Usa, lo schiaffo di Chavez «Mai più la vigilanza Sec»

È l’ ultima mossa del Venezuela «bolivariano» di Hugo Chavez: ricomprarsi i restanti 83 milioni di dollari di bond della compagnia petrolifera nazionale che circolavano negli Stati Uniti. Per affrancarsi dagli obblighi di comunicazione dovuti da ogni azienda che operi negli Usa alla severissima Sec, la Securities and Exchange Commission, il cane da guardia dei mercati finanziari a stelle e strisce. L’ operazione, annunciata a metà marzo, si è concretizzata la scorsa settimana. La Pdvsa Finance, il braccio finanziario della «Petroleos de Venezuela», ha ritirato dal mercato le diverse obbligazioni con scadenza dal 2007 al 2028 che aveva collocato negli Usa alla fine degli anni ‘ 90 con l’ intermediazione dell’ allora Chase Manhattan Bank. Lo ha poi scritto alla Sec, «piegandosi» alle regole del mercato statunitense per l’ ultima volta. Depositerà il bilancio (del 2004) e poi non lo farà più. Il motivo, al di là della propaganda nazionalista, è strettamente politico-economico. Nei mesi scorsi il presidente ex-colonnello dei parà aveva già minacciato di ritirare gli investimenti di Caracas negli Usa, qualcosa come 20 miliardi di dollari, come forma di ritorsione-pressione nei confronti di Washington. Questa volta Chavez, molto concretamente e con una mossa più a buon mercato, si è prefisso una scopo preciso: smettere di svelare al pubblico i conti della Pdvsa, che con la vendita del suo petrolio garantisce all’ incirca la metà delle entrate governative. E che dal primo gennaio scorso ha rivisto alla radice la politica delle concessioni verso le compagnie petrolifere straniere, mettendo in difficoltà tutti i maggiori gruppi internazionali tra i quali l’ italiana Eni, che con la francese Total ha per ora abbandonato i propri giacimenti nelle mani dello Stato, mentre altre 18 compagnie hanno accettato le nuove regole, più onerose. Senza più attività finanziarie negli Stati Uniti, la Pdvsa non dovrà più rivelare agli investitori (e al mondo) l’ entità delle sue entrate, il loro utilizzo, e la valutazione delle sue riserve di petrolio e gas naturale. Notizie troppo preziose insomma perché siano fornite a Washington, che peraltro importa proprio dalla sponda sud del Caribe il 15% del proprio fabbisogno petrolifero. E non di poco conto, se si pensa che a 50 dollari al barile la ricchezza del sottosuolo venezuelano – stimata in 78 miliardi di barili – ammonterebbe a 3.900 miliardi di dollari. Caracas, che si è impegnata anche a rimettere in sesto nella Cuba di Fidel Castro una vecchia raffineria di epoca sovietica, produce ogni giorno circa 3,3 milioni di barili di greggio (un valore di 160-170 milioni di dollari) che non è qualitativamente buono come quello del Golfo, ma pur sempre apprezzato. È al sesto-settimo posto al mondo per riserve di petrolio e al nono anche per quelle di gas naturale. E proprio sul gas Chavez ha fondato la sua scommessa del futuro: costruire un metanodotto di migliaia di chilometri che lo fornisca al resto del Sudamerica. Lontano dagli occhi dei «gringos» di Washington.