Mentre pare rientrare nel vivo, grazie alla presidenza tedesca, il dibattito sul futuro politico dell’Unione Europea dopo la bocciatura della bozza di trattato costituzionale da parte di Francia e Olanda, la quasi contemporanea decisione dei governi polacco e ceco di aprire negoziati bilaterali con gli Stati Uniti per l’installazione di un sistema antimissile nei rispettivi paesi (lo “scudo”, con un radar nei pressi di Praga e rampe missilistiche in Polonia), rischia non solo di dividere ulteriormente la stessa Ue, ma di accrescere le tensioni dell’intero quadro internazionale. Al di là della retorica e delle dichiarazioni propagandistiche – elementi che hanno caratterizzato i recenti festeggiamenti di Berlino in occasione del cinquantenario -, l’Ue, pur se sempre più estesa territorialmente, appare anche sempre più debole sul piano politico e sempre più “terra di conquista” (soprattutto ad est, ma non solo) per Washington. Se da una parte il processo di integrazione europeo, su base rigidamente neoliberale, ha aperto laceranti contraddizioni e provocato disillusioni nei nuovi stati membri, dall’altra la “nuova Europa” tenuta a battesimo da Rumsfeld alla vigilia dell’aggressione all’Iraq, nel 2003, batte di nuovo un colpo e la “vecchia” Europea si risveglia dai festeggiamenti, ancora una volta, più debole e vittima delle proprie logiche neoliberali e di guerra. Incapace di elaborare una propria politica estera e di difesa che tenga conto di quelli che sono i propri reali interessi politici e strategici, in larga misura differenti da quelli di oltreoceano: a partire, se vogliamo, dagli approvvigionamenti energetici e dalle relazioni di buon vicinato, non solo con la Russia, ma anche con i paesi del bacino del Mediterraneo. Al contrario, mantiene la linea dura contro l’Iran, il nuovo nemico degli “amici”, e un silenzio assordante sui fatti di Somalia, tanto per fare alcuni esempi recenti. Così si potrebbero ricordare i “voli segreti” della Cia, se volessimo fare un piccolo passo indietro, o la richiesta di nuove basi – a partire da Vicenza. Se, ancora una volta, l’Ue rischia di agire contro i propri interessi, la Russia non sembra disposta a subire passivamente le decisioni del terzetto “Washington – Praga – Varsavia”. Dopo aver recuperato, in larga misura e non senza contraddizioni, una propria dimensione autonoma sullo scacchiere internazionale (Ucraina, Georgia, Kosovo, Iran e Medio Oriente), Mosca si sente, e giustamente, il vero “bersaglio” dello scudo. Anche perché i governi e le classi dirigenti di diversi paesi dell’ex Patto di Varsavia – violentemente antirussi – non ne fanno mistero, a partire da Polonia e Repubbliche Baltiche. Lo “scudo” non è rivolto – come da giustificazioni ufficiali – contro le potenziali minacce provenienti dall’Iran -, ma essenzialmente contro Mosca e i suoi tentativi di recuperare prestigio in quello che rimane lo spazio post-sovietico. Una sorta di “barriera” contro un’Asia sempre più instabile e in crescita, una sorta di protezione contro un nuovo Attila, o un nuovo Gengis Khan. Mosca non può, dunque, non sentirsi minacciata e possiede le potenzialità per reagire, mentre il mondo rientra nella spirale della corsa al riarmo, come dimostra anche l’ultima Finanziaria del governo Prodi. Non si può chiamare in causa il Trattato di Non-Proliferazione solamente quando si ragiona del nucleare iraniano o di qualche altro paese “gradito”, concedendo agli Usa una corsa al riarmo unilaterale, fingendo di non sapere che tale trattato faceva parte di un più generale piano di smilitarizzazione concordato con precise garanzie di disarmo reciproco dalle due grandi potenze di allora, Usa e Urss. Solo su queste basi “multilaterali” il Trattato può esistere e avere un futuro, mentre lo “scudo” – assai più del nucleare iraniano per uso civile – colpisce al cuore la politica di disarmo e denuclearizzazione.
Al contrario di altre volte, però, la decisione degli Stati Uniti, Polonia e Repubblica Ceca di aprire negoziati bilaterali ha suscitato reazioni dure non solamente da parte delle forze comuniste e di alternativa, ma da diverse forze socialdemocratiche. A dimostrazione di una crescente difficoltà nella gestione complessiva delle relazioni euro-atlantiche. Cinque eurodeputati del Partito Socialdemocratico Ceco hanno chiesto l’intervento di Nancy Pelosi, presidente democratica della Camera dei Rappresentanti Usa, mentre lo stesso segretario della Spd tedesca, Kurt Beck, si è dichiarato decisamente contro l’ipotesi di installare un sistema antimissile nel cuore dell’Europa, aprendo evidenti contraddizioni all’interno del governo di “grande coalizione” guidato da Angela Merkel. In Italia, al contrario, tutto tace, o quasi. Salvo poi scoprire che il governo Prodi, dopo la decisione di concedere agli Stati Uniti la più grande base militare in Europa, ha “silenziosamente” sottoscritto un memorandum quadro con gli Stati Uniti per far parte dello “scudo”, senza alcun dibattito dentro e fuori il Parlamento e approfittando del silenzio delle forze della sinistra. Rimane da chiedersi se questa possa essere considerata, al di là della propaganda, una politica estera autonoma o, se non autonoma, almeno europeista, mentre l’unico elemento che emerge dai fatti è la sempre maggiore subalternità dell’esecutivo alle richieste che vengono da Stati Uniti e Nato, da Vicenza all’Afghanistan, allo “scudo”. Perché non unire le forze, a sinistra, contro questa nuova minaccia che incombe sull’Europa e direttamente sul nostro paese, denunciandone la pericolosità e rilanciando in questo modo una reale “autonomia” del nostro paese rispetto agli Usa e alla Nato? Perché attendere oltre, senza riuscire a dare un contributo ad una lotta, apparentemente distante dagli interessi materiali delle masse popolari, ma decisiva per il futuro di tutti noi?