Vogliono tutto e subito

Se qualcuno pensasse che la lotta di classe sia ormai soltanto un ricordo del Novecento, farebbe bene a dare un’occhiata alle trattative in corso per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici. Parlare di trattative è un eufemismo: come si può trattare con chi vuole tutto? A volere tutto e subito non sono gli operai massimalisti novecenteschi quanto piuttosto i padroni metalmeccanici del nuovo millennio. Dovrebbero trattare sul salario, dato che quello in atto è l’appuntamento istituzionale per il rinnovo del biennio economico, e invece pretendono in cambio di quattro soldi – molti di meno rispetto a quelli dovuti – di riprendersi per intero il comando sulla forza lavoro. Gli imprenditori meccanici vogliono fare il pieno di flessibilità, imporre il lavoro al sabato – salvo poi lasciare tutti a casa per una settimana, se il dio mercato lo chiede – senza neppure contrattare con le organizzazioni sindacali di fabbrica. Di sabati lavorati ne hanno già, ma non gli basta. Possono contrattarne di aggiuntivi, ma non gli basta ancora. Vogliono strappare il principio e liberarsi del sindacato. Il fatto è, dice Federmeccanica, che le trattative con le Rsu sono «interminabili», meglio metterci d’accordo prima tra di noi e risparmiare tempo. Il tempo è danaro.

L’opposto dell’idea di democrazia che i metalmeccanici hanno ribadito in questi mesi, con la votazione della piattaforma unitaria e il vincolo che i contratti con la controparte hanno valore solo se controfirmati dai diretti interessati – una testa un voto. L’hanno ribadito a Roma in centocinquanta mila due settimane fa, lo ribadiscono quotidianamente con gli scioperi per il rinnovo di un contratto scaduto da un anno, e non certo per colpa loro.

La sospensione della trattativa era inevitabile: si può trattare con chi, in cambio dello scalpo dell’interlocutore, offre 70 euro contro i 130 richiesti? Peccato che la dinamica delle trattative abbia lasciato intendere una disponibilità della Fim a trattare sulle modalità dell’orario di lavoro (i sabati) e addirittura a rompere l’unità con Fiom e Uilm, lasciando il tavolo negoziale. Ieri, per fortuna, i meccanici cislini hanno precisato che la loro rottura è con i padroni, con la loro intransigenza estremista, non con gli altri sindacati con cui invece lunedì si incontreranno per verificare la possibilità di raggiungere una posizione unitaria (sui soldi, si spera, visto che la flessibilità non è materia di discussione in questo rinnovo della parte economica del contratto). E se l’accordo si troverà, non resterà che fissare l’agenda di una nuova tornata di scioperi.

I padroni metalmeccanici sono divisi. Le grandi aziende del settore vorrebbero arrivare a un rapido rinnovo del contratto, le piccole e medie applaudono all’ala più oltransista di Federmeccanica e Confindustria. L’unità sindacale, naturalmente vincolata al mandato dei lavoratori e dunque alla piattaforma contrattuale, potrebbe essere il grimaldello in grado di scardinare l’estremismo padronale e restituire alle tute blu il maltolto. Non si campa con poco meno o poco più di mille euro al mese, precarietà e cassa integrazione permettendo. In gioco c’è, innanzi tutto, un pezzo di democrazia italiana.