«Vi spiamo per proteggervi»

George Bush confessa ma non si pente (anzi promette di continuare) perché le intercettazioni telefoniche illegali a danno di centiniai di cittadini americani che lui ha ordinato, dice, sono «uno strumento vitale nella nostra lotta contro il terrorismo». Il suo consueto messaggio radiofonico del sabato non è stato il solito discorsino registrato chissà quando ma è andato in onda live, forse per dargli più solennità ma più probabilmente perché la decisione di farglielo pronunciare è stata presa all’ultimo momento. Fino a venerdì sera, infatti, la posizione ufficiale – sostenuta da Bush medesimo, che si era fatto intervistare dalla tv pubblica – era stata che il lungo articolo con cui il New York Times aveva rivelato (con prudenza) la faccenda, non era altro che il frutto di «speculazioni». Poi qualcuno dei «cervelli» di Bush deve aver capito che una posizione del genere era insostenibile (anche perché proprio mentre lui stava rispondendo alle domande della tv pubblica il suo vice Dick Cheney era andato al Senato a «difendere la legittimità» delle intercettazioni) ed ecco così il suo discorso in diretta che lui ha equamente diviso fra la difesa del suo operato e il rimprovero ai senatori che gli hanno bloccato il «Patriot Act».

Ma la sua confessione, si diceva, non è stata precisamente contrita. Il vero peccatore di questa storia non è lui che ha fatto una cosa che non poteva fare ma semmai colui o coloro che hanno «impropriamente parlato» con il Times. E’ colpa loro se adesso «i nostri nemici hanno informazioni che non avrebbero dovuto avere e la divulgazione non autorizzata di questo nostro sforzo minaccia la nostra sicurezza nazionale e mette a rischio i nostri cittadini. La rivelazione di informazioni segrete è illegale, mette sull’avviso i nostri nemici e pone in pericolo il nostro Paese».

Concentrato com’era a «difendersi attaccando», Bush ha completamente trascurato di rispondere alla domandina decisamente semplice che venerdì sera, quando della storia delle intercettazioni era piena l’intera Washington politica, gli è stata rivolta praticamente da tutti, compresi gli arrabbiatissimi repubblicani che lo hanno sempre sostenuto.

La domada era perché mai Bush avesse ritenuto necessario seguire la strada dell’illegalità nonostante a sua disposizione ce ne fosse un’altra – perfettamente legale, purtroppo – attraverso la quale avrebbe potuto ottenere gli stessi risultati: la strada cioè dei «tre segreti». Esiste infatti un tribunale segreto che elargisce, in segreto, le autorizzazioni che gli vengono chieste, in segreto. Insomma il telefono dei cittadini americani può già essere messo sotto controllo a loro insaputa in modo legale, perché Bush ha preferito quella illegale?

Quel tribunale, oltre tutto, è una delle «creazioni» del Patriot Act ed è stato qui che venerdì sera le due cose si sono fuse. Con il loro voto che ha bloccato il rinnovo di quella legge, destinata a decadere alla mezzanotte del 31 dicembre, in pratica i senatori hanno detto a Bush: ma come, noi ti diamo dei poteri eccezionali e tu non ti accontenti e vai perfino oltre? Bush, si diceva, non ha risposto. Ha solo detto, per sostenere che comunque quella violazione di legge aveva un suo «filtro», consistente in un esame ogni 45 giorni compiuto di concerto dal segretario alla Giustizia Alberto Gonzales (quello del «memo» sulle torture) e il consigliere legale della Casa Bianca Harriet Myers, cioè la devota ammiratrice di Bush che lui ha cercato di nominare alla Corte Suprema per poi essere costretto a rinunciarvi per «manifesta incompetenza».

Nessuno è soddisfatto della garanzia che quel «filtro» sia in grado di dare, per cui la faccenda delle intercettazioni sembra destinata ad andare avanti con sviluppi al momento imprevedibili ma probabilmente non buoni per Bush. «Questa cosa è del tutto inappropriata, non ci sono dubbi», ha detto Alan Specter, il repubblicano presidente della commissione Giustizia del Senato, promettendo un’indagine che stavolta potrebbe avere un esito diverso dalla solita relazione «assolutoria» della maggioranza repubblicana e l’altrettanto solita relazione di minoranza dei democratici. L’insofferenza anche dei repubblicani nei confronti di Bush è infatti decisamente in crescita. Lo si è visto fin troppo con lo «schiaffo» che Bush ha subito l’altro giorno nella vicenda del «diritto alla tortura» che lui voleva assicurare agli agenti della Cia e al quale è stato costretto a rinunciare.