Vicenza contro il raddoppio della base Dal Molin

«Un movimento così a Vincenza è da venti anni che non lo vedo». Gianluca ne è certo. E lui si sente vicentino “doc”. Più di 500 persone affollano la sala della fiera per il secondo appuntamento promosso dai cittadini (cui ha aderito anche la Cgil) contro il nefasto pugno di combattimento americano che dovrebbe stanziare al Dal Molin. Studenti operai e donne. Non è un caso che ad aprire l’assemblea sia proprio una donna, a ricordare che si celebra la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Un segno per dire che qui si respira quella cultura di pace di cui proprio le donne sono artefici e protagoniste. «Siamo stati ricevuti da Parisi -sottolinea Patrizia Balbo – è stato disponibile a incontrarci. Un segnale positivo». Certo non basta. E’ lo stesso ministro – racconta – ad auspicare che vi possa essere una consultazione popolare affinché siano i cittadini ad esprimersi sul raddoppiamento della base americana di stanza a Vicenza. «Eppure – aggiunge Giancarlo Albera del Comitato – abbiamo consegnato un quesito piuttosto semplice e ce lo hanno rifiutato. Speriamo – sottolinea – che non vi sia il solito rimpallo di responsabilità» per un progetto varato dal vecchio esecutivo, a cui ora si è aggiunto il placet del comune guidato dal sindaco forzista. Loro – «il popolo delle pignate ci chiamano», dice Paola – non ci stanno e con l’assemblea preparano la piattaforma della prossima manifestazione che si terrà a Vicenza il 2 dicembre. In prima fila siedono i deputati dell’Unione che hanno sposato la causa dei cittadini. Elettra Deiana e Tiziana Valpiana (Prc) accanto a Gino Sperandio (Prc) e ancora a Laura Fincato, Lalla Trupia, Luana Zanella. Gli interventi che si susseguono dal palco sono durissimi, contro un progetto – sottolinea Oscar Mancini, segretario generale della Cgil di Vicenza – «di devastante impatto ambientale». Per quello che per tutti qui è il polmone verde della città e che potrebbe venire praticamente annientato – osserva ancora Mancini – da 700mila metri cubi di cemento. Senza considerare gli sprechi: di acqua, di luce, di gas che penderanno sul territorio. Le falde acquifere – denuncia un dossier predisposto dai Comitati – sono in continuo calo negli ultimi trenta anni in quanto i prelievi superano i reintegri naturali Ederle e la “Housing Area” hanno entrambe dei pozzi propri e sono pressoché autonome, mentre la parte militare del Dal Molin non è attualmente raggiunta da un acquedotto. Il che, tradotto in cifre, significa che l’impatto della nuova base per questo territorio sarebbe insostenibile. Camp Ederle ha chiesto per esempio una fornitura di 9 Mw per il Dal Molin. E considerando ancora tutti questi fattori anche l’impatto economico previsto è del tutto negativo. In un ambiente inquinato diminuisce la propensione all’insediamento, per cui il patrimonio immobiliare si svaluta. Analogamente il turismo, fonte di risorsa per la “città dell’oro del Palladio” non troverebbe la giusta incentivazione con conseguenti perdite di opportunità e di posti di lavoro. Non basta: perché, rileva ancora il dossier, il territorio a disposizione dello sviluppo della città si potrebbe ridurre fino a 2 milioni e 230mila metri quadri (la zona industriale di Vicenza è di circa un milione e 500mila metri quadri) con la potenziale “migrazione” di abitanti e di attività verso comuni limitrofi. Il movimento, le associazioni, i partiti sono qui a contrastarlo.
Non mancano accuse al centrosinistra. I Ds per esempio, sono stretti nella tenaglia della decisione assunta dalla segreteria provinciale che non intende partecipare alla prossima mobilitazione. A livello nazionale, per prima è stata Rifondazione a sollevare la questione della base al Dal Molin e a portarla all’attenzione delle aule. Ora torna a chiedere al nuovo governo che si ricorsideri tutta la politica sulle servitù militari, così come previsto dallo stesso programma dell’Unione. A non dubitare di poter “vincere” la guerra è il movimento composito che si riunisce intorno all’assemblea permanente che ha promosso la mobilitazione. A questo si rivolge perfino Noam Chomsky in un messaggio letto da Andrea Licata. Per non dimenticare che passa da queste battaglie la riconversione della politica. Verso obiettivi di pace.