L’Europa sapeva, e sapeva da «due o tre anni» delle operazioni della Cia nel vecchio continente. Le manovre dell’intelligence Usa non erano, quindi, poi così segrete come le capitali d’Europa vogliono farci credere. L’accusa arriva per bocca di Dick Marty, il senatore elvetico titolare delle indagini sulle attività della Cia per conto dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, l’istituzione, indipendente dalla Ue, che raccoglie 46 paesi e che veglia sulla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Oltre a far finta di non sapere le capitali europee si comportano con «scioccante passività», insiste Marty. Ma non solo: «ci sono dei paesi che hanno collaborato attivamente, ce ne sono degli altri che hanno tollerato, e ce ne sono ancora altri che hanno semplicemente guardato da un’altra parte». Il 24 gennaio Marty presenterà a Strasburgo il primo rapporto figlio sulle sue indagini, poi, per il 21 febbraio, dovrebbe terminare la sua inchiesta e quella parallela gestita da Terry Davis, Segretario generale del Consiglio d’Europa. La settimana prossima partirà invece la Commissione d’inchiesta lanciata dal Parlamento europeo. Domenica scorsa il quotidiano elvetico Blick aveva pubblicato un fax inviato il 15 novembre dal ministro degli esteri egiziano al suo ambasciatore a Londra, un fax pizzicato dai servizi svizzeri. Nel testo si citavano cinque carceri segrete: la base aerea rumena Mihail Kogalniceanu, presso il Mar Nero, in cui sarebbero stati interrogati 23 cittadini afgani ed iracheni, ed altre strutture analoghe in «Ucraina, Kosovo, Macedonia e Bulgaria». Una prova «importante», secondo Marty che ne ha chiesto una copia, «perchè viene da una fonte diversa dalle informazioni che si avevano finora». Gli indizi sulle prigioni segrete sono infatti al momento venuti esclusivamente dagli Usa.
Con queste ulteriore informazioni, per Marty non c’e alcun dubbio che i voli segreti della Cia ci siano stati – ed erano centinaia – e con loro pure le carceri clandestine. Secondo il senatore elvetico questo non è però un problema che riguarda solo Romania e Polonia, i due paesi accusati fin da novembre di ospitare delle carceri segrete della Cia, ma di tutto il continente: «È inaccettabile criminalizzare questi due paesi, è tutta l’Europa che sulla vicenda ha steso un deliberato velo di silenzio».
E così, per quello che già si sa, il quadretto non è per nulla edificante per l’Europa, soprattutto considerando che fino ad ora tutti i governi – da est a ovest – hanno semplicemente negato di sapere alcunché delle operazioni della Cia. Marty fa invece del caso di Abu Omar – l’ex iman di una moschea di Milano, sequestrato da alcuni agenti della Cia nel febbraio 2003, trasportato in Germania sorvolando la Svizzera e quindi trasferito in un carcere egiziano per essere torturato – un caso paradigmatico di come i governi Ue sapessero. «Non è possibile trasportare gente da un paese all’altro senza che i servizi segreti non ne sappiano niente», dice Marty. Il ragionamento fila e finisce con un chiaro «Gli europei dovrebbero semplicemente essere meno ipocriti». Curiosamente è la stessa frase utilizzata il 19 dicembre da Colin Powell in visita a Londra.
Venerdì sul quotidiano spagnolo El Pais usciva un’intervista a Jaled el Masri, il cittadino tedesco di origine libanese sequestrato per sbaglio il 31 dicembre 2003 al confine macedone, trasportato e malmenato a Skopye, quindi inviato in un carcere afgano per essere torturato per cinque mesi, e quindi, una volta scoperto l’errore (il cognome el Masri è un pò come il nostro Rossi), rimesso in libertà. El Masri afferma che anche un agente tedesco, chiamato Sam dai colleghi statunitensi, era presente ai suoi interrogatori, a ulteriore riprova che anche i governi europei, o almeno i loro servizi, sapevano delle attività della Cia e partecipavano di fatto alla guerra, anche se magari a livello di politica ufficiale, è il caso di Berlino, giravano le spalle a Bush.
Già alla vigilia della visita europea di Condolleza Rice del 5-8 dicembre la stampa Usa aveva pubblicato notizie di un coinvolgimento delle autorità italiane e tedesche nei sequestri di Abu Omar e di Jaled el Masri. Un messaggio intimidatorio diretto a tutte le capitali del vecchio continente perché la smettessero di lamentarsi contro Washington per le operazioni segrete della Cia. Cosa poi puntualmente successa. Invece, almeno per Marty, occorre porre un freno all’operato degli Stati Uniti: «L’illegalità è inamissibile e non è nemmeno efficace nella lotta al terrorismo perchè porta solo ad un maggiore radicalismo». La denuncia di Dick Marty, senatore ticinese, ha finito per agitare anche le tranquille acque del governo elvetico: se il ministro delle Finanze Hans-Rudolf Merz si è impegnato a ricercare con maggior lena la verità, il suo collega di governo Pascal Couchepin ha dichiarato invece di non voler mettere in pericolo le relazioni tra Berna e Washington: «La Svizzera …non è la Santa sede dei diritti umani».