Vendola e Bertinotti. La sicurezza si fa rossa

Nel governo e dentro Rifondazione comunista c’è chi giura che si sia mosso Fausto Bertinotti in persona. Il presidente della Camera si è assunto la responsabilità di non ostacolare il decreto emergenziale sulle espulsioni, intervenendo dietro le quinte per convincere Paolo Ferrero a
non mettersi di traverso in Consiglio dei ministri: convincendolo dell’inopportunità di uno smarcamento del Prc dall’esecutivo in un contesto così segnato emotivamente e chiedendo ai capigruppo di Camera e Senato di non contestare il blitz di Walter Veltroni. E ottenendo in cambio da Prodi una grande apertura sul G8 di Genova e la garanzia che il decreto non avrebbe riguardato tutto il pacchetto Amato, bensì solo le espulsioni.
Ma se sul ruolo di Bertinotti non può esservi conferma ufficiale, la responsabilità di difendere la collaborazione del Prc all’approvazione del pacchetto Amato in Parlamento è pubblica e firmata da Nichi Vendola, con una intervista al manifesto tutt’altro che scontata: «Voterei il pacchetto Amato? Cercherei di migliorarlo – dice il presidente della regione Puglia – ma alla fine voterei a favore. Intanto costruisco un cammino. Non rischierei di essere solo posizionato ideologicamente». Una coincidenza la moral suasion bertinottiana e l’esternazione vendoliana? Difficile crederlo. Di certo sbaglia chi crede che la questione sicurezza stia riscrivendo solo l’agenda del Pd.
Già agitato da mille dubbi e altrettante recriminazioni, il Prc si contorce ora pure su questo fronte. E la faglia interna pare replicare quella sui tempi e i modi per arrivare alla nascita di un partito unico della sinistra radicale: da una parte Bertinotti e Vendola, leader in pectore della izquierda unida all’italiana; dall’altra un bel pezzo della maggioranza, preoccupata in questo caso che Rifondazione finisca per contribuire all’inseguimento delle destre sul loro terreno privilegiato.
Dice il capogruppo al Senato Giovanni Russo Spena: «Siamo stretti tra l’esigenza di non apparire gli aristocratici snob e giacobini che non si occupano delle sofferenze del popolo e la necessità di non farci travolgere da un’onda giustizialista che calpesta lo Stato di diritto».
Una strettoia che spinge Russo Spena a essere ben più cauto di Vendola: «Credo che Nichi sottovaluti l’impatto di alcuni
provvedimenti. In un paese dove storicamente le leggi d’emergenza fanno presto a diventare permanenti è rischioso parlare
di “cammino”, se poi non si non si sa bene dove può condurre».
In sostanza, Russo Spena non garantisce sul voto del gruppo:
«Condivido – dice – l’impegno a garantire la conversione in leg
ge del decreto entro sessanta giorni. Guai a farlo scadere, sarebbe un figuraccia. Però dobbiamo batterci per modificarlo perlomeno nella parte sulle espulsioni affidate ai soli prefetti, senza passaggio giurisdizionale. Quanto al resto del pacchetto Amato,
non so se lo voteremo. Mi convincono solo i due disegni di legge contro la criminalità organizzata. Il resto mi pare ispirato a criteri socialmente punitivi. Non può passare il principio che il problema principale siano i reati dei romeni e non il fatto che un pezzo di paese è in mano alla criminalità organizzata».
Ben diverso l’approccio di Milziade Caprili, vicepresidente del Senato, già finito nella bufera dentro il Prc a causa di una recente presa di posizione che aveva al centro, peraltro, proprio il problema legato alla percezione popolare del fenomeno rom. Accusato da una parte dei suoi compagni di assecondare l’onda xenofoba e di guidare la «Sarkorifondazione» (copyright del Foglio), oggi Caprili rivendica il punto: «Non mi piace il “benaltrismo” di chi, di fronte a un problema che tocca i ceti a noi più vicini, dice che il problema vero è un altro e magari parla di lotta alla mafia. Si tratta di un errore capitale. Non si può più fare finta che il problema non esista, anche perché la sicurezza è come l’inflazione: conta anche quella percepita, oltre che quella reale». Caprili è pronto a riconoscere molte delle ragioni del ministro dell’Interno: «Sono stato in Romania. Ho visto coi miei occhi le condizioni del popolo rom. Amato ha ragione a dire che si rischia un esodo biblico, perché se da noi i rom vivono in condizioni difficili, in Romania è anche peggio».
E in questo quadro che è scoppiato, per ora solo tra le mura amiche del partito, il caso Bonadonna. A qualcuno non è piaciuta infatti la solerzia con cui il senatore comunista Salvatore Bonadonna ha fatto visita l’altroieri a Regina Coeli al romeno accusato di aver ucciso Giovanna Reggiani, mentre la donna era ancora tra la vita e la morte. Bonadonna si è giustificato così: «La morte di Giovanna Reggiani accresce la sensazione di dolore che mi aveva spinto a capire chi fosse la persona che si era responsabile di tanta violenza». Chissà se basterà a chiudere il caso.