Vittoria popolare, unità della sinistra e ruolo dei comunisti. Lezioni dalla vittoria al referendum

Un regime sta crollando. Ciò che sembrava lontano si sta avvicinando. Lo straordinario successo dei quattro“SI” ai referendum, che segue alla grande vittoria contro le destre alle amministrative, ci dice chiaramente che un popolo ha alzato la testa, che le donne, i lavoratori, i giovani hanno interiorizzato una profonda avversità al marciume del berlusconismo, alla ferocia del liberismo e chiedono il mutamento.

Per il governo, per le destre, per il potere economico e politico più retrivo non c’è stato niente da fare. Ciò che è accaduto nelle settimane che hanno preceduto il voto referendario non è degno di un paese civile: il voto è stato fissato nell’ultima settimana possibile, con la speranza che i “SI” naufragassero nelle spiagge e nei mari d’Italia. E poi nevrotici decreti, ricorsi alla Cassazione, alla Corte Costituzionale; tentativo di spingere i residenti all’estero a non partecipare al voto in tutti i modi illeciti possibili, anche con impedimenti e inadempimenti kafkiani da parte dei consolati; ostacoli burocratici – è ciò che emerge da tanti racconti – volti a non far votare gli ospedalizzati e il personale viaggiante; oscuramento totale dell’informazione; reprimenda contro il presidente della Repubblica e infine l’invito forte e reiterato dai media nazionali – da parte di Bossi, di Berlusconi – a non votare e ,“craxianamente”, andare al mare.

Ma la prepotenza è stata respinta, un poderoso quorum del 57% ed un esaltante “SI” del 96% hanno ratificato che la maggioranza dell’elettorato italiano vuol cambiare pagina e non è più irretito dalla subcultura berlusconiana del “Grande Fratello”. Lo stesso 95,03% ottenuto dal referendum sul legittimo impedimento dimostra che oltre la coscienza civile e sociale espressasi nella vittoria generale, vi è una cosciente carica antiberlusconiana, una comprensione del tentativo golpista, anticostituzionale e antidemocratico del capo del governo e della sua banda.

L’insieme della vittoria alle amministrative e al referendum segna il passo più avanzato, in Italia, degli ultimi vent’anni. E ciò che colpisce e incoraggia è il ruolo che – sia nella battaglia per i sindaci che per i “SI” – hanno svolto i giovani, il movimento giovanile. “Al quorum non si comanda” : la parola d’ordine coniata dai social network è divenuta coscienza per un immenso popolo giovanile e, di fatto ha invaso, colmato, l’enorme silenzio mostruosamente imposto da tutti i media berlusconiani, quelli di proprietà personale e quelli pubblici e militarmente occupati.

La vittoria non appartiene certo ad un centro sinistra debole, impacciato, dubbioso. Il PD non è stato al centro dell’iniziativa sociale e politica. I suoi manifesti sono apparsi solo nell’ultima settimana prima del voto. Sulla questione dell’acqua tanti suoi amministratori locali sono stati avanguardia della privatizzazione. Il referendum sul legittimo impedimento è stato definito dal PD “ un boomerang”. La vittoria trova invece le sue radici nelle lotte d’autunno degli studenti; nella grande manifestazione e nelle lotte di piazza del movimento femminile di febbraio; nell’enorme manifestazione dei comitati per i “SI ” del 26 marzo; nello sciopero della CGIL, nella grandi lotte, manifestazioni e resistenze operaie, con la FIOM in testa. La vittoria trova le sue radici nello sforzo strenuo, al quale il PD non partecipa, per raccogliere milioni di firme per il referendum; trova le sue basi materiali nella lotta, all’inizio quasi solitaria, per sostenere i “SI” in tutte le piazze d’Italia, una lotta organizzata, innervata dai movimenti alla quale danno il loro sostegno importante la Federazione della Sinistra, Di Pietro e Vendola.

E qui è il punto, qui la lezione estrema che deve trarre sia dalle amministrative che dal referendum la sinistra italiana. Abbiamo già precedentemente scritto che se “il vento si è levato, ora deve soffiare più forte”. Nel chiaro senso che occorre interpretare la spinta popolare per ciò che è: una richiesta di cambiamento profondo, non una ricucitura moderata e centrista degli strappi sociali, culturali, costituzionali berlusconiani. Le vittorie di Pisapia, De Magistris, Zedda nascono dalla stessa onda sociale di un 57% insperato, di un 96% di “SI” che vuole cambiare lo stato presente di cose. Ciò vuol dire che se un popolo alza la testa le forze più avanzate hanno il dovere di divenire la sua sponda, il suo punto di riferimento. Occorre, dunque, che le forze della sinistra vivano profondamente il cambiamento. La debole opposizione del PD e l’insufficienza della sinistra hanno costretto il movimento popolare – dei lavoratori, delle donne, dei giovani – ha costruire una resistenza ed un conflitto cosiddetto “orizzontale”, che nasce dal basso e si organizza in mille, diecimila, piccoli punti diversi. E’ del tutto evidente che ad esso si è intersecato il lavoro ed il conflitto di massa organizzato dalla FIOM e poi, seppure in modo insufficiente, dalla CGIL. Ecco: la questione è che con l’orizzontalità del conflitto già sviluppato oggi si intersechi in modo molto più forte e determinato di prima la necessaria, ineludibile verticalità del conflitto e del progetto politico generale della sinistra italiana.

Non dobbiamo, in altre parole, attendere passivamente le prossime elezioni politiche nazionali, confidando solo sul vento che si è levato spontaneamente e rischiando magari di spegnere l’entusiasmo popolare nell’inerzia sociale e nella non inverosimile meschinità delle trattative politiche della coalizione di centro sinistra e sinistra.

Occorre sin da oggi – per la sinistra – offrirsi come sponda vera alla nuova coscienza popolare; occorre riempire lo spazio temporale che ci divide dalle elezioni nazionali prossime con un’azione sociale conflittuale che conquisti le piazze, che si materializzi di fronte alle fabbriche e ai luoghi di lavoro, cominciando dalla lotta contro la guerra in Libia e contro il berlusconismo. Occorre che una progettualità politica e sociale espressa dalla sinistra entri nel senso comune di massa.

Dobbiamo voltare pagina. Dobbiamo liberare il Paese dalla presenza nefasta di Berlusconi; non dobbiamo tendergli di nuovo le mani, come troppe volte accaduto, ad opera essenzialmente del PD. Per ottenere questo obiettivo non vi sono alternative ad un’alleanza tra il PD e le forze della sinistra. La questione, tuttavia, è : quale alleanza? Di quale natura ? Essenzialmente: su quali rapporti di forza? Da questo punto di vista dovrebbe essere chiaro a tutti cosa oggi occorrerebbe prioritariamente fare, sull’onda delle vittorie popolari. Occorrerebbe immediatamente aprire un tavolo di discussione politica tra le forze della sinistra: la Federazione della Sinistra, i comunisti, SEL e Di Pietro. E’ necessario come il pane che queste forze, che rappresentano circa il 13%, sviluppino un progetto politico e sociale attraverso il quale andare, di comune accordo, all’incontro unitario con il PD, con l’obiettivo, perseguibile, di condizionarlo fortemente da sinistra. E occorre che queste forze, nella loro piena autonomia, stringano fortemente – attraverso la sollecitazione delle lotte, a partire da quelle contro la guerra e in difesa dei lavoratori – i legami col mondo orizzontale, con i movimenti di lotta che sono stati così importanti nelle ultime vittorie. Dovrebbero essere gli stessi comunisti, per loro natura e cultura i più unitari, a chiedere esplicitamente, pubblicamente a Vendola e Di Pietro l’apertura di un tavolo della sinistra. Un eventuale “no” ricadrebbe tutto sulle spalle di chi non vuole l’unità e favorirebbe l’immagine unitaria e popolare dei comunisti.

L’apertura di questo tavolo è ciò che – crediamo – occorrerebbe fare subito. Anche se, purtroppo, le cose dette da Vendola nella sua intervista al “Corriere della Sera”, mercoledì 8 giugno, non sembrano andare in questa direzione. Il progetto vendoliano del “partito unico” con il PD, il ripensamento di stampo quasi liberista rispetto al welfare, l’enfasi sull’allargamento all’UDC non depongono certo a favore di una determinazione di sinistra da parte del leader di SEL.

E rispetto a tutto ciò chiaro è invece il compito dei comunisti: costruire l’unità della sinistra come pressione positiva sul PD; ricostruire legami sociali forti con “il popolo del cambiamento”; essere il cuore dell’opposizione sociale e di classe al governo Berlusconi. In altri termini: unità e autonomia; costruzione sociale e politica dell’alternativa. Anche così si ricostruisce il partito comunista, ancor più necessario di prima alla luce del chiaro intento popolare volto al cambiamento.