Voli Cia, Bush: stop alle rotative

George W. Bush ha provato negli ultimi due mesi a fermare il Washington post e il New York times, i due più autorevoli quotidiani statunitensi, chiedendo ai loro direttori di non pubblicare notizie che avrebbero potuto «arrecare danno alla sicurezza nazionale». Mentre del tentativo d’imbavagliare il quotidiano newyorchese s’era parlato già nei giorni scorsi, ieri è stato il giornale celebre per l’inchiesta che portò alle dimissioni di Nixon a rivelare: Leonard Downie Jr., direttore esecutivo del Washington Post, è stato convocato nello Studio ovale nei giorni precedenti la pubblicazione, il 2 novembre, dell’articolo di Dana Priest che parlava delle prigioni segrete della Cia nell’Europa orientale. L’incontro è stato confermato al giornale da fonti ben informate che hanno chiesto di restare anonime. Se Bush non riuscì a convincere la testata a sospendere la pubblicazione del pezzo, la cosa più interessante è che le pressioni del presidente suonano come un’ammissione indiretta dell’esistenza delle prigioni illegali di cui, nonostante tante indiscrezioni, fino ad oggi non si è trovata conferma. Se a Washington per Bush le cose si mettono sempre peggio, a Baghdad gli iracheni s’ostinano a non voler accogliere i soldati Usa come «liberatori». Il generale Peter Pace, il capo degli stati maggiori riuniti, lo sa e lo dice: «Gli iracheni vorrebbero che le forze della coalizione lasciassero il loro Paese il più presto possibile». Queste sue parole pronunciate durante un’intervista alla Fox News hanno fatto rapidamente il giro delle redazioni e dei blog e in poche ore il generale dal nome improprio è apparso alternativamente una sorta di paladino del ritiro delle truppe americane dall’Iraq o uno che stava mandando messaggi. Nei giorni immediatamente precedenti le elezioni irachene del 15 dicembre la storia che il nuovo governo avrebbe potuto chiedere agli americani di andarsene era circolata più o meno velatamente.Non a caso, forse, il generale aggiunge che «dovremo stare molto attenti ed essere molto rispettosi del governo iracheno che è stato appena eletto», ma poi spiega che «su questa questione vota anche il nemico», per cui «la diminuzione o l’aumento delle truppe americane in Iraq sarà dato dall’evolvere della situazione sul terreno». Insomma e questo sarebbe il messaggio – la riduzione delle truppe è possibile quanto lo è il loro aumento e a spingere verso l’una o l’altra direzione saranno le condizioni militari, non le considerazioni di opportunità politica. E tanto perché sia chiaro che non sta parlando solo dei politici iracheni, il generale nega la storia che circola da settimane nei palazzi di Washington, e cioè che ci sia il progetto di arrivare almeno al di sotto dei centomila soldati in Iraq entro la fine del 2006, cioè in tempo per le elezioni di mid term di novembre. «Noi non abbiamo – dice infatti il generale – un piano specifico di riduzione delle truppe entro una certa data. Quello che abbiamo è il piano di mantenere in Iraq la quantità di truppe che abbiamo e di muoverci verso l’alto o verso il basso a seconda delle condizioni».

L’intervistatore cerca di trascinare il generale nello scandalo delle intecettazioni telefoniche sui cittadini americani ordinate da Bush e di «arruolarlo» fra i sostenitori di quella pratica illegale. Quelle intercettazioni – chiede l’intervistatore – vi hanno aiutato nella vostra battaglia contro il terrorismo? «Io non so – si schermisce il generale – da dove vengano le informazioni che riceviamo. Posso dire però che sono molto utili». Quindi lei non vuole – insiste l’intervistatore – che uno qualsiasi dei programmi che producono informazioni venga bloccato. «Posso solo dire che noi usiamo tutte le informazioni che riceviamo e che è importante che le decisioni vengano prese nel rispetto della Costituzione».

Allora l’intervistatore si sposta sul Natale, su quanto sia triste per i soldati passarlo lontano da casa e su quanto la patria sia fiera di loro. Ma naturalmente i problema della china su cui l’amministrazione sta trascinando il Paese con le sue pratiche illegali rimane e continua ad arricchirsi.