Quella di ieri non è stata la giornata del nuovo e atteso record per la borsa Usa, anche se solamente per un pelo. L’indice Dow jones, che sintetizza l’andamento dei titoli azionari delle maggiori imprese industriali statunitensi (le cosiddette blue chips), ha solo sfiorato gli 11.750 punti raggiunti nell’agosto del 2000, collocandosi verso la fine delle contrattazioni al di sotto di quota 11.700, in lieve arretramento rispetto alla seduta precedente.
A trascinare l’indice sono stati ieri soprattutto i titoli delle imprese che producono biotecnologie e automobili (Gm e Ford). Anche se per il settore auto negli Usa si parla sempre più insistentemente di crisi, sono state sufficienti le voci di un aumento della partecipazione del gruppo Kerkorian in Gm a spingere al rialzo le azioni della casa di Detroit, mentre per la Ford è bastata la voce di un ritorno ai profitti sul mercato europeo.
A riprova, se ce ne fosse proprio bisogno, delle contraddizioni fra l’euforia dell’economia di carta e l’andamento dell’economia reale, proprio ieri il Buerau of economic analysis ha pubblicato le stime finali sull’andamento del prodotto interno lordo, rivedendo al ribasso i dati preliminari pubblicati il mese scorso (che a loro volta rivedevano al rialzo le stime preliminari di luglio). Nel secondo trimestre di quest’anno, dunque, la crescita sarebbe stata del 3.5% rispetto allo stesso trimestre del 2005, in calo dunque rispetto al 3.7% del primo trimestre e al +3.6% della stima preliminare. La crescita trimestrale annualizzata, il cui andamento è più irregolare, è stata stimata al +2.6%, tre decimali in meno del dato provvisorio e in forte discesa rispetto allo stratosferico +5.6% del primo trimestre.
La revisione al ribasso ha riguardato i consumi ma soprattutto gli investimenti e in particolare quelli relativi all’edilizia residenziale: questi nel secondo trimestre sarebbero diminuiti dell’1.5% (e non dell’1.2%) rispetto all’anno precedente, in forte rallentamento rispetto al +6.1% registrato nel primo trimestre. La costruzione di nuove abitazioni sembra essere uno dei punti critici principali. Nel mese di luglio l’indicatore relativo all’avvio di nuovi cantieri è diminuito del 2.5%; l’associazione dei costruttori denuncia un crollo degli ordinativi per il terzo trimestre e un livello di fiducia delle imprese mai così basso da 15 anni. Il tutto però con prezzi che continuano a crescere a ritmi sostenuti.
Mentre negli Usa, nel mezzo dell’altalena delle revisioni del pil, la Federal reserve ha scelto di fermare l’ascesa dei tassi di interesse, nella zona euro sembra invece sempre più certa la prospettiva di ulteriori restringimenti della politica monetaria da parte della Bce. A sostenere questo orientamento sono sopraggiunti ieri alcuni segnali positivi sulle economie francese e tedesca. In Germania i dati sull’occupazione diffusi dall’ufficio federale del lavoro segnalano una riduzione a settembre del tasso di disoccupazione, sceso al 10.1% dal 10.4% di agosto. In Francia, dove l’Insee ha reso note le stime riviste del pil, il prodotto interno lordoè cresciuto nel secondo trimestre dell’1.2% rispetto al trimestre precedente, un decimale in più del dato provvisorio diffuso il mese scorso, il che dovrebbe portare al +2.7% la crescita su base annua. A spingere il pil transalpino sono soprattutto gli investimenti delle imprese non finanziarie, mentre appare consistente l’effetto frenante delle importazioni, cresciute del 3.2% rispetto al primo trimestre.
Per quanto riguarda l’Italia, il 2006 si sta rivelando un anno decisamente critico per i conti con l’estero. Secondo i dati diffusi ieri dall’Istat, nel solo mese di agosto il nostro paese ha accumulato un deficit commerciale di 1.930 milioni di euro nei confronti dei paesi extra-Ue, un dato decisamente peggiore del deficit di 373 milioni registrato nell’agosto 2005.
Prendendo come riferimento i primi otto mesi dell’anno, il disavanzo cumulato ha superato i 15 miliardi di euro ed è triplicato rispetto allo stesso periodo del 2005.Il valore delle importazioni è aumentato del 22.8%, con punte superiori al 30% per l’import dalla Turchia e dai paesi Opec. La crescita delle export (+11.8%) è invece molto sostenuta verso i paesi dell’Europa orientale e verso la Cina, mentre arrancano i flussi verso gli Usa e il Giappone. Il saldo negativo verso i soli paesi Opec sfiora i 14 miliardi euro, 4.8 in più rispetto ai primi otto mesi del 2005. Quello verso la Cina (-7.8 miliardi) è peggiorato di 1.4 miliardi: di entità analoga è il peggioramento dell’interscambio con la Russia. Peggiora anche l’interscambio con la Turchia e con il Giappone, mentre non sono certo sufficienti a ribaltare la situazione i 2 milardi di avanzo con i paesi europei non Ue. E’ difficile, se non da incoscenti, dare la colpa al solito petrolio.