Da quel che si è visto nei primi cento giorni alla Casa bianca, a un tipo come George Bush jr. – e al suo entourage – le vecchie guerre stellari bradite a suo tempo, e poi momentaneamente accantonate dai suoi antepassati Ronald Reagan e Bush sr., devono sembrare il simbolo più irresistibile per riaffermare la supremazia globale degli Stati uniti d’America. Contro “i nuovi nemici” (identificabili nei temibilissimi “stati fuorilegge” come Cuba, Iraq, Libia, Iran, Nord Corea, Sudan e Siria); contro i vecchi nemici decaduti ma ancora con qualche velleità di grandezza (come l’ex Unione sovietica, cui le precedenti Star wars costarono caro); contro “partner” o “competitori” o più propriamente futuri “avversari strategici” (come la Cina); contro alleati succubi (come gli europei) a cui deve giungere chiaro e forte il messaggio della supremazia Usa.
Il giorno dopo il discorso di martedì con cui Bush ha dato il colpo di pistola all’avvio dello scudo antimissile, che in pratica proclama la fine della strategia della dissuasione-deterrenza e denuncia il Trattato Abm (Anti-ballistic missile), che fu firmato nel ’72 da Usa e Urss e “ci incatena al passato”, ieri è stato il giorno delle prime reazioni da parte del mondo esterno.
Bush aveva detto che di fronte a un mondo “meno prevedibile” e alle tentazioni dei “nuovi nemici”, è imprescindibile la costruzione di uno scudo antimissile: “La dissuasione della Guerra fredda non è sufficiente per mantenere la pace, e per proteggere i nostri alleati e i nostri cittadini dobbiamo cercare una sicurezza basata su qualcosa di più della promessa che noi distruggeremo quello che ci vogliono distruggere”.
Il cambio di tecnologia consentirà agli Usa di tagliare il loro arsenale atomico da 7200 testate a 1500 (e questo è bastato al verde ministro degli esteri tedesco Joscka Fischer, in visita a Washington, per vedere anche aspetti “positivi”). Il resto è tutto da scrivere perché finora gli unici sperimenti di scudo stellare, con i missili terra-aria, sono stati un fallimento. Ma il segretario dalla difesa Donald Rumsfeld, vecchio reaganiano e il padrino dello scudo, dice che è “vitale” per la sicurezza Usa che il grande ombrello sia operativo nel 2004 (anno delle presidenziali americane…).
Per evitare di suscitare reazioni analoghe tipo quelle dopo la denuncia unilaterale del Protocollo di Kioto sull’ambiente e dare l’impressione di tenere nella debita considerazione le opinioni esterne, Bush lunedì aveva chiamato il tedesco Schroeder, il francese Chirac, l’inglese Blair, il canadese Chretien, il segretario della Nato, George Robertson; e martedì il russo Putin e il sudcoreano Kim Dae-jung. Delegazioni americane faranno il giro del mondo, dalla prossima settimana, per “consultare” amici, alleati e partner.
Le prime reazioni sono miste, prudenti. Eccetto quelle del maggiordomo inglese Tony Blair che trova il progetto americano “largamente” buono e sembra pronto a buttarvicisi. La Germania manifesta preoccupazioni per le eventuali (e inevitabili) “nuove corse agli armamenti globali o regionali”. Chirac come al solito alza un po’ la voce e dice che “è un invito alla proliferazione”. Il ministro Dini parla di “rischi” e “preoccupazioni”. Il Giappone è cauto per timore delle reazioni cinesi. La Cina dice che si scatenerà “una nuova corsa al riarmo e una nuova proliferazione”. La Russia, che aveva lanciato tempo fa agli europei una sua proposta di difesa anti-missile caduta nel vuoto, abbozza e il ministro degli esteri Ivanov dice che “è molto importante” che Bush non proceda “a passi unilaterali” e che Mosca “è pronta per le consultazioni” (ma la sua unica arma è la minaccia di uscire dallo Start 2 per la riduzione delle armi nucleari). L’Australia e il Canada sono quasi entusiasti, la Nuova Zelanda è critica. Il segretario dell’Onu, Annan, dichiara timidamente che sarebbe “necessario consolidare e applicare gli accordi esistenti sul disarmo e sulla non-proliferazione”.