Duecento soldati delle truppe speciali francesi impegnate in Afghanistan torneranno a casa nelle prossime settimane. L’ annuncio del ministro della Difesa, Michele Alliot-Marie, in visita a Kabul, ha subito suscitato interrogativi sulle intenzioni di Parigi rispetto alla missione Enduring Freedom, cui la Francia ha contribuito dal 2003 con un contingente di duemila uomini. È una decisione che può apparire in controtendenza rispetto all’ aggravarsi della situazione del Paese, dove i talebani hanno riguadagno il controllo di larghe porzioni di territorio e il terrorismo continua a provocare vittime civili. La Francia considera più urgente garantire la stabilità del governo di Kabul, incapace di estendere la propria azione militare e politica al di fuori della capitale. Tre anni di pattugliamenti e di operazioni contro le roccheforti dei talebani non hanno dato i risultati sperati, sebbene il dispiegamento dei soldati della forza multinazionale sia ormai completato su tutto il territorio. Le unità speciali francesi peraltro non fanno parte del dispositivo multinazionale (Isaf). Ufficialmente, il ritiro delle unità speciali da combattimento non deve essere considerato un’ avvisaglia di disimpegno. Si tratta di riorganizzare il dispositivo, in accordo con i comandi della Nato e con i partner della coalizione: «In particolare con gli americani», come riferisce il portavoce del ministero francese, Sebastien Caron. Secondo informazioni non confermate, i 200 effettivi delle truppe speciali verranno inviati in Libano, al fianco dei soldati italiani nell’ ambito della missione Unifil. Fonti del ministero della Difesa aggiungono che il numero dei soldati interessati al ritiro non è stato precisato. Inoltre si ricorda che la Francia mantiene un importante dispositivo di pronto intervento con gli aerei Mirage dislocati in Tagikistan. Le forze francesi verranno soprattutto impegnate nel controllo del territorio attorno a Kabul, nelle operazioni di ricognizione aerea e nell’ addestramento dell’ esercito afghano. Le forze speciali sono state finora impegnate sul fronte sud orientale, nella zona di Jalalabad. «È importante che la popolazione afghana percepisca che è il proprio esercito a riprendere il controllo del territorio», ha detto la Alliot-Marie. Il numero complessivo degli effettivi del contingente francese resterà inalterato e una cinquantina di «addestratori» verranno inviati nell’ immediato futuro. Era stato lo stesso presidente Chirac, durante il vertice della Nato di fine novembre a Riga, a concordare con i governi alleati i termini della presenza francese in Afghanistan. Il ritiro delle truppe speciali sarebbe in sostanza compensato da un più deciso impegno in altri ambiti della missione. «Si tratta di adattare l’ impegno dei nostri soldati alle esigenze della Nato e alle necessità del popolo afghano», aveva detto Chirac. Parole che traducono un’ analisi di cui si discute presso i comandi alleati: la missione in Afghanistan rischia di fallire se non interviene un cambio di strategia. Serve dare la caccia ai talebani o a Bin Laden, ma occorre rafforzare la capacità operativa dell’ esercito afghano, perseguire la ricostruzione delle istituzioni e lavorare per la stabilità del Paese. La speranza è che un cambio di strategia svuoti le basi di consenso dei guerriglieri e riduca il potenziale di ostilità verso le truppe straniere, in particolare americane, anche in conseguenza di gravi incidenti che hanno in più occasioni provocato vittime fra la popolazione civile. Sono evidenti, in questo quadro, le analogie con la situazione irachena, dove si sta riflettendo sul reintegro delle forze di polizia e dell’ esercito del regime di Saddam Hussein per arginare la situazione di caos e guerra civile. Quest’ anno in Afghanistan si sono registrati un centinaio di attentati suicidi. Nel corso delle operazioni, la Francia ha perso in questi anni 10 soldati.