Verso il congresso Cgil: due documenti a confronto

Nella seconda metà di settembre prende il via con le assemblee di base il congresso della Cgil: uno dei momenti di discussione e di democrazia più significativi, per partecipazione e diffusione, del nostro paese (vista anche l’evoluzione della politica che da qualche tempo sembra aver scelto i media come terreno di confronto e i sondaggi come momenti di verifica della giustezza delle proprie posizioni). Per l’occasione lo sforzo organizzativo della Confederazione è stato notevole: sono state stampate e distribuite alle varie strutture 330mila copie dei due documenti alla base della discussione e del regolamento congressuale (80 pagine) e oltre tre milioni di copie delle sintesi dei documenti (un volantone di 4 facciate tabloid). Da metà settembre, tra i congressi di base e quelli delle varie istanze di livello superiore, saranno svariate migliaia le occasioni nelle quali si discuterà del presente, del passato e del futuro del maggior sindacato italiano. Con questo articolo vogliamo fornire a chi è interessato una mini-guida al dibattito, cercando di estrapolare dai documenti le posizioni a confronto su alcune idee-chiave. Quelle su cui più vivace è stata la discussione in questi anni che ci separano dal XIII congresso e che in fondo spiegano il perché dei due documenti. Uno, dal titolo «Diritti e lavoro in Italia e in Europa» che ha come primi firmatari Cofferati ed Epifani. L’altro, «Lavoro società, Cambiare rotta», espressione dell’area programmatica nata circa un anno fa dalla confluenza delle due minoranze uscite dal precedente congresso, che ha come primi firmatari Patta, Danini e Cremaschi. Ovviamente questo nostro lavoro non ha nessuna pretesa di esaustività (né certo è possibile riassumere se non sommariamente 300 cartelle in una pagina di giornale). Va anche sottolineato che i documenti sono strutturati in modo diverso, con accentuazioni e pesi diversi nelle singole parti: quattordici capitoli (di varia grandezza) quello di maggioranza; tre capitoli, con punti e sottopunti, quello di minoranza (con il terzo capitolo, che da solo è molto più grande dei primi due, intitolato «Una nuova piattaforma per la Cgil», molto articolato e pieno di proposte dettagliate). Doverosa premessa: diamo per scontato quanto sintetizza efficacemente il documento di minoranza nelle prime righe, e cioè che tutta la Cgil è unita «per la difesa dei diritti dei lavoratori e della contrattazione, per difendere lo Stato sociale dagli attacchi della destra liberista e populista, per affermare il diritto delle lavoratrici e dei lavoratori a decidere su piattaforme e accordi»; ci concentriamo quindi sui principali elementi di contrapposizione tra i due documenti.
L’accordo del luglio ’93 Cominciamo allora con la «madre di tutte le differenze». E cioè il giudizio sul binomio «accordo di luglio 1993/politica dei redditi». Per la minoranza la soluzione è proprio nel nome che contraddistingue l’area programmatica: «Cambiare rotta». «Quello su cui deve decidere il congresso – si dice al punto 1.1 – è se la lotta contro l’attacco liberista e conservatore possa avvenire rivendicando la continuità con le impostazioni e la pratica degli anni passati oppure se sia necessario cambiare rotta». Negli anni ’90, infatti, lavoratrici e lavoratori hanno visto «peggiorare i loro redditi, i loro diritti, le loro condizioni sociali e di vita, il loro peso e riconoscimento nella società». «La scelta del movimento sindacale italiano e della Cgil di reggere all’offensiva liberista con la concertazione, la moderazione rivendicativa, la contrattazione guidata da patti centralizzati, la politica dei redditi fondata sul contenimento di salari non ha prodotto risultati efficaci». Occorre dunque «una nuova piattaforma che operi una discontinuità con le politiche concertative e dei patti sociali». Giudizio diametralmente opposto quello contenuto nel documento della maggioranza. «L’Italia ha negli anni scorsi convenuto e utilizzato un modello – inizia così il capitolo 9 -, nato con l’accordo del luglio 1993, fondato su un’equa redistribuzione delle risorse e su una loro finalizzazione per la crescita del paese. Equità e sviluppo sono dunque i fondamenti di una politica che ha consentito di risanare e rilanciare il nostro paese». Non ci si nasconde certo (cap. 7) che sono stati «lavoratori dipendenti e i pensionati, più di ogni altro ceto sociale», a caricarsi in questi anni «degli oneri e dei sacrifici che hanno consentito all’intero paese di conseguire tali risultati». Ma si ribadisce (cap.9) che «un’efficace politica redistributiva ha bisogno di essere sorretta da regole e procedure certe che disciplinano, con il metodo della concertazione, i comportamenti delle parti (…). Revocare questi princìpi e perseguire modelli dequalificati di crescita, rappresenterebbe la scelta di un modello economico e sociale che noi saremmo chiamati a combattere».
La globalizzazione Un’altra contrapposizione molto netta è a proposito del giudizio sulla globalizzazione. Per la maggioranza si tratta di «un processo in sé ambivalente: ne possono derivare nuove occasioni di riscatto sociale, di miglioramento economico per milioni di persone o, viceversa, ulteriori e più brutali situazioni di sfruttamento, di dipendenza fra Nord e Sud del mondo, fra aggregati sovranazionali o, all’interno degli stessi, fra paesi e gruppi sociali diversi». Per questo: «né una passiva acquiescenza, né una miope ostilità, ma l’ambizione di porre a riferimento di questo processo epocale valori positivi e obiettivi concreti per governarlo, per finalizzarlo». Per quanto riguarda il «popolo di Seattle», l’auspicio è che «possa consolidarsi un rapporto di scambio e di cooperazione con tutti i movimenti e le organizzazioni che si ispirano a strategie di coesione sociale, di solidarietà, di sostenibilità ambientale, rifuggendo da semplificazioni ideologiche e dalla pratica di forme di lotta violente». Decisamente diverso il taglio del secondo documento, secondo cui «la globalizzazione liberista che ha governato il mondo in questi anni ha promesso sviluppo per tutti e ha prodotto disastri sociali per la grande maggioranza della popolazione mondiale». La Cgil deve partecipare «con la propria identità e autonoma elaborazione, al movimento di massa antiliberista», ricercando «il confronto e l’unità con tutti i movimenti che, partendo dalle più diverse istanze, si pongono la necessità di contrastare la globalizzazione liberista».
Le politiche contrattuali E veniamo alle politiche contrattuali, il cuore dell’azione di un sindacato. Il documento di minoranza si propone di «restituire piena autonomia alla contrattazione» superando i «meccanismi di centralizzazione e di tetti salariali contenuti nell’accordo del 23 luglio 1993» e rilancia «l’azione per la riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a 35 e 32 ore settimanali», esprimendo un giudizio critico sull’operato complessivo della Cgil su questa materia, «a causa del mancato perseguimento dell’obiettivo, assunto al 13° congresso, delle 35 ore settimanali». Nel documento della maggioranza il capitolo più lungo è proprio quello (il n.10) dedicato a «Lavoro e contrattazione». Davanti alla richiesta di Confindustria di un solo livello di contrattazione viene ribadita la struttura dell’accordo di luglio («due livelli con funzioni distinte e non sovrapponibili») per difendere integralmente «il potere d’acquisto delle retribuzioni rispetto all’inflazione reale», con la possibilità di utilizzare a questo livello quote di produttività per «incrementare e riqualificare le politiche salariali e/o contrattuali». Sull’orario, di riduzione generalizzata non si parla nemmeno ma si insiste invece su riduzioni e rimodulazioni per migliorare quanto è stato fatto finora (che pure, si sottolinea, non è poco) su questo terreno «decisivo per intervenire sulla prestazione di lavoro».
Autonomia e unità sindacale Il quinto capitolo («L’Italia bipolare e il sindacato») è uno dei più «densi» del documento di maggioranza. Le novità del dopo 13 maggio rendono necessario «per tutto il movimento sindacale rideclinare il tema dell’autonomia»: «autonomia di giudizio sui programmi degli schieramenti» che va collegata anche all’«autonoma capacità di decidere e praticare un’iniziativa sindacale concreta da parte della Cgil». Occorre poi riflettere sulla necessità di «un rinnovato impegno delle compagne e dei compagni della Cgil nella militanza politica» per rendere «sempre più visibili i valori e gli interessi rappresentati dal mondo del lavoro». In un sistema bipolare è comunque «più che mai necessario un sindacato unitario»: la Cgil rilancia sul tema e ripropone la necessità di recepire l’articolo 39 della Costituzione per garantire certezza alla rappresentanza. Sulla validità dell’obiettivo della legge concorda (nel punto 1.5) anche il documento di minoranza. Che però ammonisce: «L’unità è una scelta: una legge può favorire l’unità o può sanzionare le divisioni». «L’unità – si puntualizza – non si realizzerà riproponendo vecchi o nuovi collateralismi politici, facendo prevalere le culture e le pratiche dello schieramento su quelle della partecipazione diretta e dell’autonomia fondata sulla ricomposizione tra le aree dei lavoratori occupati stabilmente e quelle della precarietà». La Cgil non può rinunciare a una prospettiva unitaria, che è, «prima ancora che un bisogno delle organizzazioni, un’esigenza delle lavoratrici e dei lavoratori». Ma per realizzare questa prospettiva occorre rilanciare la democrazia e la partecipazione nella vita del sindacato. «Senza di esse, come ha mostrato l’esperienza degli anni 90, non c’è possibilità duratura di costruire l’unità».