Usa, lo spione arriva in banca

E’ scoppiato un altro scandalo del governo Bush che sembra il fratello gemello di quello delle intercettazioni telefoniche. In questo caso a finire sotto lo scrutinio della Cia non sono le conversazioni o gli scambi di e-mail che i cittadini americani hanno con l’estero ma le loro operazioni finanziarie, cioè il denaro che loro inviano all’estero o dall’estero ricevono. In teoria è una cosa piena di senso: per combattere i terroristi bisogna ascoltare le loro conversazioni, bisogna leggere le loro e-mail e bisogna sapere a chi mandano soldi e da chi li ricevono. Ma il problema è sempre che invece di seguire le vie previste dalla legge l’amministrazione Bush ha preferito come al solito di affidarsi al segreto. Risultato: così come non si può sapere quali e quante conversazioni siano state ascoltate perché la National security agency non si è procurata l’autorizzazione di un giudice prima di mettersi in ascolto, allo stesso modo non si sa quali e quante operazioni finanziarie siano state controllate perché la Cia e il ministero del tesoro, accomunati in questa vicenda, non si sono procurati le autorizzazioni. «La potenzialità dell’abuso è enorme», dice uno dei tanti personaggi consultati dal New York Times che ieri ha rivelato la cosa insieme al Los Angeles Times.
La sola differenza fra le due cose sta nel fatto che mentre le mancate autorizzazioni del giudice per ascoltare le telefonate costituiscono la violazione smaccata di una legge che esiste proprio per evitare gli abusi (fu varata dopo la vicenda Watergate, quando si scoprì che Richard Nixon aveva usato i mezzi della Cia contro i suoi avversari politici invece che contro i nemici dell’America), nel caso delle operazioni finanziarie ad essere violata è stata una «prassi internazionalmente consolidata», che non ha la potenzialità di far scattare le manette (cosa che certamente accadrebbe se sul fattaccio delle telefonate il Congresso americano decidesse di fare il proprio dovere e mettere sotto accusa la Casa Bianca) ma che getta ancora una volta una luce sinistra sul modo di operare di questa amministrazione.
I traferimenti di fondi su scala internazionale avvengono attraverso una struttura basata a Bruxelles chiamata Swift – che vuol dire svelto ma sta anche per Society for Worldwide Interbank Finacial Telecommunication – la quale smista ogni giorno qualcosa come 11 (undici) milioni di transazioni, determinando lo spostamento quotidiano di circa 6.000 (seimila) miliardi di dollari riguardanti una media di 7.800 istituzioni finanziarie in tutti i paesi del mondo. La Cia, attraverso il ministero del tesoro, è riuscita a ottenere il controllo di una parte di quelle transazioni, ma nessuno sa quanto grossa quella parte sia e chi siano gli autori delle transazioni prese di mira. Infatti, invece di usare la formula prevista di controllarle individualmente, cosa per la quale è necessario chiedere l’autorizzazione a un giudice, Washington ha emesso una «larga autorizzazione amministrativa», considerata sufficiente dalla Swift per consentire la «visione» delle transazioni. Insomma la Cia può controllare tutte le operazioni finanziarie che vuole.
In questo modo, dice Stuart Levey, un sottosegretario del tesoro, «abbiamo ottenuto una potente visione delle operazioni finanziarie compiute dalla rete terroristica che ha anche consentito l’identificazione e l’arresto di alcuni importanti personaggi». E oltre tutto, aggiunge, si tratta di «un uso legale e appropriato della nostra autorità». La sua legalità, aggiunge, si basa sui poteri che il presidente ha nei casi di «emergenza economica», dei quali Bush ha cominciato a fare uso «temporaneamente» subito dopo l’attacco alle Torri Gemelle, cinque anni fa, e non ha più smesso. La Swit dice di avere «negoziato» con il ministero del tesoro americano ricevendo assicurazioni sulla portata «limitata» dei controlli. Ma nessuno ha fatto numeri sicché siamo al «fidatevi di noi».
Come nel caso delle intercettazioni telefoniche, anche stavolta l’amministrazione ha esortato il New York Times e il Los Angeles Times a non svelare la cosa perché ciò «aiuterebbe i terroristi». Prima di pubblicare i giornali ci hanno pensato, ma non è chiaro quanto a lungo. L’altra volta, il tempo passato fra la scoperta delle intercettazioni illegali e la pubblicazione sul New York Times fu di oltre un anno.