Venezuela, colpo di Chávez: ora controlliamo il petrolio

Indosserà la solita camicia rossa, inneggiando alla sua Revolución bolivariana, e parlerà a lungo, come sempre. Nel giorno più simbolico, il 1° maggio, Hugo Chávez dirà che la battaglia più importante della sua vita, quella del petrolio, si può considerare chiusa, e vinta. Poi entrerà trionfante, insieme ai suoi soldati e ai tecnici con il caschetto, nei campi fin qui controllati dalle compagnie straniere. E’ stato il ministro venezuelano dell’ Energia, Rafael Ramirez, ad annunciare che la fase due della nazionalizzazione del petrolio è da considerarsi chiusa. Senza spargimento di sangue. Le compagnie straniere hanno accettato di finire in minoranza nelle joint-venture, e sigleranno nuovi contratti. Tranne l’ Eni e l’ americana ConocoPhillips, che non ci stanno. Per la società italiana potrebbe essere l’ addio definitivo al Venezuela. Stavolta nelle mire dello Stato c’ erano i campi e le esplorazioni nel bacino dell’ Orinoco, ed è qui che si svolgerà l’ evento del 1° maggio. E’ considerata una delle più promettenti aree petrolifere della Terra, con riserve potenziali di 235 miliardi di barili di greggio pesante. Difficili da estrarre e raffinare, i fanghi petroliferi (bitume) richiedono investimenti enormi. Nei prossimi dieci anni potrebbero servire ben 15 miliardi di dollari, più che giustificati, secondo gli esperti, se i prezzi del greggio dovessero restare alti. Non disponendo dei capitali necessari, fu lo stesso governo Chávez, qualche anno fa, a chiedere alle compagnie straniere di investire in Venezuela. Oggi i soldi non sono più un problema, visti gli enormi introiti dello Stato. L’ Eni è presente in una joint-venture con l’ americana ConocoPhillips, l’ unica grande del petrolio ad aver rifiutato le nuove regole. Hanno detto sì invece le altre, dalla Chevron alla ExxonMobil, dalla norvegese Statoil alla francese Total. Un portavoce dell’ Eni ha precisato che la compagnia italiana non è in trattative dirette con i venezuelani, in quanto l’ operatore di maggioranza del consorzio è il partner ConocoPhillips. La riconquista dei pozzi ancora in mano agli stranieri è uno dei pilastri, secondo Chávez, nella costruzione del «socialismo del 21esimo secolo». La riforma prevede che la compagnia statale Pdvsa, direttamente gestita dal governo, abbia almeno il 60 per cento del capitale dei campi o dei consorzi. L’ anno scorso cambiò la compagine azionaria di 32 campi: tutte le compagnie straniere accettarono le nuove regole, tranne l’ Eni che da allora ha perduto il controllo di un importante giacimento (vedi box). Questa ondata riguarda invece quattro grandi consorzi, che già estraggono circa 600.000 barili al giorno di greggio pesante. Il ministro Ramirez ha ironizzato sul rifiuto di ConocoPhillips ed Eni di rispettare l’ ultimatum, che scadeva ieri. «Non hanno capito niente. Si renderanno conto del loro errore», ha detto, riferendosi all’ enorme potenziale della cintura dell’ Orinoco. In realtà qualche margine di manovra c’ è ancora, perché Ramirez ha ammesso che la scadenza del 1° maggio può non significare la fine delle trattative. La compagnia italiana è legata al partner americano, i cui interessi nell’ area sono assai più impegnativi: ha quote di maggioranza in due dei quattro consorzi. Difficilmente le due società divideranno le loro sorti, ma l’ intransigenza della posizione Eni è nota. Se rottura sarà, e Chávez manderà i soldati ad occupare i campi, il ricorso ad un arbitrato internazionale resta il cammino più probabile. Pieno di insidie. Di recente una diatriba tra l’ Enel e lo Stato venezuelano, dopo tre anni, si è conclusa con la sconfitta della società elettrica.