«Gli Stati uniti e l’intero mondo civilizzato devono impedire ai proliferatori di manipolare cinicamente il Trattato di non proliferazione nucleare»: su tale concetto si basa il piano in sette punti presentato mercoledì dal presidente Bush per impedire che armi nucleari finiscano nelle mani di «stati aggressivi fuorilegge» e «reti terroristiche non statali». Che ciò sia possibile, egli sostiene, è dimostrato dal fatto che il padre della Bomba pakistana, Abdul Qadir Khan, aveva messo su un commercio di tecnologie e attrezzature nucleari fornendole a Iran, Libia e Corea del nord. A conferma di ciò, non meglio identificate fonti diplomatiche hanno fatto circolare giovedì la notizia che ispettori della Aiea hanno trovato in Iran i «piani per la costruzione di una centrifuga per l’arricchimento dell’uranio». Di centrifughe indubbiamente Abdul Qadir Khan se ne intende. Dopo aver lavorato in un impianto nucleare olandese, egli rientrò in Pakistan nel 1975 portando con sé il progetto di una centrifuga (non trafugato ma sicuramente acquistato sottobanco con denaro governativo). Poté così clonare la centrifuga, alla cui costruzione parteciparono le stesse ditte olandesi, tedesche, svizzere e britanniche che avevano fabbricato quella originale. Il Pakistan non violò, tuttavia, il Trattato di non proliferazione (Npt) del 1968 poiché, come l’India e Israele, non vi ha mai aderito. Gli Stati uniti, all’inizio, guardarono con sospetto al programma nucleare pachistano ma, dopo che l’Urss invase l’Afghanistan nel 1980, cambiarono atteggiamento in quanto il Pakistan era indispensabile per il reclutamento e l’addestramento dei mujaidin che combattevano contro le truppe sovietiche. Washington riprese così l’assistenza militare, fornendo a Islamabad 40 caccia F-16, armabili anche di bombe nucleari, e chiudendo un occhio (e a volte due) quando il Pakistan acquistò negli Stati uniti tecnologie per il proprio programma nucleare militare. Islamabad giocò comunque su più tavoli, stipulando anche un accordo di cooperazione atomica con la Cina, che gli permise di far esplodere la sua prima bomba probabilmente nel 1983, ossia quindici anni prima delle sei esplosioni nucleari ufficiali effettuate nel 1998.
Il Pakistan è divenuto ancora più importante per gli Stati uniti, dopo che essi hanno invaso l’Afghanistan ed esteso la loro presenza militare all’Asia centrale ex-sovietica. Non tutto però va come vorrebbero a Washington. Il fido Musharraf, impadronitosi del potere nel 1999, non ha il pieno controllo della situazione e, lo scorso dicembre, ha dovuto promettere ai partiti islamici di opposizione che alla fine del 2004 rinuncerà al comando dell’esercito pur restando presidente. Su questo sfondo si colloca la storia delle presunte forniture nucleari, di cui Abdul Qadir Khan si è dichiarato l’unico responsabile, scagionando il governo e ricevendo quindi il «perdono» del presidente Musharraf. La matassa è però ingarbugliata: non è infatti credibile che i vertici militari pachistani fossero all’oscuro di un traffico di tali proporzioni. Né va dimenticato che nel 1999 il ministro saudita della difesa visitò in Pakistan l’impianto di arricchimento dell’uranio a Kahuta e lo stesso Abdul Qadeer Khan venne invitato a Riyadh.
La politica di Washington, basata sul concetto che l’arma nucleare è buona se in mano agli amici e cattiva se in mano ai nemici, si scontra così con una realtà che è molto più complessa. Il piano presentato da Bush appare quindi semplicistico: in base ad esso i 40 paesi del Gruppo di fornitori nucleari non dovrebbero fornire tecnologie per l’arricchimento e il riprocessamento dell’uranio a paesi che non posseggono già tali impianti e, a tal fine, dovrebbero essere adottate rigide misure di controllo. Viene in tal modo forzato il Npt, che invece consente la fornitura di tecnologie per il nucleare civile. Se messe in atto, questa e altre misure (come l’esclusione dei paesi «sospetti» dal consiglio dei governatori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica) portebbero non all’applicazione del Trattato di non proliferazione ma al rafforzamento del direttorio nucleare che, capeggiato dagli Stati uniti, stabilisce quali paesi possano avere la Bomba e quali no. Non a caso Bush non propone una verifica del Npt: ciò aprirebbe lo scomodo capitolo dell’arsenale nucleare che Israele continua a potenziare, spingendo i paesi arabi a cercare di procurarsi anch’essi l’arma nucleare. Evidenzierebbe allo stesso tempo che sono le maggiori potenze nucleari a violare per prime il Npt: esso le obbliga infatti a realizzare «il disarmo generale e completo sotto stretto ed effettivo controllo internazionale».