Usa, gli immigrati dividono i neocon

Se dovesse passare così com’è, la legge sull’immigrazione approvata lunedì dalla commissione Giustizia del Senato sarebbe una svolta clamorosa, tanto che per trovare un parallelo si è andati addirittura al progetto detto dei braceros, che consentì il trasferimento negli Stati Uniti a quattro milioni e mezzo di messicani fra il 1942 e il 1960. In questo caso le cifre sono enormemente più grandi. La legge, approvata con 12 voti contro 6, quindi con l’apporto di alcuni repubblicani «reprobi», prevede la legalizzazione – con l’esplicito fine di arrivare alla cittadinanza – a tutti quegli undici o dodici milioni di immigrati «non documentati» attualmente presenti negli Stati Uniti. Le condizioni che dovranno superare sono: avere un lavoro, non avere conti aperti con la giustizia, imparare l’inglese e pagare tutte le spese necessarie e le tasse arretrate. Inoltre la commissione ha votato, con lo stesso scarto, il «suggerimento» di consentire l’ingresso di 400 mila immigrati l’anno, anch’essi con una formula che prevede alla fine l’ottenimento della cittadinanza americana. Tutto ciò è in assoluto contrasto con la legge approvata due settimane fa dalla maggioranza repubblicana alla Camera e non solo. La legge prevede la costruzione al confine fra Stati Uniti e Messico di un muro di mille chilometri per tenere alla larga i potenziali nuovi immigrati (la commissione Giustizia del Senato ha parlato solo di «miglioramento della sorveglianza » al confine), dichiara reato la presenza illegale (non spiega come debba essere punito, ma apre la strada alla deportazione) e istituisce punizioni perfino per chi presta assistenza agli «illegali». Ma il contrasto c’è anche con la posizione espressa a suo tempo da George Bush, di consentire agli «illegali» – che ha chiamato «lavoratori ospiti» – un permesso di lavoro provvisorio a patto che si impegnino ad andarsene al momento della scadenza. In pratica, il voto di lunedì segna un’ulteriore spaccatura nel campo repubblicano che a questo punto nessuno sa bene se e come possa essere ricomposta. Se infatti è vero che il capo della maggioranza del Senato e guida dei «duri», Bill Frist, lo fa certamente per coltivare le sue aspirazioni presidenziali – e per questo si posiziona un po’ «lontano» da Bush, la cui popolarità è in continuo calo – è anche vero che i repubblicani che si sono schierati «dalla parte degli immigrati», lo hanno fatto anche perché su questa posizione convergono molti imprenditori («contribuenti» delle campagne elettorali) che hanno bisogno di manodopera e molte organizzazioni religiose che sono anche, come si sa, serbatoi di voti impossibili da ignorare. Nelle manifestazioni svoltesi durante tutta la settimana scorsa, compresa quella – impressionante – di mezzo milione di persone che sabato hanno invaso le strade di Los Angeles, c’erano anche loro e lunedì sera, quando è stato reso noto il testo approvato dalla commissione Giustizia del Senato, gioivano insieme ognuno a suo modo. Gli imprenditori con «discreta soddisfazione», i gruppi assistenziali religiosi e no con i loro comunicati e le migliaia di immigrati che anche lunedì si erano assiepati proprio davanti al Capitol diWashington, gridando a perdifiato «Vamos a ganar», ché tanto per imparare l’inglese c’è tempo. Questo non vuol dire naturalmente che questa legge passerà così com’è, ma quanto meno che il dibattito del Senato partirà da un «livello» molto più alto di quanto ci si potesse aspettare.