«Nella politica del centrosinistra c’è qualcosa che non funziona». Walter Tocci, deputato e responsabile nazionale università e ricerca dei Ds, lascia l’incarico politico nel partito. E’ un addio amaro, in punta di piedi, annunciato non ai giornalisti ma alla sua attivissima mailing list dedicata alla ricerca scientifica, che farà molto rumore nel mondo dei laboratori e nelle aule universitarie. E’ la prima ammissione di un fallimento, probabilmente solo la punta dell’iceberg di un malessere che si diffonde a macchia d’olio (tra i Ds e non solo) in un settore definito da tutti strategico ma in realtà privato di risorse e di una proposta veramente riformatrice.
«Gli obiettivi del nostro programma elettorale erano ben diversi – ammette con franchezza Tocci nella sua e-mail – con tanti di voi mi ero impegnato a nome del mio partito nel realizzarli. Non posso non prendere atto dello scarto tra le parole e i fatti». Nel doloroso travaglio che sta accompagnando la prima finanziaria targata Unione l’università, come ha dimostrato lo sciopero generale di venerdì scorso, era e resta uno dei nervi scoperti: sono ancora 200 i milioni tagliati. Il fisico Giorgio Parisi ha fatto le pulci alla manovra uscita dalla camera: sono 298 i milioni in meno per la «conoscenza pubblica», che diventano 492 se si considera l’inflazione. Una diminuzione del 15% di tutte le spese diverse dagli stipendi. A fronte di un investimento di 700 milioni di euro per la ricerca privata la scure si concentra soprattutto sugli enti pubblici, le assunzioni di giovani ricercatori e le borse post-laurea.
Tocci non vuole aggiungere altro sulle sue dimissioni: «Spero che il governo ritroverà la bussola, io me ne vado per un dovere di coerenza, perché le cose non stanno andando come dovevano». La questione non è solo economica ma anche strategica: «Anche se il senato colmasse i tagli saremmo al punto di partenza, serve invece una trasformazione profonda di regole, strutture e mentalità consolidate». Dietro la scelta di Tocci ci sono sicuramente fattori personali e di partito, come la recente «diatriba» nella federazione diessina del Lazio.
Contro i tagli all’università ieri Piero Fassino è tornato alla carica con Padoa Schioppa, indicandoli come uno dei punti (insieme alla sicurezza) da correggere prioritariamente in senato. Anche il ministro Fabio Mussi resta in trincea. Stamattina sarà a palazzo Madama per perorare la sua causa ma la missione, stando ai conti, è quasi disperata: per tornare ai livelli del 2001 (ultimo governo ulivista), servirebbe 1 miliardo di euro. Il sistema degli atenei è davvero sull’orlo del fallimento. Ma non tutte le colpe sono imputabili alla politica. Ieri il Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario ha pubblicato il suo settimo rapporto. E la laurea «3+2» avviata proprio dal centrosinistra ne esce malissimo.
Crescono le matricole avanti negli anni. Si stabilizza in alto il numero dei laureati ma è ormai un astronomico 5.400 il numero di corsi di studio attivati negli atenei. I dottorati senza borsa sfiorano la metà del totale. E che il sistema perpetui soprattutto se stesso lo dimostra il ben noto andamento «a clessidra» dei docenti: gli ordinari superano gli associati (19mila contro 18mila) e sono addirittura raddoppiati in facoltà come scienze politiche e filosofia. L’età media infine continua a essere troppo elevata, tanto che si stimano in 30mila su 61mila i possibili pensionamenti entro i prossimi 10 anni. L’università italiana è «troppo vecchia, troppo statica e troppo localistica», sintetizza Mussi commentando il rapporto: «Bisogna varare subito l’agenzia di valutazione attualmente in discussione in senato».