska ai pozzi di petrolio: non per nulla l’associazione petrolifera è quella che ha applaudito con più entusiasmo alla sua nomina. Al dipartimento dell’energia è stato mandato un conservatore del Michigan, Edmund Spencer Abraham, che per tutta la sua carriera non ha fatto altro che tentare di smantellare il dipartimento dell’energia che ha sempre giudicato inutile, uno spreco, e senza chiara missione: nel solo 1999 ha tentato per cinque volte, insieme ad altri tre senatori, di far sciogliere il dipartimento (in realtà avrebbe voluto sciogliere anche il Dipartimento al commercio, in base alla teoria dello “stato ultraminimo”). Anche lui si oppone all’aborto, odia le regolamentazioni ambientali ed è ultraliberista. E naturalmente, insieme al vicepresidente Cheney cerca di far ripartire il programma nucleare americano.

L’amministrazione vuole strafare?
Più conservatrice di Ashcroft, Abraham e Norton c’è forse solo Elaine Chao, un prodotto della Heritage Foundation di estrema destra, moglie di un senatore repubblicano del Kentucky, ex banchiera, vicesegretaria ai trasporti sotto Bush padre, direttrice dei Peace Corps (volontariato pare inquinato dai servizi segreti) e soprattutto avversaria adamantina dei sindacati e delle azioni affermative: non a caso è stata nominata ministra del lavoro ed è lei ad avere ispirato le leggi e gli ordini esecutivi antisindacali.
L’aspetto più interessante e più paradossale è che questa amministrazione sta strafacendo. Il taglio delle tasse a cui procede non glielo ha chiesto nessuno. Esemplare è il caso delle tasse sulle proprietà immobiliari. La Casa bianca propone di ridurle drasticamente. Ebbene, il 10 marzo dozzine di miliardari (in dollari) scrivono al presidente per chiedere di ripensarci e di non tagliarle. Tra loro Warren Buffett (quarto nella classifica Forbes degli uomini più ricchi d’America), il finanziere George Soros, il padre di Bill Gates, due Rockfeller, Agnes Gund: e loro dicono che se si riducono le tasse immobiliari, i ricchi non avranno più interesse a finanziare le fondazioni e le charities i cui fondi producono un abbattimento delle imposte immobiliari. E se si riducono queste tasse bisognerà far pagare di più la sanità, la scuola, la sicurezza sociale. Non sono gli oppressi a scrivere a Bush, ma i più grandi capitalisti d’America spaventati dal suo estremismo filocapitalista. Anche all’interno del suo partito serpeggia il terrore che Bush stia strafacendo. Il 13 marzo, 32 parlamentari repubblicani scrivono a Bush perché ritiri la direttiva che abroga il patto fra le parti nel settore delle costruzioni pubbliche.
E’ un revanscismo così esasperato, una politica così vendicativa, un atteggiamento alla Previti (“questa volta non faremo prigionieri”) ma su scala americana, dell’unica superpotenza mondiale, da mozzare il fiato, da chiedersi cosa ci riserva il futuro. Spinge a meditare sulla faciloneria con cui è stato consentito a Bush prima di presentarsi come centrista e poi di rubare le elezioni in Florida. Il nuovo presidente si è vantato apertamente di aver preso per il naso i centristi e i liberal moderati americani convincendoli in campagna di essere inoffensivo. Estraendo una parte della famosa battuta di Lincoln (“Puoi ingannare tutti per un po’ di tempo, puoi ingannare pochi per sempre, ma non puoi ingannare tutti per sempre”), ama ripetere che “puoi ingannare alcuni per sempre: ed è su costoro che ti devi concentrare”.