Ventimila operai a Roma: «I love Fiat»

Adesioni all’80% negli stabilimenti, i lavoratori sono tutti nella capitale: chiedono un confronto con il Lingotto e il sostegno del governo. Fischiato Pezzotta. Rinaldini (Fiom): «La Fiat riguarda l’intero paese, il suo destino industriale»

«Ilove Fiat», gli operai non si arrendono. Cuori sugli striscioni, cuori sulle spillette appuntate ai maglioni. Tanta passione per dire che la Fiat non può morire, deve essere salvata, e bisogna fare presto. Un fiume di lavoratori ieri ha invaso Roma, ventimila secondo i sindacati, davvero tantissimi se si pensa che la manifestazione indetta da Fim, Fiom, Uilm e Fismic era molto «specifica», ovvero dedicata al gruppo torinese e al suo indotto. L’adesione allo sciopero è stata altissima, oltre l’80%, con la Fiat che ha riconosciuto il 36% (bassa rispetto ai dati dei sindacati, ma comunque la più alta dichiarata dal grande sciopero dell’80). Gli operai si sono dati appuntamento in piazza Esedra, a poca distanza dalla sede romana della Fiat: accompagnati da decine di gonfaloni – regioni, comuni e province, dal Piemonte alla Sicilia – si sono spinti prima sotto le finestre degli uffici della multinazionale, e successivamente, percorrendo via Cavour e i Fori Imperiali, hanno concluso il corteo davanti al furgoncino allestito dai sindacati, in piazza SS. Apostoli. Qui l’atmosfera si è riscaldata: i lavoratori di Melfi e alcuni iscritti ai Sincobas hanno prima ricoperto di fischi il segretario del Fismic, Roberto Di Maulo, e dopo hanno contestato il segretario generale Cisl Savino Pezzotta, che per un minuto ha deciso di lasciare il microfono, per poi ritornare e concludere il proprio intervento. Lo stabilimento lucano non ha ancora digerito la condanna espressa da Cisl e Fismic, ma anche dalla Uil, rispetto ai 21 giorni di contestazione – la «primavera di Melfi». Ma a parte questo episodio isolato, la manifestazione è stata partecipata e coloratissima grazie alla riconquistata unità sindacale, che certamente ha un peso (o si spera che lo abbia) rispetto al governo e alla Fiat, gli unici soggetti che – secondo i sindacati – possono salvare la Fiat. Tra gli operai si notano i cassintegrati di Mirafiori, che portano sul petto i cartelli con la durata della cassa integrazione: una signora 25 mesi, altri due ragazzi 24, un giovane 22. Due anni o giù di lì in cui si viene praticamente annullati: «Io devo vivere con lo stipendio della mia ragazza, che per fortuna ha un posto fisso a scuola – ci spiega Giuseppe, 38 anni, in cassa da 25 mesi – A settembre scade la cig, e potrei ritrovarmi in mobilità». «Se ho fiducia nel futuro? – ci dice Silvia, la sua compagna – In questo modo non si può davvero programmare nulla, meno che mai un matrimonio. Per un uomo non lavorare è davvero umiliante». Un po’ più indietro sfila un’operaia della Denso di Poirino, indotto Fiat: «Se stanno messi male a Mirafiori, figuriamoci chi vive di consegne esclusivamente per la Fiat. Altre aziende hanno già chiuso, e adesso siamo preoccupatissimi, temiamo possa toccare anche a noi».

Non mancano i lavoratori di Termini Imerese, non solo Fiat: tantissimi spezzoni del corteo siciliano sono riempiti da cartelli di piccole e medie aziende dell’indotto, meno conosciute, ma altrettanto in crisi: è il caso della Pulitecnica, che si occupa delle pulizie dei macchinari dello stabilimento Fiat. Come spiega Calogero Amormino, «dei 37 dipendenti, 15 sono in mobilità, mentre il resto deve vedersela con la cassa integrazione». Ben più nota la Iposas, che produce supporti motore, per aver bloccato nei mesi scorsi la Palermo-Agrigento. Ma anche perché il titolare aveva assunto, pressato dalla mafia, tale Turi Umina, retribuito 5 mila euro al mese per controllare gli appalti e gestire le liste della cassa integrazione: «E la cosa peggiore – ci dice Angelo Graziano, Rsu Cgil – è che la crisi è cominciata nello stesso periodo in cui è avvenuto il suo arresto: non vorremmo che la gente del luogo pensasse che adesso si lavora di meno perché la mafia non controlla più l’azienda». Angelo crede davvero nel sindacato: «Mi hanno bruciato due volte la casa, tagliato le gomme della macchina, ma io sono ancora qui». Donatello, 39 anni, lavora alla Fiat di Termini da 16: «Non reggiamo più: prima la cig, adesso lavoro per 2 settimane, da aprile stop per 5 mesi. Cosa ci aspetta alla fine?».

Ma ci sono anche gli operai di Pomigliano, Melfi, Cassino, Sevel Val di Sangro, Iveco. E la Lear, la Itca, tante altre aziende di componentistica. I gonfaloni di Torino, Milano, Napoli, delle regioni Piemonte, Campania, Lombardia, i comuni di Termini Imerese, Cassino, la provincia di Frosinone, piccole città come Nichelino o Monte San Giovanni Campano. Gli amministratori Chiamparino e Ghigo. Dal palco-furgoncino, l’intervento a nome delle tre segreterie di Fim, Fiom e Uilm è affidato al segretario generale della Fiom Gianni Rinaldini: «Siamo qui – dice agli operai che gremiscono la piazza – per chiedere alla presidenza del consiglio un tavolo di confronto, che coinvolga anche l’azienda. Il futuro della Fiat è il futuro dell’industria del paese, di centinaia di migliaia di lavoratori». «A parte i nuovi spot, le dichiarazioni propagandistiche – prosegue Rinaldini – la vera realtà della Fiat solo voi la conoscete bene: cassa integrazione dappertutto, ogni giorno una chiusura nell’indotto, via i motori da Torino, la fine di Arese. La Fiat, d’altra parte, l’ha detto ufficialmente: il 65% dei pezzi forniti dall’indotto devono essere presi fuori dall’Italia, fuori dall’Europa. In questa prospettiva, l’unica salvezza per tutto il sistema dell’auto è trovare un piano credibile, investire nella ricerca, non puntare solo sui pareggi di bilancio. Marchionne ha fatto bene a uscire dall’accordo con Gm, ma adesso deve proporre uno sviluppo vero. E l’azienda deve essere sostenuta dal governo: non abbiamo escluso un intervento diretto, ma non per accollarsi i debiti, ma al contrario per indirizzare la Fiat verso la ricerca e l’individuazione di partner validi. Così come possono contribuire le banche – potenziali nuove padrone dell’azienda se convertissero i crediti – e gli enti locali».