Assolti. La formula è quella della vecchia insufficienza di prove, ma basta a provocare l’euforia di Lamberto Bartolucci e Franco Ferri, gli ultimi due generali dell’Aeronautica militare sotto processo per la strage di Ustica. Processo che a mezzo secolo dalla strage – è bene ricordarlo – non riguardava le cause dell’abbattimento del Dc 9 Itavia e gli autori. Ma puntava ai depistatori, quelli che avrebbero impedito di accertare la verità nascondendo lo scenario di guerra in cui si venne a trovare il volo Itavia 870 tra Bologna e Palermo con 81 persone a bordo. Ma ieri pomeriggio, dopo un processo lampo e cinque ore di camera di consiglio, la prima corte di Assise d’appello di Roma (presidente Antonio Cappiello) è andata oltre la sentenza di primo grado che aveva dichiarato prescritti i reati di Bartolucci, ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica, e Ferri, ex vicecapo, assolvendo invece i generali Zeno Tascio e Corrado Melillo. Cala così il sipario giudiziario su 25 anni di coperture eccellenti, anche se la pubblica accusa e gli avvocati di parte civile annunciano che alla lettura delle motivazioni tenteranno il ricorso in Cassazione. «Dobbiamo capire in che punto le prove che avevamo raccolto sono state dichiarate insufficienti, visto che in primo grado avevano retto», è il primo commento dei magistrati d’accusa Erminio Amelio e Maria Monteleone. Mentre le parti civili, attraverso l’avvocato Alfredo Galasso, parlano di «sentenza profondamente ingiusta» e di «pena profonda per una conclusione in cui nessuno ha responsabilità». In primo grado la corte d’Assise aveva derubricato le accuse a Bartolucci e Ferri da attentato agli organi costituzionali e tradimento a turbamento dell’esercizio delle prerogative del governo. Venticinque anni fa avrebbero omesso di riferire alle autorità politiche i risultati delle analisi sui tracciati radar di Fiumicino/Ciampino escludendo in una successiva nota scritta il coinvolgimento di altri aerei in quel tratto di cielo. In secondo come già in primo grado l’accusa aveva chiesto per entrambi i generali una condanna a sei anni e nove mesi di carcere.
Dal primo depistaggio arrivato poche ore dopo l’affondamento del Dc 9 con una telefonata a nome dei Nar che anni dopo fu attribuita al cosiddetto «super Sismi», alla teoria del «cedimento strutturale», ai risultati delle varie commissioni d’inchiesta seguite al recupero del relitto che hanno sempre parlato di un missile, salvo poi essere smentite da successive ritrattazioni dei periti, alle morti sospette come quelle del radarista di Grosseto Mario Alberto Dettori (suicidio) e del colonnello pilota Mario Naldini in volo la sera del 27 giugno `80 (morto otto anni dopo nell’incidente di Ramstein con le Frecce Tricolore), la strage di Ustica è sempre andata a sbattere contro il «Muro di gomma», come da titolo del film che nel 1991 riprese le inchieste giornalistiche del Corriere della Sera e di questo giornale.
Eppure dall’ultima assoluzione il governo in carica trova ragioni di esultanza. Nonostante nemmeno questa volta vengano messe in dubbio le conclusioni del giudice istruttore Priore che parlavano di abbattimento. E nonostante nessun governo italiano, dal 1980 a oggi, sia stato in grado di chiedere agli alleati militari di Stati uniti, Francia e Gran Bretagna che molto sanno di quello che accadde nei cieli italiani quella notte, una collaborazione nella ricerca della verità. Niente di tutto ciò può frenare l’entusiasmo del ministro della difesa Martino (Forza Italia), «certamente molto soddisfatto che si chiuda, a distanza di anni, in modo soddisfacente una vicenda per questi due generali che la magistratura ha giudicato incolpevoli».