Usa, il sapore della recessione

C’è davvero qualcosa che non va nell’economia Usa, e aumenta il numero di personaggi con le mani in pasta che lo dicono apertamente. Alcune settimane fa lo aveva affermato Alan Greenspan, l’ex governatore della Federal Reserve, il quale aveva pronosticato come probabile l’avvio di una fase di rallentamento e di recessione, creando con le sue parole un discreto panico. Ieri è stata la volta del suo successore alla guida della banca centrale, Ben Bernanke, il quale in una audizione presso il Congresso ha riconosciuto l’aggravarsi delle condizioni di incertezza che avvolgo l’economia degli Stati uniti, a partire da quelle relative al mercato immobiliare.
Ad accompagnare le parole di Bernanke sono stati diffusi ieri gli ultimi dati sugli ordinativi di beni durevoli: secondo il dipartimento al commercio sono cresciuti a febbraio solamente del 2,5%, molto poco rispetto alle previsioni, e molto poco se si considera il fatto che a gennaio avevano subito un crollo del 9,3%, rivisto a sua volta al ribasso di quasi due punti rispetto alle stime preliminari (negli Usa amano la tempestività dei dati, ma mandano in giro anticipazioni da prendere con le molle). Escludendo i mezzi di trasporto, gli ordinativi a febbraio sarebbero addirittura diminuiti per la quarta volta negli ultimi cinque mesi.
E’ solo l’ultimo dei campanelli di allarme. Sotto i riflettori è anche il tormentone della crisi della bolla del mercato immobiliare: nella sua ultima versione, è venuto fuori nelle ultime settimane il problema dei mutui accordati troppo facilmente alla clientela non in grado di offrire adeguate garanzie: è il problema dei prestiti ipotecari a rischio (subprime mortgages) concessi per ravvivare le quotazioni di un mercato orientato alla stasi quando non al ribasso. Cresce dunque il numero dei crediti «in sofferenza», quelli che non verranno mai restituiti, e il timore è che si tratti di una epidemia.
Per Bernanke le prospettive del mercato immobiliare restano incerte e, anche a causa del problema dei mutui, «la crisi potrebbe essere più grave del previsto». «Per il 2007 – aggiunge il governatore – l’economia dovrebbe continuare a crescere moderatamente». Visti i ritmi indiavolati con cui è cresciuto il pil Usa secondo le stime del Bureau of economic analysis, le sue parole suonano come una conferma alla diagnosi di Greenspan.
Il punto centrale in realtà è quello della politica monetaria, e in particolare la gestione dei tassi di interesse. Le parole di Bernanke sembrano allontanare qualsiasi ipotesi di aumento dei tassi di interesse e semmai aprono la via a una loro riduzione, se non da subito, almeno nei prossimi mesi. L’obiettivo di Bernanke è probabilmente quello di contenere le pressioni per un immediato ribasso dei tassi (con la solita scusa del controllo dei rischi di inflazione) lasciando però intendere che la Fed è destinata a intraprendere una politica monetaria più accomodante.
L’andamento del dollaro sembra scontare in parte queste aspettative: ieri il biglietto verde è uscito indebolito dalle contrattazioni sui mercati europei, perdendo terreno sia rispetto all’euro (che valeva ieri 1,3361 dollari) sia soprattutto nei confronti della valuta giapponese: il dollaro è stato scambiato a 116,66 yen contro i 117,82 del giorno prima).
Le frasi di Bernanke non hanno giovato nemmeno all’andamento di Wall street, che solo in chiusura ha recuperato le abbondanti perdite iniziali. A salire sono invece le quotazioni del petrolio, grazie ovviamente alle prospettive di un conflitto con l’Iran. Martedì sera erano schizzate nel dopo mercato oltre i 68 dollari al barile trascinate da indiscrezioni circa un imminente attacco: il livello più alto degli utlmi sei mesi. Ieri sono rimaste sostenute, saldamente a di sopra dei 64 dollari.