Verso una nuova Adua?

Tra novembre e dicembre, c’è stato un definitivo chiarimento delle reali posizioni del governo sulla questione militare. Non è più possibile alcun equivoco, almeno per chi segue attentamente le discussioni politiche. Ricordiamo alcuni punti salienti, come la forte eco della lettera di Alex Zanotelli: “Oggi sento che devo esternare la mia delusione, la mia rabbia… verso la Sinistra critica che in piazza chiede la chiusura dei “lager per gli immigrati”, parla contro le guerre e l’imperialismo e poi vota con la destra per rifinanziarli. E sono fior di quattrini! Non ne troviamo per la scuola, per i servizi sociali, ma per le armi sì. E tanti! La Difesa, infatti, per il 2008, avrà a disposizione 23,5 miliardi di euro: un aumento di risorse dell’11 per cento rispetto alla finanziaria del 2007, che già aveva aumentato il bilancio militare del 12 per cento. Il governo Prodi in due anni ha già aumentato le spese militari del 23 per cento!” Ormai l’ipocrisia dominante in governo e opposizione, media e partiti politici, non riesce più a nascondere la cruda realtà: la spinta militarista è crescente, e in Afghanistan le forze italiane sono direttamente impegnate in combattimento. Gaiani, nell’articolo “Offensiva NATO in Afghanistan” (10.11.07, Sole24Ore), scriveva. “…le truppe afgane ed italiane hanno ripreso il controllo del distretto di Gulistan…uccidendo una ventina di talebani. Il contrattacco è stato guidato dal comando NATO di Herat, retto dal generale Fausto Macor… I combattimenti a Gulistan sono durati diversi giorni coinvolgendo gli elicotteri da combattimento Mangusta e le forze speciali della Task force 45, ma secondo indiscrezioni sarebbero stati risolti con l’arrivo da Herat dei mezzi corazzati Dardo dei bersaglieri… indiscrezioni riferiscono di scontri di retroguardia tra le forze alleate e i talebani…” Ma già a marzo l’agenzia spagnola Europa Express aveva dato la notizia che le truppe italiane, insieme con quelle spagnole, stavano partecipando alle operazioni militari nel quadro dell’offensiva Usa e Nato “Achille” contro la resistenza afgana. (1) C’è poi il pericolo di una nuova guerra in Jugoslavia, a causa della probabile secessione anche formale del Kosovo, con il coinvolgimento delle truppe italiane, ma non è stato messo in risalto dalla sinistra, bensì dal destro Cossiga, nel discorso del 6 gennaio al senato. Il compito dei dirigenti della sinistra non è più quello della denuncia, ma del “troncare e sopire” del conte zio di manzoniana memoria. I produttori di tranquillanti stanno già pensando di assumerli come commessi viaggiatori. C’è ancora qualche dubbio sulla presunta volontà di pace del governo Prodi? Questo governo ci sta trascinando in guerre terribili, perciò deve cadere. Lasciamo ai giuristi le lagnanze sull’articolo 11 della Costituzione violato. Le conseguenze di ogni guerra ricadono soprattutto sui lavoratori e sulle masse sfruttate, del paese aggredito e di quello aggressore, perciò il problema non si affronta sul piano giuridico, ma su quello della lotta di classe. È più che mai d’attualità la parola d’ordine di Karl Liebknecht: “Il nemico principale si trova nel proprio paese”. I funamboli dell’opportunismo, come la Menapace, tentano ancora di riesumare il logoro argomento della riduzione del danno, come scusa per appoggiare il governo. Ma è proprio il governo il maggior responsabile del danno, per avere accettato la trasformazione di un’operazione che, almeno a parole, non prevedeva combattimenti, in un’operazione bellica in senso stretto, che non si distingue più da Enduring Freedom. Ma era escluso fin dal principio che questa operazione potesse essere effettivamente pacifica, visto che appoggia i signori della guerra e difende un regime che lascia via libera al traffico della droga : “Negli ultimi 6 anni, la superpotenza guidata da Bush non ha impedito all’ Afghanistan di divenire il primo produttore mondiale di eroina (circa il 92% della produzione globale), scavalcando il “Triangolo d’Oro” di Laos-Thailandia-Birmania e consolidando la sua pool position nell’economia mafiosa internazionale… Il giro di affari coinvolge, per la prima volta, tutte e 34 le province afgane; l’area coltivata ad oppio aumenta di circa il 50% ogni anno. Dal 2001 ad oggi, la produzione dell’oppio è aumentata più di 35 volte!!!”. (2) Bisogna chiedersi perché il governo Prodi appoggia un narcostato, e perché la sinistra accetta questa situazione. Menapace e compari continuano a giustificare il governo nonostante questa intensificazione dell’impegno militare in senso stretto. Cosa intenda per “riduzione del danno” la sinistra radicalmente governativa, lo si vede dalla lettera aperta di Menapace, dove cerca di ridurre il danno causato alla credibilità del governo dall’accorata protesta di Alex Zanotelli: “Se ci contentiamo di salvarci l’anima, votare contro (e tutto resta come prima, anzi peggio) allora Alex ha ragione. Se invece la politica è un lavoro paziente e faticoso per spostare in avanti gli equilibri nella situazione data (etica della responsabilità) credo che difficilmente si potrebbe fare meglio di quanto stanno facendo oggi i compagni al Senato…” (manifesto 22 novembre). Ma quali equilibri hanno spostato questi chiacchieroni di professione? L’unico spostamento è il loro, con l’abiura continua delle posizioni pacifiste di cui pretendevano di essere i garanti. E di “radicale” c’è solo la loro faccia tosta. Se anche Rifondazione, come farebbero pensare le esternazioni di Bertinotti, decidesse di far cadere il governo, non certamente per questioni di principio, ma per alchimie o di potere ed elettorali, non sarebbe una svolta, il danno irreparabile è già stato fatto, perché l’Italia è coinvolta ogni giorno di più in situazioni belliche (Afghanistan, Libano, Kosovo ) senza via di uscita. Occorre ricordare che le guerre le fa la borghesia, ma sulla pelle dei lavoratori? Sull’Afghanistan, sono sempre più numerosi quelli che, di fronte all’offensiva dei guerriglieri, prevedono una nuova Nassiriya, anche se si dividono tra chi, per evitare tutto ciò, chiede il ritiro delle truppe, e chi invece chiede un rafforzamento delle misure di difesa. Non abbiamo a nostra disposizione un esperto di cose militari, ma può sopperire almeno in parte la conoscenza della storia di precedenti lotte di liberazioni. Determinante è l’atteggiamento della popolazione, che non ama certo i talebani, ma ancor meno le truppe di occupazione occidentali, che bombardano alla cieca i villaggi, senza più alcuna distinzione tra civili e combattenti. Ormai i combattenti appartengono a diverse tendenze politiche, e hanno l’appoggio della popolazione. Finché la guerra vera e propria era limitata ad una parte del paese, era possibile fare una distinzione tra le truppe combattenti e quelle con prevalenti compiti di polizia, come quelle italiane. Le manovre contro le truppe di occupazione passano inevitabilmente attraverso varie fasi: si comincia con operazioni isolate come attentati, rapimenti politici, imboscate. Raggiunto un certo livello, la lotta diventa guerriglia, e il terreno montagnoso dell’Afghanistan è assai più adatto delle pianure irachene a questo tipo di combattimento, inoltre le truppe stanziate sono quantitativamente assai inferiori a quelle presenti nella zona del Golfo. I soldati locali possono essere spinti a disertare, passando dalla parte della guerriglia, dopo avere sperimentato il tallone di ferro dei “liberatori”. Infine, quando l’avversario è logorato, si giunge alla battaglia campale vera e propria. In novembre, sul fronte occidentale di Farah, che rientra sotto il comando regionale italiano di Herat, l’esercito ufficiale afgano, nonostante l’appoggio dell’aviazione e degli alleati, non è riuscito a bloccare l’avanzata dei guerriglieri, che si spostavano velocemente su numerosi fuoristrada. La successiva controffensiva Nato non è una garanzia contro futuri attacchi più insidiosi. Se ormai metà del paese è in mano ai ribelli, possiamo attenderci, non solo azioni come quella di Nassiriya, ma ben di più. Quando la guerriglia cresce, e la popolazione l’appoggia, gli eserciti occupanti possono cadere in trappole. In un primo tempo probabilmente l’attacco principale non sarà rivolto contro gli americani, che hanno un dispositivo militare fortissimo, ma contro alleati meno corazzati. Per questo le truppe italiane rischiano una sconfitta militare in senso stretto, resa più probabile dalla difficoltà di inviare rinforzi dalla madrepatria. Sbaglia chi pensa che il soccorso americano debba necessariamente giungere in tempo ed essere efficace. Qui si coglie tutta l’irresponsabilità del governo Prodi, i cui ministri sono abili quando si tratta di mascherare con chiacchiere il vero volto dell’occupazione, o nel celebrare ipocrite cerimonie quando muoiono soldati che essi stessi hanno mandato allo sbaraglio, ma non conoscono l’Afghanistan e spesso non sono neppure correttamente informati su quello che effettivamente sta succedendo sul piano militare. A Mussolini facevano vedere più volte gli stessi cannoni, trasportandoli rapidamente da una località all’altra, per dargli l’illusione di una grande disponibilità di armi. Costoro non hanno neppure bisogno di essere ingannati, dicono sì comunque. Non si è mai vista una congrega di militaristi cosi inetti. Al tempo della Prima guerra mondiale, la maggior parte degli interventisti chiedeva di andare a combattere. Oggi, queste crociate guidate dall’imboscato Bush, in Italia potrebbero avere come simbolo Rutelli (3), ex obiettore di coscienza, ex pacifista, ex radicale, ex laico. Questo è un “governo amico”, ma amico di Bush. Occorre cacciarlo, e imporre il ritiro delle truppe, e sarà meglio se la sua caduta avverrà sotto la spinta delle lotte in Italia, piuttosto che sull’onda della sconfitta militare, una nuova Adua, verso cui, con tanta inettitudine e stupida presunzione (mascherata da “bonarietà” prodiana), si precipita. 8 dicembre 2007 Note: 1) “ MADRID, 14 Mar. (EUROPA PRESS) – Tropas españolas e italianas participan en la zona oeste de Afganistán –su zona de responsabilidad– en una operación en colaboración con el Ejército Nacional Afgano y la Policía en apoyo de la denominada ‘operación Aquiles’, la mayor ofensiva contra el movimiento talibán de todas las desplegadas este año e iniciada el pasado 5 de marzo con unos 4.500 efectivos de la ISAF y 1.000 soldados afganos en la zona norte de la provincia de Helmand, fronteriza con la provincia occidental de Farah, según informaron a Europa Press fuentes militares.” 2) Ivo Toniut, “Eroina afghana: un’arma tra le più spietate della rinnovata guerra fredda. Nel nuovo assetto mondiale post 11 settembre, migliaia di tonnellate di eroina hanno causato più di 200mila morti in Europa e in Russia” “ Secondo fonti del rinnovato Kgb tagiko, oltre 560 tonnellate di eroina pura (circa l’80% della produzione afghana di quest’anno), transitando dal Tagikistan, Uzbekistan, Kirghizistan e Kazakistan (la cosiddetta “rotta del nord”) si recano sul nuovo fronte della guerra fredda per mietere decine di migliaia di vittime e colpire duramente lo strato socioeconomico euro-russo. Nell’ottobre del 2001 partii per l’Afghanistan in qualità di interprete e giornalista freelance e, giunto sul posto, una fatale curiosità mi spinse a cercare una risposta a questa domanda. Una curiosità che mi ha reso protagonista di un’odissea giudiziaria, catapultandomi in un incubo vissuto in carcere e poi come ostaggio per 4 anni delle istituzioni corrotte dai baroni della droga. Una curiosità inappagabile perché ostacolata dal controllo di uomini di governo e procuratori corrotti, perché dietro vi sono interessi finanziari secondi solo a quelli del petrolio e degli oleodotti, perché la connivenza di politici, potentati d’affari, criminalità e membri dei servizi segreti corrompe il ruolo delle istituzioni statali – inclusi gli eserciti.” “Diversi studi, inclusi quelli di Alfred Mc Coy (Drug fallout: the CIA’s forty years complicity in the narcotics trade), attribuiscono alla CIA un potente ruolo nel riciclaggio dei narcodollari, e che molti media omettono di far conoscere al mondo che il regime Talebano fu l’unico -con la collaborazione ed il supporto dell’Onu- a declinare del 90% la coltivazione dell’oppio; “Il traffico di droga è aumentato di 15 volte dopo l’arrivo degli americani in Afghanistan”. 3) “Dall’11 settembre alla guerra in Afghanistan” – ricostruzione storica a cura di PeaceLink 07 Settembre 2002, “Politici che non ha fatto il militare (ma approvano la guerra)”: “Il giornalista Marco Galluzzo sul Corriere della Sera pubblica l’elenco dei politici che – favorevoli all’intervento militare – non hanno indossato l’uniforme. Il ministro della Difesa Antonio Martino venne riformato per “ridotte attitudini militari”. Il ministro degli Esteri Renato Ruggiero quindici giorni prima di indossare l’uniforme cadde dagli sci a Roccaraso e ottenne l’esonero. Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha fatto pochi giorni di Car (Centro addestramento reclute) e poi è ritornato a casa. Francesco Rutelli si dichiarò obiettore di coscienza. Il ministro degli Interni Claudio Scajola si appellò ad una sinusite cronica e tanto bastò per non fare il soldato. Il ministro Umberto Bossi, “nipote di inabile”, ha saputo invece sfruttare una vecchia leggina che ad una moltitudine di italiani sbadati è forse inavvertitamente sfuggita”. L’articolo, del 2002, si riferisce prevalentemente ai governanti di allora, ma se si facesse una ricerca analoga sugli gli esponenti del centrosinistra, se ne scoprirebbero delle belle. 4) Afghanistan. “Una denuncia di Oxfam: i finanziamenti non vanno alle esigenze della popolazione ma ai contractors” (In “Contropiano”) “Gran parte dei 15 miliardi di dollari inviati in Afghanistan negli ultimi sei anni sono risultati inefficaci nel sostenere le necessità umanitarie del popolo afgano…molti degli aiuti internazionali destinati alle esigenze della popolazione civile afghana sono stati assorbiti dai salari di dipendenti e consulenti di organizzazioni straniere operative nel paese”: lo afferma un rapporto pubblicato oggi dall’Oxfam, organizzazione caritatevole inglese…. Il documento, secondo il quale “il salario di un consulente straniero inviato in Afghanistan può raggiungere la cifra di mezzo milione di dollari l’anno”…”. Si aggiunge che “negli scorsi sei anni solo 270 milioni sono stati destinati a progetti agricoli quando oltre l’80% degli abitanti del paese opera nel settore”. “Una situazione che non apporta alcun beneficio agli abitanti delle zone più remote del paese – secondo il rapporto di 24 pagine redatto da Matt Waldman – che spesso vivono in condizioni “paragonabili per povertà e indigenza solo ad alcune aree dell’Africa Sub-sahariana”. Le cifre spese per sostenere l’economia e il popolo afgano “scompaiono di fronte a quelle stanziate nel contrastare i talebani, per cui l’esercito americano spende 65.000 dollari al minuto”. Inoltre, l’agenzia per gli aiuti del governo statunitense ‘Usaid’, il maggior donatore nel paese, ha assegnato quasi la metà dei suoi fondi a cinque grandi società di ‘contractors’ (mercenari) americani”.