Valerio Evangelisti: «Mai gringos. Ecco i messicani che resistono agli Usa»

L’ultimo romanzo conferma la tendenza già avviata nei lavori precedenti, dedicati perlopiù alla storia del continente nordamericano nell’ultimo secolo. Ma come nel caso di Antracite e Noi saremo tutto, anche ne Il collare di fuoco – questo il titolo del suo ultimo libro edito da Mondadori (pp. 444, euro 16,00) – Valerio Evangelisti preferisce raccontare una storia diversa, invisibile, sottaciuta dalle visioni abituali. Che si tratti dell’epopea della ferrovia e delle compagnie minerarie negli Stati Uniti dell’800 oppure della vicenda di un mafioso italo-americano negli anni Trenta o, ancora, della formazione dello stato nazionale in Messico, la scrittura di Evangelisti è sempre un lavoro di critica del potere, uno scavo nella memoria per demistificare la maschera di cui si copre e riportare alla luce le lotte di chi lo ha contrastato. Emerge un mondo popolato da eroi romantici e avventurieri, anarcoidi, disincantati, a volte persino privi di scrupolo ma tanto avversi per natura al potere da finire, prima o poi, per schierarsi con i deboli.
Con Il collare di fuoco l’attenzione si sposta alle vicende che accompagnano nella seconda metà dell’Ottocento la formazione dello stato nazionale messicano. La storia prende avvio da un episodio all’apparenza insignificante, la rivolta in Texas di un possidente messicano, Juan Nepomuceno Cortina, che nel 1859 si mette alla guida di un movimento contro le discriminazioni cui sono soggetti i propri connazionali. Nonostante sia proprietario di terre, Cortina è come tutti gli altri messicani vittima di vessazioni. La sua gente è oggetto di forti sentimenti xenofobi da parte dei gringos che abitano il Texas, terra fino a poco tempo prima appartenente al Messico e poi strappata dagli Usa. La rivolta che comanda sembra, agli inizi, un fenomeno passeggero. Gli anglos e il loro braccio armato – rangers, unità regolari e bande improvvisate – si illudono di poterla soffocare col minimo sforzo. E invece i disordini si estendono. Dopo il Texas anche il Messico ne viene sconvolto. I rivoltosi si uniscono a Benito Juárez e alla lotta contro Massimiliano d’Austria. Il romanzo segue le vicende successive, l’indipendenza, la dittatura di Porfirio Diáz, le tappe di una modernizzazione contraddittoria, le rivolte contadine.

Il Messico ha avuto nella sua storia legami forti con gli Stati Uniti. Scambi economici, flussi d’emigrazione, soprattutto dalla frontiera messicana verso gli Usa. Ma è anche una storia di divisioni, conflitti, rivolte. C’è qualcosa d’irriducibile nella storia del Messico, qualcosa che affonda le radici nelle popolazioni indigene sterminate dal colonialismo e dallo sfruttamento economico? Di quelle origini cosa si è conservato nell’identità nazionale del Messico di oggi?

La storia del Messico è ricca e incredibilmente complessa, e tutti i tentativi per cancellarla dalla memoria sono risultati vani. Tra questi tentativi annovererei anche quelli dell’attuale presidente Vicente Fox, che tenta di imporre al Messico il modello statunitense e cerca di integrare il paese al suo potente vicino, sia sul piano economico che su quello culturale. Sebbene il rapporto dei messicani con gli Usa sia di amore-odio, la loro identità rimane ben distinta da quella “gringa”. Lo si vede da un esempio: un italo-americano di seconda o terza generazione è di fatto uno statunitense a tutti gli effetti. Al contrario, la maggior parte dei messicani emigrati negli Usa resiste all’assimilazione, specie se sono di origine india. Va aggiunto un elemento che pochi conoscono. In Messico sono ancora ampiamente diffusi dialetti come lo zapoteco e altri che risalgono direttamente all’età preispanica. Non sono bastati secoli per riuscire a sradicarli.

“Il collare di fuoco” si svolge a cavallo della frontiera tra Usa e Messico. Alcuni personaggi, come la ricca vedova o il cinico ranger, esprimono un patriottismo americano costruito soprattutto sul razzismo contro i messicani. Questa cultura xenofoba c’è ancora? C’è una discriminazione contro le comunità d’origine messicana, i chicanos, che vivono all’interno degli Stati Uniti?

Per quanto ne so io, il razzismo contro i chicanos esiste ancora, anche se ha perso alcune delle sue espressioni più virulente. Oggi si manifesta soprattutto nella lotta contro l’immigrazione clandestina negli Stati Uniti, guidata da leggi che permettono ogni abuso e negano al clandestino anche i diritti più elementari. Tuttavia anche messicani che vivono negli Usa legalmente lamentano forme di discriminazione, credo legate a quella difficoltà di assimilazione di cui parlavo prima.

Una domanda che esula dal suo ultimo lavoro. Nei romanzi precedenti lei ha spesso raccontato in forma fantastica intrecci tra tecnologia e oscurantismo. Ha raccontato scenari di armi tecnologiche fantascientifiche, di regressione degli uomini alla barbarie, di universi ultramoderni e medievali al tempo stesso. Oggi sappiamo dell’uso di napalm e fosforo da parte dell’esercito americano in Iraq. Dobbiamo raccontare in chiave fantascientifica anche il nostro presente?

Credo che la fantascienza, più che prevedere scenari futuri, sia una lettura del presente in forma metaforica. Se spesso, in tanti suoi autori, ha descritto regresso invece che progresso, è perché quegli scrittori ne coglievano i segni attorno a loro.