Voci seniores, dal fante del ’15-’18 a Fernanda Pivano

Segni particolari, tanti. I “segni”di Carlo Orelli, ultimo fante sopravvissuto della Prima Guerra Mondiale – 109 anni al momento dell’intervista – sono questi (scelti a modo nostro tra gli altri che lo contraddistinguono). «Non è come nei film. Il cannone non fa: bum. Troppo distante dalle trincee. Il cannone fa piuttosto un brontolio, un rombo lontano, poi un sibilo sempre più forte, più vicino. Il proiettile sta per arrivare. A volte non esplode subito. A volte non esplode mai. Un mio amico di Napoli si era sempre salvato proteggendosi dentro un tubo di cemento. Spuntavano solo le gambe. Centrato da una cannonata. E’ morto dissanguato». E anche questi. «Della guerra colpisce che tutto succede di colpo. Un momento dormi, mangi, ridi; un momento dopo non ci sei più. Un mio amico era appoggiato a un muretto. Parlava. E’ arrivato il rombo, è arrivato il sibilo. La granata gli ha staccato la testa di netto. Il corpo è rimasto lì, dritto, innaturale».
I segni particolari, indimenticabili e atroci, di Carlo Orelli, il fante del 15-18 che viveva «al quarto piano senza ascensore di una vecchia casa alla Garbatella. Uno dei luoghi più appartati di Roma».

Di segni particolari è pieno, questo libro di Aldo Cazzullo – I grandi vecchi. Trentatre incontri in Italia, (Mondadori, pp. 228, euro 17) – che si lascia leggere come un divertimento, una sorpresa, intelligente e lieve, sullo sfondo una parete bianca. Risposte più che domande, e del resto l’autore non incalza, non chiede troppo, si pone, ascolta, apre le virgolette. Incontri, appunto, anche fugaci; schizzi, niente chiaroscuro, un solo lato è illuminato. Ma va bene così, ogni personaggio si vede e si racconta come gli pare e piace, non ci sono dilemmi nê obiezioni, né sguardi nel profondo. Sulla parete levigata, sul fondale prezioso, compaiono come in un incantesimo trentatre profili eccellenti, tutti i quali vale la pena di mirare da vicino, anche solo rapidamente, come quando si va a vedere una rara mostra.

Segni particolari, tanti. Ci permettiamo di sceglierli sempre a modo nostro, tra quelli che ci hanno colpito (o divertito).

Arbore ad esempio. Di sé dice ben poco, non molto di più di quello che già si conosce; scanzonato, accorto e caballero com’è, manda in bianco anche sulla sua vita sentimentale (comunque «gli innamoramenti sono stati sette in 66 anni, i grandi amori tre»), ma i suoi “segni” sono tutti intorno a lui, e parlano di lui, “ti ho sposato per allegria”. «Il piano bianco nell’ingresso e tre clarinetti appoggiati al finto camino americano anni Trenta, plastica bianca con fiamma luminosa, accanto a un mucchietto di mandolini. La cucina è tropicale, in plastica verde e gialla, con le luci dentro che si accendono. Una falsa finestra si apre su una veduta di Napoli tipo presepe, il mare e il cielo cambiano colore a seconda dell’ora della giornata. In un altro salotto, c’è una collezione di cappelli, tra cui spicca quello a forma di Cupola di San Pietro con costoloni lucernari e tutto. “Lo fecero per il Giubileo, per fortuna non lo misero mai in commercio. Mica male, eh? ”». E anche «piccoli robot raccoglimollica, lampadario a forma di skyline di Chicago. Era il set dell’“Altra domenica”. I “collegamenti” da Montecarlo erano girati in cucina».

Arbore: sotto il divertimento, molto.

Ti viene incontro un Franco Battiato «molto diverso da come lo attende chi lo ha visto finora solo su un palco». Un Franco Battiato che per esempio dice: «Le immagini di Bush che si sistema i capelli prima di andare in tv ad annunciare una guerra che ha sterminato migliaia di persone sono oscene. Mi arrivano messaggi da Baghdad, mi segnalano che alcune delle bombe che fanno strage, le mettono gli americani».

A Umberto Veronesi, «l’oncologo europeo più famoso del mondo», sono dedicate quattro paginette scarse, ma molto illuminanti. Cazzullo scrive che è «un grande conoscitore della Bibbia» Da lì, Umberto Veronesi, 82 anni, 7 figli, ha tratto l’idea che la sofferenza allontana da Dio, che il dolore fisico è un cattivo consigliere che va prevenuto, lenito con ogni mezzo disponibile, se possibile sconfitto. «Giobbe è più impaziente di quanto si crede. E Dio alla fine riconosce la sua ragione». Sostiene Veronesi, fautore della ”buona morte“, detta eutanasia.

Carlo Fruttero ammette, «all’Einaudi arrivai già completamente scettico. Non avevo alcuna propensione all’entusiasmo politico, che ho visto trascinare un’infinità di gente verso i lidi più improbabili. Io l’empito partecipativo l’ho sentito a malapena per la Juve» (ma risulta pur sempre altamente politico il suo “avvertimento” ironico quanto allarmante sulla paurosa «prevalenza del cretino»…).

Vattimo confessa: «Purtroppo anche i gay hanno la tentazione di fare famiglia. Andavo a New York in cerca di avventure. Trovai un nero, un bonazzo, che però ogni sabato sera mi piombava in casa, voleva cucinare per me, piangermi sulla spalla, faceva il commesso, si lamentava della negritudine sociale, il razzismo dei bianchi, le lavanderie a gettone… Sono tornato a Torino». Anche Camilleri è esplicito, da un altro punto di vista, e anche lui confessa: di non avere un folle entusiasmo per Prodi. «Dovrebbe fare un corso di dizione. Tra una sua parola e l’altra passano due treni accelerati di una volta. E’ il meno politico di tutti, non è detto che sia un guaio, ma è possibile che dopo il voto lo diventi»…

Fernanda Pivano è sorprendente, «ha in serbo tante storie meravigliose». Qualcuna la racconta: «Con Hemingway non c’è mai stato nulla, nemmeno un bacio. Non è vero quanto hanno scritto, che lui mi chiese in moglie. Mi chiamava la sua Giovanna d’Arco. Parlavamo la sua lingua, un misto di inglese, spagnolo, e francese, con qualche parola d’italiano. Lui preparava la fine. quando andò in India, prese una camera sopra quella in cui si cremavano i cadaveri, per fiutare la morte». Neanche con Jack Kerouac non ci fu mai nulla. «Sempre troppo ubriaco. Per prolungare la conversazione, gli versavo acqua e un goccio appena di whiski, lui sentiva il profumo e trangugiava. On the road era la sua storia, la sua idea di libertà. Kerouac aveva davvero mendicato per anni sulla strada, e aveva collezionato rifiuti dagli editori. Forse cominciò a bere per questo».

Bei ricordi ne ha anche Elvira Sellerio, che confessa di «rimpiangere la bellezza» ed anche che «invecchiare pesa. Significa non sapere come andrà a finire». Invece Ingrao dice di non avere rimpianti. Mai pentito di essere diventato comunista? «Assolutamente no. Resta il meglio della mia vita».

«Ci ispiravamo ai Mills Brothers, per imitare il suono della tromba si accostavano le mani, ci si stringeva il naso e si soffiava. Blues, dixie, swing. E jazz. A Roma c’erano due negozi che vendevano dischi proibiti sottobanco, Armstrong ed Ella Fitzgerald. Bastava non chiamarlo jazz, ma “sincopato”. Musica negroide, da degenerati, eppure piaceva anche al figlio del Duce». Sono quelli del Quartetto Cetra, il «gruppo più longevo d’Italia, e non solo. Costituito nel 1941 e mai sciolto, se non dalla morte».

Grandi Vecchi (o Grandi Giovani).