Voglio trovare un senso a questa condizione

VIAGGIO IN KOSOVA

So bene che solo 15 giorni passati nel cuore di un paese sono nulla.
Nulla per poter scrivere qualcosa di sensato e storicamente verosimile della vita di un popolo martoriato dalla guerra del ’99.
Credo, però, che siano molte le immagini, gli sguardi, le impressioni e le idee che questi pochi giorni hanno invaso e a tratti sconvolto l’ingenua vita di un ventenne qualunque e dei suoi compagni di viaggio.
Abbiamo vissuto nel campo Caritas in Kosova a Zllokuçan, dove uomini e donne italiani, aiutati da amici del luogo, dedicano la loro vita a salvare bambini e famiglie dal vuoto imperante.
È una goccia in un oceano ma, essere riusciti a togliere dalla strada e accogliere come figli 24 volti cresciuti come disgrazie, credo rappresenti il sorriso perenne di una vita.
Abbiamo lavorato nelle case della gente, aiutato a risollevare persone che i termini “speranza” e “futuro” li sentono pronunciare soltanto dalle pubblicità delle radio.
Lavori semplici come costruire bagni, case in muratura, fare animazione per bambini poveri di tutto e sostegno alle famiglie che il bisogno lo vivono.
Tutto molto semplice ma sincero, senza secondi fini e sogni di gloria.
Tuttavia dentro queste verità, non puoi rimanere indifferente davanti alle storie di vedove di guerra con figli pazzi ed epilettici, non puoi rimanere indifferente quando conosci un bimbo che per sette anni ha vissuto in un cuccia di una cane sperando che nella ciotola rimanesse qualcosa o quando vedi un uomo sconvolto dalla vita, che vive come un animale in una scatola di latta costretto a passare le giornate tra bestemmie e alcol.
Non puoi rimanere indifferente quando famiglie stravolte dalla guerra piangono perché non riescono a sfamare i loro figli con i miseri 60 euro donati dallo “Stato”; non puoi rimanere indifferente a chi vive con lo sguardo rivolto al passato, con tradizioni che non aiutano, con l’assenza totale di un lavoro, con il dilagare dell’ignoranza e delle basi di una vita civile, con la mancanza di una sanità qualificata, servizi sociali per minori e soprattutto un progetto per il futuro.
Non so di chi siano le colpe e non ho nemmeno la presunzione di saper dare una soluzione a questo “grande malato d’Oriente”, lasciato a se stesso e dimenticato dalle mode giornalistiche.
Forse però queste poche righe serviranno a farci riflettere, a rovinarci per un istante il primo boccone del pranzo, a ricordarci che troppa gente soffre nel lusso dei pochi, a odiare quel peso morto della storia che è l’indifferenza, operante fatalità che si ribella all’intelligenza e la strozza, a odiare il piagnisteo da eterni innocenti che persevera nel parlare comune e a ricordarci che, un semplice ma vero gesto del nostro cuore, può aiutare a non far perdere il sorriso a tutti i Marjan, Bilall, Florian, Edona, Bekim, Edmond, bimbi che affidano nelle nostre mani il loro futuro.