Veloci sono solo i costi

Non c’è solo l’impatto ambientale dell’alta velocità a preoccupare e a far mobilitare i «no tav» in giro per l’Italia. Un altro impatto, meno visibile ma ugualmente devastante, è quello economico-finanziario, di cui si parla poco e che rischia di mandare al collasso le casse già scarne dello Stato. Miliardi di lire che in quindici anni si sono trasformati in miliardi di euro. Previsioni di spesa lievitate senza alcun controllo. I dati ufficiali parlano di un incremento medio del 416% rispetto a quanto preventivato nel 1991, anno di nascita del progetto Tav. Secondo Erasmo Venosi, coordinatore della Conferenza permanente dei sindaci del nord-est contro l’alta velocità, il costo attuale si aggirerebbe intorno ai 90 miliardi di euro. Costi che dovevano essere coperti grazie al doppio finanziamento di investimenti pubblici (40%) e privati (60%). Il maggior «privato», le Ferrovie italiane, però tanto private non sono, visto che pur essendo quotate in borsa hanno come loro unico azionista di riferimento il ministero del Tesoro. Perciò è lo Stato, anche in questo caso, a dover rispondere economicamente in prima persona. «Il sistema Tav, solo per le nuove tratte, costerà oltre 50 miliardi di euro. La sua sostenibilità finanziaria può essere garantita solo da uno Stato impazzito che voglia imporre, dal 2010 in avanti, manovre finanziarie di qualche miliardo di euro l’anno, ogni anno, per almeno 30 anni», è l’osservazione tutt’altro che rosea di Ivan Cicconi, direttore di Quasco, un centro studi specializzato nel campo delle costruzioni e che da anni monitora i costi di realizzazione dell’opera. La gestione economica da parte dello Stato ha lasciato dunque molte perplessità. Nel 2002 il governo Berlusconi costituì la «Infrastrutture Spa» (Ispa) con lo scopo di finanziare la Tav attraverso l’emissione di obbligazioni statali. Nel 2005 però l’Eurostat, l’ufficio statistico delle comunità europee, bocciò i bilanci statali 2003-2004 per le infrastrutture ferroviarie esprimendo «dubbi sulla correttezza di alcuni dati e sul ruolo dell’Ispa nel finanziamento della Tav». Il sospetto che in realtà «Infrastrutture Spa» fosse uno strumento per alleggerire in modo artificioso il bilancio statale degli investimenti sull’alta velocità, trovò quindi un riscontro concreto. Ma torniamo ai dati. La sola tratta Torino-Lione ha già subito un’impennata del 150%: dai 1.808 milioni di euro preventivati nel 2001 si è passati ai 2.278 milioni nel 2003 fino ai 4.466 milioni nel 2004, stando a quanto scrivono alcuni scienziati torinesi nel libro- inchiesta Travolti dall’alta voracità. E il trend, secondo le ultime stime ufficiali, è in forte ascesa. Aumenti annunciati anche per il valico ferroviario del Frejus e per l’asse Torino-Trieste, il famoso Corridoio 5. Quest’ultimo passerebbe da una previsione di costo del 2005 di 7.902 milioni di euro ad una di 12.724 milioni nel 2008, più di un terzo superiore. Al sud la tratta Salerno-Reggio Calabria-Palermo- Catania non ha invece subito rialzi solo perché è attualmente ferma ed è difficile prevederne il costo preciso. Per comprendere l’anomalia tutta italiana basta un ulteriore dato: in Francia l’alta velocità costa al singolo chilometro 15 milioni di euro, in Italia trentotto. Anomalia che si aggiunge a quella di un paese che sogna treni sempre più veloci ma che allo stato attuale viaggia ancora in terza classe.