E’ anche merito di questo giornale se la sinistra italiana ha ricominciato a discutere di sé: vorrei dare atto a Liberazione di aver introdotto coraggiosamente – con l’ormai nota intervista al Presidente della Camera – il tema dell’unità. Bertinotti ha affrontato le due facce della stessa medaglia prospettando alla sinistra cosiddetta “radicale” di confrontarsi a partire dal “che fare”, ponendosi nello stesso tempo il problema dell’efficacia, vale a dire dell'”unità”. Un tema condiviso da Diliberto che si cimenta da anni con il nodo cruciale del dialogo a sinistra. Viene così riaffermata una forte dialettica tra contenuti e contenitore, e nel contempo si chiede di evitare derive organizzativistiche da un lato e tendenza allo spontaneismo dall’altro.
L’analisi che sostiene il ragionamento affonda negli anni. Parte cioè da una crisi oggettiva delle classi dirigenti, si sviluppa lungo le storture della globalizzazione, nella sconfitta del movimento operaio «con la precarietà che si è fatta sistema» – come notava Maurizio Zipponi in un recente articolo sul manifesto – nella crisi delle istituzioni e nella conseguente difficoltà di intercettare nell’azione di governo i bisogni espressi dalla nostra gente. L’antipolitica viene da lontano e i suoi nefasti effetti in termini di formazione del pensiero dominante chiamano in causa pesantemente la sinistra in tutte le sue declinazioni. Sul versante moderato, non è eccessivo dire che l’imminente nascita del Partito Democratico chiude un percorso partito alla Bolognina nel 1989 e che – tra morti, feriti e sopravvissuti – arriva a depennare finanche dalla terminologia simbolica ogni barlume di sinistra. Quel “pds” diventato “pd” si rivolge a noi tutti, ci parla di lavoro, di salari, di condizioni di vita. E ci mette dinnanzi – a ben guardare – alla scelta di rottura operata da quel gruppo dirigente nei confronti dei capisaldi della Costituzione italiana. Abiurare la parola “sinistra” non significa forse fondare un nuovo patto politico rinunciando sia all’articolo 1 («…Repubblica democratica, fondata sul lavoro») sia all’articolo 3 («…compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che…impediscono il pieno sviluppo della persona umana»)?
Il disagio che colpisce tanti elettori della maggioranza nasce innanzitutto da qui, dalla difficoltà a capire di che cosa si stia discutendo nel principale partito della sinistra; o meglio ancora, dalla difficoltà ad identificare le categorie politiche e sociali che sostengono la nuova aggregazione. Poi ci siamo tutti noi, cioè chi si colloca saldamente a sinistra del Pd. Qui dissento da Bertinotti quando definisce «prevalente il profilo di quella sinistra radicale che si è rifondata in rapporto ai movimenti di questo secolo» rispetto alle «culture ortodosse che si configurano ancora in contrapposizione alla socialdemocrazia». Non condivido la premessa del ragionamento che costringe innanzitutto a far viaggiare in parallelo due sinistre; con quella “vincente” definita “radicale” grazie al suo incontro con “femminismo, ecologismo eccetera”. Io credo piuttosto che la sinistra sia una sola. E ritengo che proprio il Presidente della Camera abbia aperto una fase nuova che consenta di discuterne gli assi portanti, per tenere assieme i due gruppi di conflitti indicati da Bertinotti, quello tra “destra” e sinistra” accanto al contrasto tra classe dirigente e base. Dal canto mio, propongo una bussola per articolare la riflessione tra noi: indico come priorità il tema del lavoro. Si tratta infatti di dare compiuta rappresentanza politica e sociale ai salariati vecchi e nuovi, agli operai, agli impiegati così come alle centinaia di migliaia di persone che hanno subito gli effetti devastanti della legge 30. Non partiamo da zero: recentemente abbiamo presentato nei due rami del Parlamento una proposta di legge per iniziativa dei gruppi parlamentari di Pdci, Rifondazione, Verdi e sottoscritta da oltre cento deputati e senatori tra cui molti esponenti dei Ds. Fin dal titolo, il pdl fissa l’esigenza di approvare «norme per il superamento del lavoro precario». Ecco il primo tangibile risultato di un impegno comune destinato, speriamo, ad intensificarsi al fine di dare risposte all’elettorato della sinistra e alle sue preoccupazioni. Ritengo infatti che la spinta all’unità non derivi soltanto dalla violenza della tagliola parlamentare architettata dal partito di Casini con la complicità di chi, anche nel centrosinistra, ambisce al taglio delle ali. E’ altrettanto forte la necessità di dare risposta al disagio dei milioni che vogliono continuare a collocarsi a sinistra, perché intenzionati a difendere il mondo del lavoro e tutti coloro che a diverso titolo si sentono esclusi dal “pensiero unico”.
Il percorso dell’unità, ovviamente, non si definisce ricorrendo a scorciatoie semplificate né sommando asetticamente partiti. Ognuno è geloso della sua identità, ed è giusto che sia così, e occorrerà anche accettare il terreno dello “scontro unitario”. Nello stesso tempo, ci sono tutte le condizioni per ricostruire una sinistra più forte e in sintonia con i milioni che hanno invocato a gran voce una “svolta”.
*Presidente della commissione Lavoro della Camera