Parole parole parole…la mitica voce di Mina si addice a segnalare una precauzione – che non esclude un’attesa di improvviso cambiamento – sui due accordi appena siglati dai sindacati confederali. Quello di ieri sera col governo per il contratto degli addetti ai servizi di trasporto pubblico locale, gli «autoferrotranvieri», che ha scongiurato in extremis lo sciopero di 24 ore già deciso per oggi; e quello del giorno prima per i precari dei call center – per chiudere la lunga storia di Atesia e imprese consimili. Dalle parole ai fatti: i due accordi saranno sottoposti al voto dei «lavoratori»? Questo sarebbe un parziale indicatore, simbolico e conretissimo, che i sindacati hanno capito che forse è meglio cambiare strada. Dopo il fatto increscioso dell’accordo sulle liquidazioni di operai e impiegati, il «tfr», che i dirigenti sindacali hanno ritenuto di poter concludere senza darsi pena di sottoporlo a loro, pur se si trattava dei loro soldi, del salario differito con accantonamenti di un’intera vita di prestazione. E in presenza di un’ipoteca sul futuro prossimo: i «tavoli» previsti a gennaio su pensioni, contratti, orari. Una materia che investe l’intera condizione del lavoro. Sul tema la Confindustria ha già detto la sua a più riprese: il precariato, sarebbe imprescindibile «flessibilità» necessaria, ancorché non sufficiente; infatti, se per caso si «stabilizza» un po’ di lavoro dipendente, è presumibile che si richieda come «scambio» maggiore «libertà in uscita» – come raccomanda nel suo Libro verde la Commissione europea – ossia licenziamenti più liberi . E per chi si trovi fuori dalla nomenclatura tradizionale di «lavoro dipendente», non c’è neppure bisogno di questo «scambio», giacché il licenziamento è inerente già all’ entrata , in un lavoro per definizione a tempo e di una particolare declinazione di «atipico». E, come si vede dalla finanziaria, neppure il governo pensa di stanziare risorse per chi è intrappolato nel lavoro a tempo non «tradizionale», o per i giovani precari: nessuno stanziamento per studi, abitazione, o altro sostegno al reddito. Ma, per tornare alla «democrazia sindacale», in gioco ci sono passato e futuro prossimi: e come sul Tfr i sindacati hanno fatto un accordo indifferenti ai loro «rappresentati», così sulle pensioni e sul lavoro hanno già firmato protocolli «comuni» col governo senza prima chiedere un «mandato» ai lavoratori. Perciò, se è imprescindibile che per call center e autoferrotranvieri venga chiesto il voto degli «interessati», resta il fatto che c’è anche un passaggio «preventivo» da adempiere: il voto dei lavoratori sul «mandato» a trattare per pensioni, contratti, orari, e quant’altro. Adesso, dopo l’improvvisa zummata dei media, si parla della «lezione di Mirafiori». Ma forse occorre andare più a fondo. Nella «crisi della rappresentanza» – lontananza di «salvaguardia» dal lavoro vivo e dalla quotidianità vivente di donne e uomini oltre il «lavoro», da parte delle elites che si autoconservano e tentano disperatamente di tramandarsi, sono in causa anche i sindacati . In questo processo, anche la «lezione di Mirafiori» rischia di essere manipolata e giocata dentro le burocrazie, che siano più o meno di «sinistra». E questo è un monito per tutti, anche per il manifesto . Sommessamente vorrei suggerire che non serve aggrapparsi neppure ai delegati «della Fiom» per acclarare una critica «ai sindacati» ma «non contro i sindacati»: perché anche in questa operazione l’interlocutore di riferimento sono sempre e comunque dirigenti sindacali – e non possiamo parlare di «fratturazione» del sociale e della politica senza individuare in ogni ambito la tentazione di autorassicurazione, di «microgovernismo» del proprio ambito. A scomparire sono, comunque, gli «operai» e gli altri addetti in carne e ossa, in condizione concreta, desideri e stonature. Forse sarebbe piuttosto il tempo di una inchiesta che manca sui «giovani lavoratori precari» delle fabbriche. ma per essere significativa non potrebbe non essere una «con-ricerca».